In una recente pronuncia, (Cass., ord. 2274/2017) la Corte di Cassazione, richiamando quanto già precedentemente affermato sul punto da numerose altre pronunce di legittimità (cfr., ex multis, Cass., 11423/2016, Cass., 3438/2016, Cass., 21684/2013) considera che la “soccombenza reciproca”, tale da giustificare la possibile applicazione della regola della compensazione parziale o totale delle spese, va ravvisata nell’ipotesi in cui “vi sia un pluralità di domande contrappostedelle quali alcune vengono rigettate e altre accolte, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero in ipotesi di “accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati altri” o, infine, nel caso di “parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in un unico capo”. 

 

MALASANITA’ DANNO BOLOGNA: intervento di artodesi connotato da tecniche di intervento chirurgico inidonee e dall’impiego di dispositivi privi  di marcatura CE.

 

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA' BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

 

 

FATTO

La vicenda riguarda un caso di malpractice sanitaria, occorso durante le fasi prodromiche e successive relative all’intervento del 08.09.2010, nello specifico correzione di stenosi del canale midollare (scoliosi), artrodesi dorso lombosacrale tramite inserimento di barre metalliche, resosi necessario per i forti dolori alla colonna vertebrale; malpractice attribuita a responsabilità sia del DOTT. Y, chirurgo operatore dell’equipe medica, sia della CASA DI CURA ALFA SRL (in proseguimento anche Casa di Cura), presso la cui struttura erano avvenuti l’intervento e la successiva fase di degenza, così tutti citati al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti. 

Invero l’esclusiva responsabilità iatrogena nell’occorso non può che ritenersi comprovata dalle concordi risultanze degli atti istruttori raccolti, le quali hanno confermato la tesi attorea di danni derivanti dalla rottura dei mezzi di sintesi e dal loro non corretto posizionamento, imputabile alle manovre operative eseguite dal dr. Y nel corso dell’intervento, dallo stesso effettuato presso Alfa in data 08.09.2010. 

https://studiolegale-bologna.it

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DECISIONE

  1. In via preliminare, è opportuno ricordare e riaffermare, perché questione che ha occupato le parti, ininfluente all’uopo ogni riferimento nel giudizio civile al richiamo dell’art. 2043 cc, fatto dal cd. Decreto Balduzzi (DL 13.09.2012 n. 158, conv in L 08.11.2012 n. 189), che la responsabilità in tema di colpa medica, va qualificata come contrattuale, in quanto derivante dal contratto (o dal contatto sociale) intervenuto tra la paziente e la struttura ospedaliera o casa di cura, convenute, avente ad oggetto le prestazioni medico sanitarie. Ulteriore precisazione in fatto è anche quella che vede il medico odierno come sanitario di fiducia di parte attorea, al quale la stessa si è rivolta in libera professione.

Si deve tenere conto, perciò, che il medico o in genere il personale non medico, che opera all’interno di quella struttura sanitaria, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/99, 5945/00, 6386/01, 3492/02).

MALASANITA' AVVOCATO ESPERTO

MALASANITA’ AVVOCATO ESPERTO

Aderente a una siffatta impostazione, deve rilevarsi il recente autorevole intervento sul punto della Suprema Corte, i cui condivisibili principi «….la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale. PUNTO fermo, ai fini della filomachia, gli arresti delle sentenze delle Sezioni unite nel novembre 2008, e tra queste la n.26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da decisioni di consolidamento. » (cfr. Cass. civ. Sez. III, Sent., 19.02.2013, n. 4030) è sufficiente qui richiamare come precedente conforme e condiviso [e conformemente Cass. n. 6093 del 2013; Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 26358/13; depositata il 25 novembre; Cass Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8940 del 17/04/2014 (Rv. 630778) e quanto al merito Tribunale di Arezzo sentenza 14 febbraio 2013]. 

4.1.1 Per una maggior precisione deve evidenziarsi che il cd Decreto Balduzzi ha fondamentalmente inciso sul concetto di responsabilità penale del medico (e solo su questa) in ipotesi di colpa lieve, introducendo un’esimente speciale, contenuta nel primo periodo dell’art. 3 L. 189/2012, come modificato in sede di conversione del D.L., la quale prevede appunto l’esclusione della responsabilità penale per colpa lieve in favore dei sanitari, che si attengano alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate, mentre la norma del secondo periodo ha la funzione di precisare che l’esclusione della responsabilità penale non fa venire meno la risarcibilità del danno, atteso che il richiamo all’art. 2043 cod. civ. è limitato alla individuazione di un obbligo, senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (cfr. Tribunale di Arezzo 14 febbraio 2013; Tribunale di Cremona 19 settembre 2013). 

Deve allora pervenirsi alla conclusione che, conformemente al suo tenore letterale, alla collocazione sistematica ed alla ratio certa dell’intervento legislativo, da individuarsi con sicurezza nella parziale depenalizzazione dell’illecito sanitario, la norma del secondo periodo non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto soltanto far salvo (“resta comunque fermo”) il risarcimento del danno anche in caso di applicazione dell’esimente penale, senza così imporre alcun ripensamento sull’inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria. Del resto in presenza, come anche accaduto nello specifico, di un vero e proprio contratto, perché non è contestato che la scelta del sanitario sia stata frutto di pura elezione, non si vede come qualificare il rapporto e la conseguente responsabilità delle parti, se non in termini di responsabilità contrattuale. Né ad opinione differente può pervenirsi, quand’anche la scelta del legislatore fosse stata meno imprecisa ed infelice, posto che il carattere delle norme, come noto, contrassegnato da generalità e astrattezza, non può certo sovvertire il ben noto principio dell’autonomia privata, con la conseguenza che non può imporsi dall’alto una qualificazione in termini di responsabilità aquiliana ad una fattispecie espressamente connotata dal cd contratto di spedalità, che sorga indipendentemente dal cd contatto sociale tra parte medica e paziente. 

E’ evidente, quindi, che il significato del mutamento della norma dell’art. 3 in sede di conversione del decreto legge, con l’effettiva elisione del riferimento alla tipica responsabilità da inadempimento, inequivocabilmente posta dai richiami normativi (artt. 2236 e 1176 cc), debba essere ricercato altrove (peraltro inutilmente nei lavori preparatori non essendovi traccia di una tale revirement) e non certo nell’intento di qualificare a prescindere la responsabilità iatrogena esclusivamente in termini di responsabilità ex art. 2043 cc. 

