cropped-AVVOCATO-BOLOGNA-ESPERTO

ART 600 TER E QUARTER CASS pen. Sez. III, Sent., (ud. 23/11/2022) 20-03-2023, n. 11556

reati di cui agli artt. 600-ter, comma 3, c.p. per aver condiviso per via telematica un file di natura pedopornografica (capo B) e 600-quater, comma 1, c.p., per avere detenuto 70 files pedopornografici realizzati utilizzando minori di 18 anni (capo C), riconoscendo la sussistenza del vincolo della continuazione tra l’uno e l’altro.2.

A quanto sopra, si aggiunge che la semplice volontà di procurarsi un file illecito, utilizzando un programma tipo eMule o simili, non implica, di per sè stessa e senza altri elementi di riscontro, anche la volontà di diffonderlo, in quanto porterebbe a configurare una sorta di presunzione iuris et de iure di volontà di diffusione o una sorta di responsabilità oggettiva fondata esclusivamente sul fatto che per procurarsi il file il soggetto usa un determinato programma di condivisione. Infine, non sarebbe stata adeguatamente considerata la circostanza che l’imputato sia stato trovato in possesso di ulteriore materiale pornografico, così da ritenere integrato anche il reato di cui all’art. 600-quater, comma 1, c.p., ma senza tenere conto del fatto che, se la sua condotta fosse stata effettivamente connotata dalla volontà di diffondere e divulgare il materiale illecito, allora, con tutta probabilità, anche questo ulteriore materiale sarebbe stato condiviso con altri utenti.

REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO - VIOLENZA PRIVATA

REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO – VIOLENZA PRIVATA

Con una seconda doglianza si lamenta la violazione dell’art. 600-ter c.p. Più nel dettaglio, si afferma che: ai fini dell’integrazione della richiamata fattispecie, la divulgazione di materiale pedopornografico presuppone la sua detenzione; occorre che i file siano leggibili con gli strumenti hardware e software a disposizione dell’utente; infatti, ancorchè allocato nella parte visibile del computer, un file corrotto o incompleto non sarebbe visionabile; nel caso di specie, emerge dalla relazione della polizia postale come il file non sia stato interamente scaricato, mentre non risulta accertato che lo stesso fosse leggibile con i programmi installati sul computer dell’imputato, tanto che la polizia giudiziaria avrebbe dato atto di aver visionato il filmato in questione con propri specifici software.2.3. In terzo luogo, si deduce la violazione dell’art. 600-quater c.p. in relazione al video oggetto di contestazione. Anche per il reato di cui all’art. 600-quater c.p. (capo C), infatti, come già ampiamente illustrato nel motivo che precede con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., il ricorrente ribadisce che l’integrazione potrebbe essere riconosciuta sotto il profilo della detenzione ove si sia in presenza di files che in concreto possano essere considerati materiale pedopornografico e perciò completi, già interamente scaricati e visionabili, e non di singoli, minuscoli, pezzetti di file, nemmeno coordinati e sequenziali, dunque assolutamente illeggibili ed inutilizzabili.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23/11/2022) 20-03-2023, n. 11556

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23/11/2022) 20-03-2023, n. 11556

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23/11/2022) 20-03-2023, n. 11556

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. SAMERARO Luca – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 23/03/2021 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;

udito il difensore, avv. Alessandro Armaroli.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 marzo 2021, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Bologna emessa il 7 marzo 2018, in esito al giudizio abbreviato, con cui – per quanto qui rileva – negate le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena, A.A. è stato condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione e al pagamento di Euro 2.000,00 di multa, oltre all’interdizione in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonchè da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate abitualmente da minori, ovvero attinente alla tutela o alla curatela o all’amministrazione di sostegno, per i reati di cui agli artt. 600-ter, comma 3, c.p. per aver condiviso per via telematica un file di natura pedopornografica (capo B) e 600-quater, comma 1, c.p., per avere detenuto 70 files pedopornografici realizzati utilizzando minori di 18 anni (capo C), riconoscendo la sussistenza del vincolo della continuazione tra l’uno e l’altro.2. Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600-ter c.p., in quanto difetterebbe la prova che l’imputato abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico,