 

 

 

 

 

 

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Pietro Iovino 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9635/2015 promossa da: 

(C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. AQUILANO MARIA ROSA e dell’avv. MAURIELLO PAOLO (***) ; FIORENZANO SERGIO (***) ; elettivamente domiciliato in PIAZZA SAN MARTINO N. 9 40126 BOLOGNA presso il difensore avv. AQUILANO MARIA ROSA 

ATTORE/I 

contro

CASA DI CURA ALFA S.R.L. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. RABEGGIANI LAURA e dell’avv. PAGLIARANI ELENA (PGLLNE66E43C573O) VIA CASTIGLIONE 6 40123 BOLOGNA; elettivamente domiciliato in VIA CASTIGLIONE N. 6 C/O AVV. ELENA PAGLIARANI 40100 BOLOGNA presso il difensore avv. RABEGGIANI LAURA 

(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. GIULIANO ANGELO, elettivamente domiciliato in VIA VOLTA 66 COMO presso il difensore avv. GIULIANO ANGELO 

CONVENUTO/I 

nonché

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. CARLI PATRIZIA, elettivamente domiciliato in VIA MARSILI BOLOGNA presso il difensore avv. CARLI PATRIZIA 

TERZO CHIAMATO

CONCLUSIONI PRECISATE ALL’UDIENZA DEL 30 maggio 2019: 

X« Voglia L’On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: 

1) accertare e dichiarare che il danni subiti dall’attrice, per le causali in narrativa, sono da ricondursi alla responsabilità solidale della Casa di cura Alfa S.r.l. e del Dott. Y ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218, 1228 e 2055 c.c.; 

2) condannare, per l’effetto, la Casa di cura Alfa S.r.l. ed il Dott. Y, in solido tra loro, a risarcire il danno biologico, l’I.T.A. e l’I.T.P. e relativa personalizzazione, ammontanti ad € 121.541,00, più interessi legali e rivalutazione a far data dall’8.9.2010 e sino al reale soddisfo; 

3) condannare, altresì, la Casa di cura Alfa S.r.l. ed il Dott. Y, in solido tra loro, a risarcire il danno biologico dinamico, il cui ammontare è da valutarsi in via equitativa; 

4) condannare, ancora, la Casa di cura Alfa S.r.l. ed il Dott. Y, in solido tra loro, a risarcire il danno scaturente dalla lesione degli obblighi connessi al c.d. consenso informato, il cui ammontare è da valutarsi in via equitativa. 

5) condannare, inoltre, la Casa di cura Alfa S.r.l. ed il Dott. Y, in solido tra loro, al ristoro delle spese mediche sopportate dalla Sig.ra X ed ammontanti ad € 2.132,95; 

6) In ogni caso condannare la Casa di cura Alfa S.r.l. ed il Dott. Y, in solido tra loro, al pagamento delle spese di giustizia, ivi incluso il rimborso forfettario delle spese generali, da distrarsi in favore dei costituiti avvocati ai sensi e per gli effetti dell’art. 93 c.p.c..» 

DOTT. Y« Voglia l’Ill.mo Tribunale di Bologna, respinta ogni contraria eccezione, istanza e domanda, così decidere: 

nel merito, in via principale: 

– dichiarare inammissibili e/o rigettare nel merito le domande tutte avanzate nei confronti del dott. Y; 

in ogni caso: 

– con vittoria di spese e compensi professionali, ivi compreso 15% spese generali, c.p.a. ed i.v.a.;

in via istruttoria: 

– mezzi riservati.» 

CASA DI CURA ALFA Srl : « Ogni contraria istanza ed eccezione reietta, 

in via preliminare, dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Casa di Cura Alfa S.r.l.; 

in via principale di merito, respingere tutte le domande formulate nei confronti della Casa di Cura Alfa s.r.l., da tutte le parti anche in via trasversale, perchè infondate in fatto ed in diritto, dichiarando la stessa Casa di Cura Alfa S.r.l. esente da ogni responsabilità ; 

in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui il Tribunale adito ritenesse fondata in tutto o in parte la domanda attrice, dichiarare tenuto il Dott. Y al risarcimento dei danni, quale responsabile e conseguentemente a tenere indenne e manlevata la stessa Casa di Cura Alfa S.r.l., da ogni pretesa risarcitoria, salva graduazione dell’eventuale corresponsabilità; 

ancora in via subordinata nella denegata ipotesi in cui il Tribunale adito accertasse e dichiarasse la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale in tutto o in parte della Casa di Cura Alfa s.r.l., anche solidale, dichiarare la Unipolsai Assicurazioni s.p.a. , tenuta a manlevare la Casa di Cura Alfa s.r.l. in forza di idonea polizza assicurativa e, quindi, condannare la medesima al pagamento di quanto eventualmente dovuto dalla Casa di Cura Alfa s.r.l. a parte attrice . 

Con vittoria di spese e compensi di causa.» 

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA« Come da comparsa di costituzione e risposta, insistendo nelle istanze istruttorie richieste in seconda memoria ex art. 183, co. VI, cpc non ammesse, ritenendosi ivi integralmente reiterate..» 

FATTO E DIRITTO

  1. La presente sentenza è redatta senza l’esposizione dello svolgimento del processo e con motivazione consistente nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. nel testo introdotto dagli art. 45 e art. 53 della L. n. 69 del 18 giugno 2009 trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della L. 4 luglio 2009 ai sensi dell’art. 58 comma 11. 
  2. La vicenda riguarda un caso di malpractice sanitaria, occorso durante le fasi prodromiche e successive relative all’intervento del 08.09.2010, nello specifico correzione di stenosi del canale midollare (scoliosi), artrodesi dorso lombosacrale tramite inserimento di barre metalliche, resosi necessario per i forti dolori alla colonna vertebrale; malpractice attribuita a responsabilità sia del DOTT. Y, chirurgo operatore dell’equipe medica, sia della CASA DI CURA ALFA SRL (in proseguimento anche Casa di Cura), presso la cui struttura erano avvenuti l’intervento e la successiva fase di degenza, così tutti citati al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti. 

Costituitesi, il medico anche a seguito alla rinnovazione della citazione e alla notificazione della domanda riconvenzionale trasversale di manleva, le parti convenute eccepivano l’assenza di ogni responsabilità iatrogena, demandando il preteso danno al particolare stato fisico preesistente e congenito, della paziente ovvero a complicanza e/o fatto fortuito, e chiedevano il rigetto di ogni domanda attorea, in quanto non provata nei fatti e infondata in diritto, ritenendo non assolto l’onere probatorio. 

In particolare il sanitario eccepiva una generica decadenza e/o prescrizione delle domande esperite dalla Casa di Cura e dalla parte attorea, e nel merito ribadiva di essersi attenuto alle migliori pratiche chirurgiche del settore, negando la sussistenza di qualsivoglia apporto causale nella determinazione delle condizioni di infermità lamentate; affermava di aver reso adeguata informazione in ordine a: (i) stato clinico; (ii) diagnosi; (iii) indicazioni terapeutiche; (iv) natura e modalità pratico/esecutive dell’intervento chirurgico; (v) conseguenze dell’intervento e/o effetti indesiderati e/o complicanze, raccogliendo il relativo consenso per atto scritto. Evidenziava altresì vertersi in ipotesi di responsabilità di natura extracontrattuale, come reso legalmente vincolante dalla rimodulazione del tema della responsabilità medica, operata dalla c.d. legge Balduzzi, con ogni conseguenza in punto di assolvimento dell’onere probatorio, che incomberà integralmente su parte attrice. 

La Casa di Cura negava specificamente anche ogni propria responsabilità, evidenziando la propria estraneità all’atto chirurgico, all’uopo eccependo il proprio difetto di legittimazione, operato in elezione dal sanitario di fiducia. Infatti, l’operazione chirurgica era avvenuta sotto la diretta responsabilità dello stesso, libero professionista, che aveva utilizzato le sue strutture e il suo personale, e verso il quale esperiva azione di rivalsa, appunto la già menzionata domanda riconvenzionale trasversale. 

Invocava comunque a manleva la propria compagnia assicurativa, che, costituitasi, in via preliminare denegava ogni copertura al sinistro, sussistente solo per l’operato del personale dipendente dalla Casa di Cura esclusa ogni attività medica e/o infermieristica svolta da personale non dipendente dell’Assicurato, ogni danno derivante da vizio di acquisizione del consenso informato, asserendo che comunque la polizza operava esclusivamente a secondo rischio, sussistendo contratto assicurativo tra il medico e la compagnia Medical Insurance Company Ldt.; nel merito si associava alle difese delle parti convenute circa l’assenza di malpractice sanitaria 

L’istruttoria si è svolta con la produzione di varia documentazione, relativa anche ai ricoveri e accertamenti ospedalieri, non solo, in occasione del primo intervento, ma anche, a quelli successivi legati alla travagliata vicenda sanitaria, che ha reso necessari ulteriori ricoveri ed interventi chirurgici, nonché con lo svolgimento di una consulenza tecnica d’ufficio, respinta ogni istanza di prova testimoniale ed interpello e per ordine ex art. 210 cpc. 

All’esito la causa è stata posta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 cpc nell’estensione massima.

  1. La domanda di parte attorea è parzialmente fondata e merita perciò accoglimento per quanto di ragione. 

Invero l’esclusiva responsabilità iatrogena nell’occorso non può che ritenersi comprovata dalle concordi risultanze degli atti istruttori raccolti, le quali hanno confermato la tesi attorea di danni derivanti dalla rottura dei mezzi di sintesi e dal loro non corretto posizionamento, imputabile alle manovre operative eseguite dal dr. Y nel corso dell’intervento, dallo stesso effettuato presso Alfa in data 08.09.2010. 

3.1 In via preliminare va respinta l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, atteso che è pacifico come l’azione sia rivolta anche nei confronti della Casa di Cura, cosa diversa dall’accertamento concreto di una responsabilità, che al più può comportare il rigetto della domanda ma non certo un’affermazione in ordine alla legittimazione, che, come noto, va individuata sulla base della domanda. 

Sempre preliminare va considerata abbandonata l’eccezione di decadenza/ prescrizione, sollevata dal sanitario convenuto, come dimostra l’assenza di ogni successivo richiamo fino alle rassegnate conclusioni e alle comparse conclusionali, eccezione che in ogni caso va respinta per la sua assoluta genericità ed indeterminatezza. 

  1. In via preliminare, è opportuno ricordare e riaffermare, perché questione che ha occupato le parti, ininfluente all’uopo ogni riferimento nel giudizio civile al richiamo dell’art. 2043 cc, fatto dal cd. Decreto Balduzzi (DL 13.09.2012 n. 158, conv in L 08.11.2012 n. 189), che la responsabilità in tema di colpa medica, va qualificata come contrattuale, in quanto derivante dal contratto (o dal contatto sociale) intervenuto tra la paziente e la struttura ospedaliera o casa di cura, convenute, avente ad oggetto le prestazioni medico sanitarie. Ulteriore precisazione in fatto è anche quella che vede il medico odierno come sanitario di fiducia di parte attorea, al quale la stessa si è rivolta in libera professione.

Si deve tenere conto, perciò, che il medico o in genere il personale non medico, che opera all’interno di quella struttura sanitaria, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/99, 5945/00, 6386/01, 3492/02). 

Aderente a una siffatta impostazione, deve rilevarsi il recente autorevole intervento sul punto della Suprema Corte, i cui condivisibili principi «….la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale. PUNTO fermo, ai fini della filomachia, gli arresti delle sentenze delle Sezioni unite nel novembre 2008, e tra queste la n.26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da decisioni di consolidamento. » (cfr. Cass. civ. Sez. III, Sent., 19.02.2013, n. 4030) è sufficiente qui richiamare come precedente conforme e condiviso [e conformemente Cass. n. 6093 del 2013; Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 26358/13; depositata il 25 novembre; Cass Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8940 del 17/04/2014 (Rv. 630778) e quanto al merito Tribunale di Arezzo sentenza 14 febbraio 2013]. 

4.1.1 Per una maggior precisione deve evidenziarsi che il cd Decreto Balduzzi ha fondamentalmente inciso sul concetto di responsabilità penale del medico (e solo su questa) in ipotesi di colpa lieve, introducendo un’esimente speciale, contenuta nel primo periodo dell’art. 3 L. 189/2012, come modificato in sede di conversione del D.L., la quale prevede appunto l’esclusione della responsabilità penale per colpa lieve in favore dei sanitari, che si attengano alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate, mentre la norma del secondo periodo ha la funzione di precisare che l’esclusione della responsabilità penale non fa venire meno la risarcibilità del danno, atteso che il richiamo all’art. 2043 cod. civ. è limitato alla individuazione di un obbligo, senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (cfr. Tribunale di Arezzo 14 febbraio 2013; Tribunale di Cremona 19 settembre 2013). 