 

 

ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici e ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing. In particolar modo, non si terrebbero in considerazione i seguenti elementi: l’esperienza tecnica dell’imputato, in quanto dagli atti non emergerebbe che questo abbia particolari conoscenze informatiche tali da farlo ritenere un utente da differenziare dal mero utilizzatore tipo di un programma di file sharing; il file oggetto di imputazione sarebbe stato in corso di download nella cartella predefinita del sistema e non risulterebbe che siano stati modificati o alterati i parametri standard del programma; la durata del possesso e la quantità del materiale, posto che l’imputato avrebbe iniziato il download esclusivamente di quell’unico file e non l’avrebbe nemmeno del tutto completato; mancherebbe ogni accorgimento volto a rendere difficoltosa l’individuazione dell’attività, perchè il file sarebbe stato in corso di download nella cartella di default e non sarebbe stato salvato in un’apposita cartella creata dall’utente. A quanto sopra, si aggiunge che la semplice volontà di procurarsi un file illecito, utilizzando un programma tipo eMule o simili, non implica, di per sè stessa e senza altri elementi di riscontro, anche la volontà di diffonderlo, in quanto porterebbe a configurare una sorta di presunzione iuris et de iure di volontà di diffusione o una sorta di responsabilità oggettiva fondata esclusivamente sul fatto che per procurarsi il file il soggetto usa un determinato programma di condivisione. Infine, non sarebbe stata adeguatamente considerata la circostanza che l’imputato sia stato trovato in possesso di ulteriore materiale pornografico, così da ritenere integrato anche il reato di cui all’art. 600-quater, comma 1, c.p., ma senza tenere conto del fatto che, se la sua condotta fosse stata effettivamente connotata dalla volontà di diffondere e divulgare il materiale illecito, allora, con tutta probabilità, anche questo ulteriore materiale sarebbe stato condiviso con altri utenti.2.2. Con una seconda doglianza si lamenta la violazione dell’art. 600-ter c.p. Più nel dettaglio, si afferma che: ai fini dell’integrazione della richiamata fattispecie, la divulgazione di materiale pedopornografico presuppone la sua detenzione; occorre che i file siano leggibili con gli strumenti hardware e software a disposizione dell’utente; infatti, ancorchè allocato nella parte visibile del computer, un file corrotto o incompleto non sarebbe visionabile; nel caso di specie, emerge dalla relazione della polizia postale come il file non sia stato interamente scaricato, mentre non risulta accertato che lo stesso fosse leggibile con i programmi installati sul computer dell’imputato, tanto che la polizia giudiziaria avrebbe dato atto di aver visionato il filmato in questione con propri specifici software.2.3. In terzo luogo, si deduce la violazione dell’art. 600-quater c.p. in relazione al video oggetto di contestazione. Anche per il reato di cui all’art. 600-quater c.p. (capo C), infatti, come già ampiamente illustrato nel motivo che precede con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., il ricorrente ribadisce che l’integrazione potrebbe essere riconosciuta sotto il profilo della detenzione ove si sia in presenza di files che in concreto possano essere considerati materiale pedopornografico e perciò completi, già interamente scaricati e visionabili, e non di singoli, minuscoli, pezzetti di file, nemmeno coordinati e sequenziali, dunque assolutamente illeggibili ed inutilizzabili.2.4. Con una quarta censura, si lamenta la violazione dell’art. 600-quater c.p., in relazione alle 62 foto autoprodotte da soggetti di minore età e da questi inviate all’imputato che le ha salvate in diverse cartelle nelle quali sono poi stat ritrovate all’atto della perquisizione informatica. La Corte, infatti, non avrebbe considerato l’irrilevanza penale della cosiddetta pornografia domestica, ossia di quelle immagini o di quei video di natura sessuale ove sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale, realizzati nell’ambito di un rapporto che non sia caratterizzato da condizionamenti di alcun tipo, frutto di una libera scelta e destinati ad un uso strettamente privato. Nel caso di specie le foto in questione sarebbero state spontaneamente autoprodotte dalle ragazze stesse, liberamente inviate all’imputato in assenza di qualsivoglia costrizione e, peraltro, le medesime non sarebbero state oggetto di divulgazione.2.5. Con un quinto motivo di ricorso, si contesta il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600-quater c.p. con riferimento alle ulteriori 7 immagini prelevate o prelevabili dalla rete internet. Tali foto, infatti, come documentato dalla relazione della polizia postale, sarebbero risultate scaricate o scaricabili dalla rete internet e sarebbero state rinvenute nelle cartelle temporanee di sistema, ovvero quelle cartelle che il sistema genererebbe automaticamente, indipendentemente da un’azione volontaria dell’utente, per il solo fatto di aver compiuto un accesso ad internet. Proprio con riferimento a queste foto mancherebbe ogni motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto scaricate inconsapevolmente dall’imputato e generate automaticamente dal sistema.3.