Deve allora pervenirsi alla conclusione che, conformemente al suo tenore letterale, alla collocazione sistematica ed alla ratio certa dell’intervento legislativo, da individuarsi con sicurezza nella parziale depenalizzazione dell’illecito sanitario, la norma del secondo periodo non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto soltanto far salvo (“resta comunque fermo”) il risarcimento del danno anche in caso di applicazione dell’esimente penale, senza così imporre alcun ripensamento sull’inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria. Del resto in presenza, come anche accaduto nello specifico, di un vero e proprio contratto, perché non è contestato che la scelta del sanitario sia stata frutto di pura elezione, non si vede come qualificare il rapporto e la conseguente responsabilità delle parti, se non in termini di responsabilità contrattuale. Né ad opinione differente può pervenirsi, quand’anche la scelta del legislatore fosse stata meno imprecisa ed infelice, posto che il carattere delle norme, come noto, contrassegnato da generalità e astrattezza, non può certo sovvertire il ben noto principio dell’autonomia privata, con la conseguenza che non può imporsi dall’alto una qualificazione in termini di responsabilità aquiliana ad una fattispecie espressamente connotata dal cd contratto di spedalità, che sorga indipendentemente dal cd contatto sociale tra parte medica e paziente. 

E’ evidente, quindi, che il significato del mutamento della norma dell’art. 3 in sede di conversione del decreto legge, con l’effettiva elisione del riferimento alla tipica responsabilità da inadempimento, inequivocabilmente posta dai richiami normativi (artt. 2236 e 1176 cc), debba essere ricercato altrove (peraltro inutilmente nei lavori preparatori non essendovi traccia di una tale revirement) e non certo nell’intento di qualificare a prescindere la responsabilità iatrogena esclusivamente in termini di responsabilità ex art. 2043 cc. 

Probabilmente l’intentio legis potrebbe essere stata quella di voler ammonire l’interprete sul fatto che la culpa levis, se esclude la responsabilità penale nell’ipotesi di rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non è comunque idonea ad escludere conseguenze risarcitorie civilistiche, in nessun caso neppure nell’ipotesi dell’art. 2043 cc. Viceversa si sarebbe potuto porre il problema della portata scriminante anche in sede civilistica dell’ipotesi della culpa levis, problema che certamente non si può porre sulla base positiva della norma, che non tollera interpretazioni differenti. 

E’ evidente infine che a voler diversamente opinare, sarebbe stato lecito attendersi una volontà legislativa molto più chiara e lineare, in presenza della posizione giurisprudenziale granitica della Suprema Corte, delle Corti di Merito ed invero anche dell’intero panorama dottrinale, tanto che la natura della responsabilità come contrattuale era dato acquisito dall’intera comunità scientifica. 

4.1.2 In tal senso si muove anche la recente legge di riforma della responsabilità sanitaria, L. n. 24/2017 (cd Legge Gelli), la quale ribadisce che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. (mentre afferma che i sanitari rispondono del loro operato in base all’art. 2043 c.c. a meno che non abbiano agito nell’adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente). 

4.1.3 Ciò va detto pur nella consapevolezza che ratione temporis entrambe le novelle normative risultano sopravvenute rispetto all’intervento e comunque al momento in cui si può ritenere materializzata la malpractice, per quanto si andrà ad osservare, con la conseguenza che in base all’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” in assenza di previsioni speciali da parte della novella, esse non hanno alcun potere regolamentare dell’odierna vicenda. 

4.2 Sotto il profilo del grado di colpa, di cui il medico o il personale sanitario in genere, deve rispondere, il disposto dell’art. 2236 c.c. va interpretato nel senso che la limitazione di responsabilità alle sole ipotesi di dolo e colpa grave non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia, ma soltanto per i casi che richiedono la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (perché trascendono la preparazione media o non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare; cfr. Cass., Sez. III, sent. n. 5945 del 10.5.2000; Cass., Sez. III, sent. n. 4852 del 19.5.1999; Cass., Sez. III, sent. n. 11440 del 18.11.1997). 

Per quanto attiene, poi, alla ripartizione dell’onere probatorio tra paziente e medico, la natura contrattuale della predetta responsabilità implica che, in forza della presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c., il paziente ha solo l’onere di allegare il peggioramento delle proprie condizioni di salute, imputandone la causa all’intervento del medico. E’ invece onere di quest’ultimo dimostrare che l’esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza o imperizia, e che la sua prestazione implicava la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Ne consegue che, qualora il medico non assolva in maniera idonea questo suo onere probatorio, l’inesatto adempimento della sua prestazione – ovvero anche solo l’incertezza degli esiti probatori in ordine all’esatto adempimento – va posta a suo carico e ciò comporta l’accoglimento della domanda risarcitoria, fondata sulla responsabilità contrattuale. Del resto, quanto al riparto dell’onere probatorio in tema di colpa medica, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che «…l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato», mentre ha solo l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico. Invece, rimane «a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno.» (ex plurimis, Cass. 4792/2013, rv. 625765). 

Alla luce dei predetti principi e della ritenuta natura contrattuale della responsabilità medica, si osserva che nel caso in esame la parte convenuta non ha assolto l’onere probatorio dianzi descritto e, quindi, non può ritenersi l’ipotesi dell’esatto adempimento né quella dell’inadempimento non imputabile. 

  1. Tale giudizio coinvolge ovviamente sia il medico, che ha condotto l’intervento chirurgico in prima persona ed ha agito in libera professione, sia la Casa di Cura, che ha consentito a quest’ultimo di operare, mettendo a disposizione, in base ad espressa convenzione, liberamente sottoscritta, attrezzature, strutture e personale anche medico per il buon esito sia dell’intervento sia per la gestione della fase di ricovero pre e post operatorio, senza le quali quell’intervento chirurgico non si sarebbe potuto svolgere, così accettando il rischio di un proprio coinvolgimento per aver fornito mezzi ed assistenza indispensabili alla complessa fase del complessivo trattamento sanitario a carico del “cliente” e “paziente”, rispetto al quale certamente si è assunta l’obbligazione propria e tipicamente riservata al debitore della prestazione sanitaria e, quindi, di garante di essa, ossia del suo corretto ed esatto svolgimento. 

Del resto per giurisprudenza costante «… la responsabilità della Casa di Cura ha natura contrattuale e può conseguire ai sensi dell’art. 1218 c.c. all’inadempimento direttamente a suo carico, nonché ai sensi dell’art. 1228 c.c. all’inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario, quale ausiliario necessario, anche nel caso in cui non vi sia un rapporto di lavoro subordinato: infatti sussiste comunque un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e l’organizzazione aziendale della casa di cura, non rilevando in contrario, la circostanza che il sanitario risulti essere anche di fiducia dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto.» (cfr. Cass. 14/07/2004 N. 13066). 

Con rifermento a tale questione, la Suprema Corte negli ultimi anni ha affermato espressamente la responsabilità ex art. 1228 c.c. della casa di cura anche per il fatto del medico non dipendente, in quanto il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo, insorgono a carico della casa di cura, accanto a quelli di tipo latu sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Di conseguenza la responsabilità della casa di cura nei confronti del paziente può conseguire sia all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico sia in virtù dell’art. 1228 c.c. all’inadempimento della prestazione medico-professionale, svolta direttamente dal sanitario quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando, al riguardo, la circostanza che il sanitario risulti essere anche di fiducia del paziente o comunque dal medesimo scelto [cfr. in termini ex multis Cass. civ. Sez. III, 26/01/2006, n. 1698 (rv. 587618); Cass. Civ. 14.06.2007 n. 13953; Cass. civ. Sez. III Sentenza, 26/06/2012, n. 10616 (rv. 624915); Cass. civ. Sez. III, 03/02/2012, n. 1620 (rv. 621457); Cass. civ. Sez. III, 12/03/2010, n. 6053 (rv. 612243); e più in generale per il concorso di cause indipendenti e la conseguente solidarietà Cass.Civ. 30.03.2010 n. 7618, Cass. Civ. 11.05.2012 n. 7404] 

Si tratta in buona sostanza di un’ipotesi di responsabilità oggettiva [cfr. Cass. civ. Sez. III, 20-04-2016, n. 7768 (rv. 639496)[1]]. 

  1. La C.T.U. del dott. Andrea Soccetti, specialista in Ortopedia, la quale appare logicamente coerente e adeguatamente motivata in ordine all’individuazione della patologia ed all’eziogenesi di essa in relazione ai trattamenti terapeutici praticati ed alla quale si rimanda per gli aspetti di maggior dettaglio, ha consentito di accertare un’evidente responsabilità iatrogena, secondo quanto si andrà ad esporre. 

Il Consulente, premesso che la paziente da qualche anno soffriva di dolore alla colonna vertebrale in ragione di una grave forma di “scoliosi degenerativa sn convessa”, già gravata da due interventi di protesizzazione ad entrambe le anche ed al ginocchio sinistro negli anni 1985/2007, dopo una ampia disamina dei dati anamnestici e della storia clinica e delle possibili cause del cedimento del sistema di fissazione impiantato e le conseguenti lesioni, ha affermato (cfr. pag. 57 segg) che «… Vanno in primis riaffermati: 

– la patologia oggetto di trattamento scoliosi lombare degenerativa sn convessa 

– il trattamento chirurgico effettuato 8.9.10 artrodesi dorsolombosacrale

– il cedimento meccanico del sistema di fissazione impianto (potendosi collocare, in base a dati anamnestici, il cedimento avvenuto in periodo compreso fra 30 e 36 mesi dall’intervento)..….» 

Il Consulente ha, poi, precisato che nessuna censura va mossa circa la scelta iniziale del tipo d’intervento, in quanto l’indicazione chirurgica era giustificata con riguardo al quadro clinico e strumentale della paziente, mentre la questione investe essenzialmente la conduzione tecnica dell’intervento e la scelta dell’impianto, evidenziandosi in particolare che (cfr. pag. 58 segg) «… Nel caso in oggetto la scelta si indirizza verso una opzione chirurgica caratterizzata da decompressione posteriore associata a lunga fusione e correzione della deformità. 

Considerando l’ampiezza della curva scoliotica lombare e la rilevante sublussazione della vertebra apicale una correzione della deformità mediante ricorso ad artrodesi strumentata posteriore appare necessaria5 

Nell’ottica della migliore risoluzione del problema clinico la scelta di tale opzione appare quindi corretta. 

Circa la pianificazione-programmazione dell’impianto si deve osserva come l’unica indagine strumentale disponibile in atti, nei termini di una radiografia standard, sia stata effettuata il giorno stesso dell’intervento o comunque nella sua immediatezza. 

Circa l’idoneità del materiale impiantato il C.T.U. si limita ad osservare quanto segue. 

Una disamina sul sito internet della Ditta Produttrice Prosteel…… del prodotto SPINAL OSTEOSYNTHESIS RODLOCK…. sulla scheda le indicazioni riguardano Frattura -Tumore – Scoliosi – Spondilolistesi- Degenerazione discale – Instabilità, la 

sede di destinazione: la colonna toracica lombare e sacrale, il materiale di costruzione: lega di titanio ISO5832-3, non è desumibile marcatura CE ma è presente attestazione di qualità ISO 

Il dispositivo non rientra fra i materiali censiti sul sito ministeriale. 

Non esiste in letteratura documentazione inerenti dati di esito circa l’utilizzo del dispositivo.

Dette considerazioni non si qualificano nei termini di una esplicita inadeguatezza del materiale impiantato ma appaiono utili e finalistiche alla contestualizzazione dell’attività svolta. 

Circa gli aspetti procedurali si osserva. 

La strumentazione posteriore può ottenere una correzione della scoliosi anche se è difficile ripristinare la lordosi lombare che richiede il rilascio intersomatico anteriore combinato con il supporto della colonna anteriore. 

A sua volta la correzione dello squilibrio sagittale è ottenuta grazie al supporto della colonna anteriore o da ulteriori tecniche come l’osteotomia vertebrale. 

Ne deriva come la correzione della scoliosi debba essere assicurata con la miglior certezza meccanica individuata dal posizionamento ad ogni livello di fusione di viti transpeduncolari e della opportuna azione su di esse (distrazione o compressione) su ogni lato della curva6..….» 

E’, quindi, possibile apprezzare che il materiale utilizzato non aveva marcature CE, non era tra quelli notoriamente e consuetudinariamente utilizzati nel settore, tanto che non si registrano in letteratura dati sul suo utilizzo, non era tra i dispositivi riconosciuti dal nostro Ministero, la tecnica d’intervento non appare la più congeniale. 

Conclusivamente «… Può quindi affermarsi come: 

– la pianificazione-programmazione sia stata estremamente contenuta 

– la scelta del mezzo di sintesi indirizzata a favore di un impianto uso contenuto 

– il montaggio, con un appoggio prossimale dorsale ad uncini e con un primo impianto peduncolare a livello L2, appaia, in modo oggettivo, biomeccanicamente debole. » (cfr. CTU pag. 60). 

Nessuna censura merita invece, secondo il CTU la gestione post-operatoria immediata in degenza, apparendo valida l’assistenza fornita in occasione della complicanza respiratoria e parimenti valida l’assistenza prestata in corso di degenza ordinaria, con puntuale svolgimento delle attività di monitoraggio, diagnosi e terapia.