Con memoria del 7 novembre 2022, il ricorrente insiste, in particolare, per l’accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è solo parzialmente fondato.

1.1. Il primo e il secondo motivo di ricorso – con cui si deduce rispettivamente il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600-ter c.p. e la violazione di quest’ultimo stante la costatazione che il file non era stato interamente scaricato e conseguentemente non era leggibile – sono fondati.

1.1.1. Quanto al primo, in punto di diritto deve ricordarsi che per giurisprudenza di legittimità consolidata in tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600-ter, comma 3, c.p. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale; per converso l’utilizzo, ai fini dell’acquisizione via internet di detto materiale, di programmi che comportino l’automatica condivisione dello stesso con altri utenti non implica per ciò solo, ed in assenza di ulteriori specifici elementi, la volontà, nel soggetto agente, di divulgare detto materiale (ex multis, Sez. 3, n. 14001 del 14/12/2017, dep. 26/03/2018, Rv. 273157; Sez. 3, n. 19174 del 13/01/2015, Rv. 263373; Sez. 3, n. 33157 del 11/12/2012, dep. 2013, Rv. 257257; Sez. 3, n. 44914 del 25/10/2012, Rv. 253558; Sez. 3, n. 44065 del 10/11/2011, Rv. 251401). Nel caso di specie si constata come, dalla motivazione del provvedimento impugnato, emerga che la responsabilità penale dell’imputato, anche sul piano soggettivo, è stata accertata sulla base della semplice utilizzazione, da parte dello stesso, di un programma di condivisione e in assenza di ulteriori convergenti elementi, come avrebbero potuto esserlo la condivisione per lunghissimo periodo dei file scaricati e il loro effettivo scaricamento da parte di numerosi altri utenti durante tale periodo, evidente indice della coscienza e volontà di divulgazione, o l’adozione di ogni tipo di accorgimento volto a rendere difficoltosa l’individuazione dell’attività, o ancora l’esperienza tecnica accertata in capo al soggetto agente; per converso, non è stata adeguatamente considerata la circostanza che la polizia postale è intervenuta e ha eseguito la perquisizione presso la casa dell’imputato in una fase assolutamente iniziale del download di un singolo file che, inoltre, non è neanche stato completato.

1.1.2. Quanto al diverso, ma connesso, profilo della mancanza di integrità del file in questione e alla sua conseguente non leggibilità, la prospettazione del ricorrente merita di essere condivisa. Infatti, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter, comma 3, c.p., la condotta di divulgazione di materiale pedopornografico che avvenga in via automatica mediante l’utilizzo di appositi programmi di scaricamento da internet, che ne consentano al tempo stesso la condivisione con altri utenti (ad esempio, come nel caso in esame, il programma cosiddetto eMule), presuppone comunque che i files di cui si compone detto materiale siano interamente scaricati e visionabili nonchè lasciati nella cartella dei files destinati alla condivisione (ex multis, Sez. 3, n. 11169 del 07/11/2008, dep. 2009, Rv. 242992; Sez. 3, n. 23164 del 08/06/2006, Rv. 234639). Come emerge dagli atti, e nello specifico dalla relazione della polizia postale (pag. 3 della sentenza di primo grado), il file de quo non è stato interamente scaricato, nè tantomeno è stato in qualche modo accertato che lo stesso fosse leggibile con i programmi installati sul personal computer dell’imputato, tanto che la polizia giudiziaria ha dato atto di aver visionato il filmato in questione con propri specifici software appositi.