Conseguentemente in merito alla valutazione complessiva della condotta medica il CTU ha evidenziato indubitabili ragioni di censura complessiva, in quanto (cfr. CTU pag. 62).« Premessa l’assenza di linee guida, per il conseguimento del miglior esito atteso: 

– la pianificazione-programmazione avrebbe dovuto prevedere la messa in atto di accertamenti strumentali mirati alla opportuna valutazione della rigidità della curva scoliotica e dei motivi di squilibrio coronale e sagittale 

– la scelta del mezzo di sintesi si sarebbe meglio potuta indirizzare a favore di un impianto di stabilizzazione posteriore di uso diffuso, di chiara esplicitazione di utilizzo e montaggio e con solida documentazione bibliografica di esito 

– il montaggio avrebbe dovuto essere effettuato nei termini biomeccanicamente più favorevoli alla sua stabilità, termini già indicati nel posizionamento ad ogni livello somatico di fusione di viti transpeduncolari e della opportuna azione su di esse (distrazione o compressione) su ogni lato della curva con immediato apprezzamento della correzione conseguita 

Questo sempre dovendosi riaffermare come la chirurgia spinale di fissazione si qualifichi come attività ad altissima complessità anche in Centri di riferimento. » 

Deve, quindi, ritenersi verità processuale che la rottura dei mezzi di sintesi adoperati e che hanno reso necessario il nuovo intervento sia causalmente riconducibile sia alla scelta di materiale, la cui idoneità non è comprovata, come è desumibile verosimilmente dal non essere stato sufficientemente testato e dall’essere comunque privo di marchiatura CE, sia per la tecnica d’innesto adoperata. 

Quanto all’ipotizzata natura traumatica esterna non può che rilevarsi come una siffatta evenienza, pur astrattamente possibile, come il CTU non ha mancato di rilevare in risposta alle osservazioni dei CCTTUU del dott. Jennarì e della Compagnia, non è tuttavia provata e non trova alcun pur minimo riscontro, neppure a natura indiziaria.

Anche l’informativa ai fini dell’espressione del consenso è stata giudicata carente, perché eccessivamente generica, quella documentata in cartella, con la conseguenza che il modulo di consenso informato sottoscritto deve ritenersi non idoneo a raggiungere il risultato proprio ad una consapevole approccio alla decisione d’intervento: «Il C.T.U., dalla pedissequa lettura dal modulo di consenso presente in atti, non può che osservare come risulti fornita una informazione, definita chiara ed esauriente, sulla procedura scoliosi. 

Appare pleonastico affermare come: 

– la scoliosi sia una patologia e non una procedura 

– nessun dettaglio circa la procedura in via di effettuazione sia richiamato

– nessuna informazione circa il decorso naturale della patologia sia richiamata 

– nessuna informazione circa la presenza di una terapia alternativa sia richiamata 

– nessuna valutazione rischio-beneficio sia richiamata 

– nessuna informazione in merito ai rischi dell’intervento e a tempi e modi prevedibili di recupero sia richiamata 

Risulta indisponibile in atti ogni eventuale materiale informativo riconducibile nell’ambito della informazione richiamata nel modulo 

Riassumendo: 

– rimangono indeterminate ed indeterminabili la tipologia e la qualità delle informazioni fornite, sempre dovendosi ricordare come tale fase non preveda per norma vincolo di produzione scritta. 

– è oggettiva una superficiale descrizione della patologia in trattamento(scoliosi) e l’assenza della procedura da utilizzare per la correzione di detta patologia 

Deve quindi affermarsi come il percorso di informazione e consenso presente in atti appaia dubbiamente corretto per metodi e contenuti.» (cfr. CTU pag. 63). 

Pertanto, secondo il CTU «……..Il percorso di cura derivante dall’intervento 8.9.10, percorso che si ricorda regolare e scevro da complicanze, va quindi considerato ineludibile. 

Va invece considerato stato di malattia evitabile, in quanto derivante da lesioni riconducibili a profili di responsabilità sanitaria, il percorso di cura inerente la revisione chirurgica 2013 della suddetta artrodesi 2010: per i motivi esposti tale revisione si qualifica come un evento avverso prevedibile e prevenibile. 

Per quanto inerente la inabilità biologica temporanea, in assenza di documentazione sanitaria, la durata di tale periodo di cura appare stimabile sulla base della comune esperienza potendosi affermare come appaia ragionevole il termine di gg. 180 per conseguire valido e stabile esito di una artrodesi lombare posteriore cosi da interpretare in termini di inabilità biologica temporanea: 

– 10 gg. di inabilità assoluta

– 20 gg. di inabilità parziale media al 75%

– 60 gg. di inabilità parziale al 50%

– 90 gg. di inabilità parziale media al 25%

Per quanto inerente la inabilità biologica permanente, detto evento si è qualificato come una revisione del precedente intervento, fermi rimanendo i livelli vertebrali implicati nella fusione (D9-S1). 

Appare quindi ragionevole presumere il residuare a carico della sede chirurgica di esiti disestesici e disfunzionali minori comunemente legati al trauma da ri-accesso su precedente sito chirurgico. 

Avendo a riferimento l’impianto tabellare S.I.M.L.A 2016, autorevole bareme di comune utilizzo, appare quindi sussistente un difetto tegumentario e connettivale minore riconducibile, per ragionevole analogia, alla voce Dermopatia Stadio I potendosi ritenere ascrivibile quota pari al valore iniziale del range tabellare 

Ne deriva una compromissione biologica della P pari al 5% (cinque per cento) del Suo valore biologico globale………» (cfr. CTU pag. 64-65). 

6.1 Infine, secondo il Consulente gli esiti biologici permanenti riscontrati appaiono totalmente ininfluenti sulla capacità produttiva della paziente, considerata la sua età, condizioni psico-fisiche ed attitudini professionali. 

6.2 Visti gli esiti biologici permanenti ipotizzati, appare altresì assente qualsiasi rischio di malattie future. Analogamente deve rilevarsi, sempre secondo la valutazione fattane dal tecnico d’ufficio, «…che l’assenza di qualsiasi documentato percorso di cura rende la risposta a questo quesito presuntiva quanto aleatoria potendosi ragionevolmente sostenere come l’iter clinico non induca a ravvisare elementi di particolare sofferenza, tali da qualificarsi come stato di sofferenza soggettiva apprezzabilmente superiore a quella media presente nei danni permanenti di analoga entità.» (cfr. CTU pag. 66) 

6.3 Per doverosa completezza, stante le insistite critiche, quanto alle contrapposte ragioni di puro ordine tecnico, premesso che vanno espunte ogni eventuale allegazione e argomentazione rifuggite all’ampio contraddittorio tecnico (tra il Collegio dei CTU e CCTTPP e rispettivi ausiliari specialistici), premesso che quest’ultimo si ritiene esaustivo e ampiamente rispettoso del diritto di difesa, essendosi instaurato attraverso il deposito di bozze preliminari all’elaborato definitivo, e ricordando che gli accertamenti strumentali e la portata di essi, comunque disposti ed effettuati, avvengono e sono filtrati nelle valutazioni del consulente d’ufficio, tenuto al giuramento di verità, a differenza di quelli di parte, che ne fa privilegiare la fede, proprio per quella posizione di terzietà, che è invece esclusa nelle valutazioni delle parti, ciò premesso e valutato, il Tribunale deve evidenziare che le ipotesi causalistiche alternative, ipotizzate dalle difese di parte attorea, convenuta e della Compagnia, hanno trovato una evidente smentita nelle ragioni e nella argomentazioni esposte nella consulenza e segnatamente nella parte riservata alle risposte alle osservazioni, alla quale integralmente si rimanda per doverosa esigenza di sintesi. 