1.1.3. Da quanto precede consegue la necessità di procedere ad una riqualificazione del reato di cui al capo B) di imputazione ai sensi degli artt. 56 e 600-quater c.p., potendosi sussumere la vicenda nell’integrazione del reato di detenzione di materiale pornografico solo nella forma tentata.1.2. La terza censura – con cui si deduce la violazione dell’art. 600-quater c.p. in relazione al capo C) dell’imputazione sul rilievo che il materiale non era stato interamente scaricato e conseguentemente non era leggibile – è inammissibile perchè assolutamente generica e dal carattere meramente esplorativo, riducendosi a una mera contestazione. Il ricorrente, infatti, a fronte di una puntuale individuazione, operata tanto dal primo quanto dal secondo giudice, del materiale oggetto del reato lui addebitato al capo C, consistente in 70 files pedopornografici realizzati utilizzando minori di 18 anni, non offre alcuna puntuale indicazione delle ragioni per cui il materiale de quo dovrebbe dirsi incompleto e comunque non leggibile, limitandosi ad effettuare una mera affermazione dal carattere apodittico e comunque priva di qualsiasi sostegno sul piano logico, oltre che riferibile solo al file di cui al diverso capo B. 1.3. Il quarto motivo di ricorso – con cui si lamenta la violazione dell’art. 600-quater c.p. in relazione alle 62 foto autoprodotte da soggetti di minore età è parimenti inammissibile per genericità. Infatti, il reato di detenzione di materiale pedopornografico è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore; conseguentemente, risponde di detto delitto anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzandone l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore che non è esclusa dalla eventuale familiarità del medesimo alla divulgazione di proprie immagini erotiche. Nel caso di specie manca, nella prospettazione del ricorrente, la dimostrazione dell’assenza di quel differenziale di potere, anche in considerazione del contesto di riferimento, dell’età, della maturità, dell’esperienza e dello stato di dipendenza del minore, che sia tale da integrare forme di coercizione o di condizionamento della volontà e, in ultima analisi, di utilizzazione del minore stesso (ex plurimis, Sez. U., n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282718; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, Rv. 281972; Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020, dep. 2021, Rv. 280825-02; Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, Rv. 276231; Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087 – 02; Sez. 3, n. 1783 del 17/11/2016, dep. 2017, Rv. 269412).

1.4. La quinta censura – con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600-quater c.p. con riferimento alle ulteriori 7 immagini prelevate o prelevabili dalla rete internet – è inammissibile per genericità. La stessa difesa sostanzialmente afferma che la cartella in cui i files erano contenuti è stata generata automaticamente ma che il download di questi è invece il frutto di un’espressa volontà dell’imputato; quanto invece all’ulteriore costatazione che detti files fossero ancora nella cartella temporanea e non fossero stati spostati in altre apposite cartelle, essa non rileva, poichè la detenzione di cui all’art. 600-quater c.p. viene integrata anche ove il materiale venga lasciato nella cartella temporanea (ex multis, Sez. 3, n. 20890 del 11/01/2017, Rv. 270125; Sez. 3, n. 24345 del 21/04/2015, Rv. 264307).2. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al reato di cui al capo B) dell’imputazione, con riqualificazione dello stesso ai sensi degli artt. 56 e 600-quater c.p., e con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, la quale conseguentemente determinerà il trattamento sanzionatorio. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata quanto alla qualificazione del reato di cui al capo B) dell’imputazione, che riqualifica ai sensi degli artt. 56 e 600-quater c.p. e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per la determinazione del trattamento sanzionatorio. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023

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