6.4 Quanto al valore da accordare alla perizia è evidente che la meticolosità dell’accertamento, l’ampia garanzia di contraddittorio, assicurata ed esercitata dalle parti, anche latu sensu, convenute, l’assenza di elementi oggettivi contrastanti e soprattutto di elementi di incongruità, specie se si tiene nel debito e doveroso conto quanto non assunto in replica alle osservazioni dei CCTTPP delle parti, rendono del tutto inutile disporre un nuovo accertamento nel presente processo civile. 

Una siffatta valutazione, oltre che presidio dei principi di economia dei mezzi giuridici e della ragionevole durata del processo, come voluta dall’art. 111, 2^ co., Cost., è inoltre supportata da elementi obiettivi legati all’esito della CTU in ordine alla probabile eziopatogenesi della lesione, che non è rimasta ignota ma accertata secondo la regola causale del “più probabile che non”. 

  1. Procedendosi perciò alla liquidazione del danno, quello patrimoniale, attese le risultanze di causa, va quantificato in € 2.132,95 relativamente alle spese anche latu sensu mediche, come allegate e documentate e complessivamente ritenute congrue/inerenti al percorso assistenziale dal CTU. 

Su quanto liquidato decorreranno rivalutazione monetaria ed interessi secondo quanto appresso indicato per il danno non patrimoniale. 

7.1 Il danno non patrimoniale, alla luce dei criteri in uso presso questo Tribunale, che fanno riferimento alle tabelle milanesi 2018, rielaborate a seguito della sentenza delle Sezioni Unite dell’11.11.2008, tenendo in considerazione anche il ristoro dovuto per la sofferenza morale soggettiva, va quantificato, vista l’età del danneggiato al momento del sinistro (75 anni), come segue: danno biologico permanente (IP) nella misura massima stimata dal c.t.u del 5% pari a Euro 5.820,00

Passando alla liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla ritenuta invalidità temporanea (totale di: gg. 10 al 100%; gg. 20 al 75%; gg. 60 al 50% e di gg. 90 al 25%), anche al riguardo la Terza Sezione Civile ha adottato la liquidazione congiunta del danno biologico e morale, come quantificato nelle citate tabelle del Tribunale di Milano in una forbice giornaliera da un minimo di € 96,00 ad un massimo di € 147,00; nel caso in esame, poiché la sofferenza temporanea patita causalmente ricollegabile all’intervento risulta significativa, atteso il calvario sanitario e la lunghezza del periodo, appare equa una quantificazione giornaliera corrispondente all’importo di € 120,00 per il valore massimo del 100%; il complessivo ammontare di tale danno risulta così pari ad € 8.800,00 (1.000,00+1.500,00+3.600,00+2.700,00). 

E’ evidente, infatti, che tale posta deve scontare inevitabilmente la natura di danno differenziale e, quindi, non può comprendere quanto discendente comunque dall’intervento e quanto riconosciuto per tali finalità dall’INAIL, come condivisibilmente evidenziato dal Collegio dei CTU. 

  1. Sulle somme tutte indicate, previa ovvia devalutazione –ove necessario-trattandosi di somme attualizzate alle Tabelle Milanesi 2018, andranno corrisposti l’ulteriore rivalutazione, secondo gli indici ISTAT dalla data del sinistro ovvero dell’esborso effettivo (per le sole spese), alla data della presente pronuncia, e gli interessi legali, questi ultimi da calcolarsi sulle somme rivalutate anno per anno a decorrere dal sinistro (cfr. in termini Cass. SU 1712/95) fino alla presente decisione. 

Infatti, trattandosi di debito di valore, va accolta la richiesta di rivalutazione monetaria, determinata secondo gli indici Istat, mirante a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima del fatto illecito che ha generato il danno sino alla data della decisione definitiva. Considerato che la maggior somma così attribuita rappresenta il valore monetario del bene perduto dal danneggiato, va riconosciuto anche il danno provocato dal ritardato pagamento in misura pari agli interessi legali, facendo ricorso, al riguardo, a criteri presuntivi ed equitativi, da calcolare sulla somma via via rivalutata, (cfr., in termini, Cass. S.U. n. 1712/1995).

A seguito della liquidazione qui operata il debito di valore si converte in debito di valuta e su di esso dovranno computarsi gli interessi moratori ex lege

E’ evidente che nel caso di danno emergente il dies a quo è costituito dall’effettivo esborso. 

  1. Null’altro va riconosciuto a titolo di danno patrimoniale e non. 

In particolare si evidenzia che la quantificazione percentuale della invalidità permanente riguarda una valutazione di carattere globale in ambito di danno biologico, quest’ultimo considerato in un aspetto statico, corrispondente al bene primario della integrità psico-fisica in sé per sé considerata, ed in un aspetto dinamico, corrispondente alle manifestazioni o espressioni quotidiane del bene salute, che riguardano sia l’attività lavorativa che extra-lavorativa, assumendo in tal senso un contenuto più ampio e totalizzante comprensivo di tutte quelle figure di danno come la capacità lavorativa generica, il danno alla vita di relazione, alla sfera sessuale e il danno estetico etc.. Per quanto appena detto non va concessa una ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno morale o altro, così come richiesto da parte attorea, ritenendola ricompresa nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale sub specie di danno biologico da invalidità permanente. La giurisprudenza prevalente, alla luce degli arresti della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. SU 11.11.2008 nn. 26795; 26794; 26973 e 26792), definisce il danno non patrimoniale quale categoria omnicomprensiva all’interno della quale le voci di danno morale, esistenziale, da vita di relazione sono delle categorie descrittive ricomprese nel concetto di danno biologico nella sua accezione ampia di pregiudizi attinenti agli spetti dinamico relazionali della vita del danneggiato: ne consegue che in sede di liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale non devono trovare spazio le duplicazioni risarcitorie. Pertanto, il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno esistenziale ed il danno sportivo etc., stante la natura unitaria del danno non patrimoniale, non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili.

9.1 Per le medesime ragioni non può riconoscersi alcuna personalizzazione in ragione sia degli esiti accertati, che non paiono particolarmente rilevanti o significativamente sintomatici di una apprezzabile sconvolgimento delle abitudini quotidiane sia per l’assenza di rigorosa prova di esso sconvolgimento e comunque di un maggior pretium doloris, ciò dicasi conformemente all’orientamento della Terza Sezione del Tribunale aditocompetente in via esclusiva per i danni alla salute.

In parte qua non può che ribadirsi la genericità delle circostanze allegate da parte attorea, genericità che scontano anche gli articoli di prova a ciò dedotti, che pertanto non vanno ammessi in quanto anche ove provati non darebbero di certo conto di uno sconvolgimento, ma solo di un ordinario patimento già stimato dalle tabelle milanesi. 

9.2Nella può essere liquidato in ordine all’invocata lesione al diritto all’informazione. Se è indubbio che essa sia stata carente, è altrettanto indubbio, perché incontestato, che parte attorea non si è vista preclusa alcuna migliore prospettiva di cura e che quella concretamente attuata risultava corretta ed idonea a risolvere la grave ed ingravescente patologia, che l’affliggeva da tempo, e che la strada chirurgica, quella strada chirurgica, era l’unica percorribile. Conseguentemente non si apprezza, anche per il palese difetto di allegazione, alcuna serietà del pregiudizio arrecato al diritto all’informazione. 

  1. Azione di regresso. La CASA DI CURA ha domandato, in via subordinata che, in caso di accoglimento della domanda attorea, il dott. Y fosse condannato a tenerla indenne. 

Preliminarmente si osserva che tale domanda deve essere qualificata come domanda riconvenzionale trasversale di regresso, posto che è stata formulata da un convenuto nei confronti di altro convenuto del medesimo giudizio. 

Nel merito, tale domanda non può essere accolta. 

In primo luogo, si osserva che la condotta inadempiente della Casa di Cura si mostra quantomeno paritaria rispetto a quella del medico operatore, atteso che la prima, circostanza pacifica, ha messo a disposizione strutture e strumentazioni necessarie, oltre che personale medico ed infermieristico, ed in particolare, come allegato dal medico e non espressamente contestato, anche i mezzi protesici adoperati. 

In secondo luogo, va richiamato il recentissimo arresto della Suprema Corte, secondo il quale «” In tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione.”» (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 28987 del 11/11/2019 (Rv. 655790 – 01)). E’ evidente che nessun eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute, che è oggetto dell’obbligazione, è stato anche solo allegato. 

    1. In ordine alla domanda di garanzia propria svolta dalla Casa di Cura nei confronti della Compagnia assicuratrice va immediatamente evidenziato, quale ragion liquida, che la franchigia di €. 25.000,00 ex art. 14, protestata dall’assicurazione e mai contestata dall’assicurata, con ogni evenienza probatoria ex art. 115 cpc, assorbe interamente l’odierna liquidazione. Pertanto nessuna condanna a manlevare può astrattamente configurarsi. 
    2. Le spese, liquidate in parte dispositiva in base al decisum, vanno compensate nella misura del 50% e seguono la soccombenza nella quota residua (50%) nei reciproci rapporti, ad eccezione del rapporto tra i due convenuti e tra la Casa di Cura e la Compagnia, rispetto ai quali sussistono valide e giustificate ragioni oggettive per una loro integrale compensazione, integrate dalla complessità della vicenda e dalla difficoltà dell’accertamento medico circa i relativi profili di responsabilità nonché del recentissimo arresto giurisprudenziale già evidenziato. 

Le spese di CTU, negli importi già liquidati, andranno definitivamente poste in egual misura a carico di tutte le parti, attorea, convenute e terza, con conseguente obbligo di rimborso a favore di quella attorea di quanto dalla stessa già eventualmente anticipato a tale titolo oltre la quota di spettanza. 

In una recente pronuncia, (Cass., ord. 2274/2017) la Corte di Cassazione, richiamando quanto già precedentemente affermato sul punto da numerose altre pronunce di legittimità (cfr., ex multis, Cass., 11423/2016, Cass., 3438/2016, Cass., 21684/2013) considera che la “soccombenza reciproca”, tale da giustificare la possibile applicazione della regola della compensazione parziale o totale delle spese, va ravvisata nell’ipotesi in cui “vi sia un pluralità di domande contrappostedelle quali alcune vengono rigettate e altre accolte, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero in ipotesi di “accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati altri” o, infine, nel caso di “parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in un unico capo”. 

Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi di soccombenza reciproca, poiché la domanda attorea, pur fondata, è stata quantitativamente accolta solo in parte, risultando notevolmente ridimensionata. Al fine di individuare la parte alla quale siano imputabili in misura prevalente gli oneri processuali, il giudice di merito è chiamato ad una valutazione discrezionale, fondata sul criterio costituito dal principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per avere resistito a pretese fondate ovvero per avere avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi. 

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattese o assorbite, così provvede: 

  1. accoglie parzialmente la domanda proposta da X nei confronti di DOTT. Y e di CASA DI CURA ALFA SPA, per l’effetto, dichiarata la responsabilità contrattuale dei convenuti, li condanna al pagamento in solido, in favore di parte attorea, per le causali indicate in parte motiva, delle seguenti somme o poste: 
  2. a) Euro 5.820,00 + Euro 8.800,00 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi e rivalutazione come indicati in parte motiva; 
  3. b) euro 2.132,95 per danno patrimoniale, oltre interessi e rivalutazione come indicati in parte motiva; 
  4. c) del 50% delle spese di lite, che liquida nell’intero (100%) in Euro 518,00 + 27,00 per spese ed Euro 4.835,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA, CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, compensando la quota residua (50%), spese da distrarsi in favore dei costituiti avvocati. 
  5. Pone definitivamente a carico di tutte le parti le spese per CTU, negli importi già liquidati, con conseguente obbligo e condanna delle stesse al rimborso in favore di parte attorea di quanto dalla stessa eventualmente già anticipato a tale titolo oltre la quota di spettanza. 
  6. rigetta la domanda di garanzia propria svolta dalla CASA DI CURA ALFA SPA nei confronti di UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA e quella di regresso svolta nei confronti del Dott. Y, compensando per intero le spese di lite. 
  7. Dichiara la presente sentenza esecutiva ex lege. 

Bologna 14.01.2020 

Il Giudice 

Dott. Pietro Iovino 

 

 

Si deve tenere conto, perciò, che il medico o in genere il personale non medico, che opera all’interno di quella struttura sanitaria, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/99, 5945/00, 6386/01, 3492/02). 

 Ulteriore precisazione in fatto è anche quella che vede il medico odierno come sanitario di fiducia di parte attorea, al quale la stessa si è rivolta in libera professione.

Originally posted 2020-03-05 09:54:30.

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