BELLUNO INCIDENTE MORTALE PRESCRIZIONE DANNO
Preliminarmente occorre rilevare che non è fondata l’eccezione della società resistente, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perchè soltanto al giudice del merito “compete la prerogativa, esclusiva ed inderogabile, quanto alla verifica se nel caso concreto si fosse in presenza di atti interattivi della maturata prescrizione”.
Al riguardo osserva questa Corte che la prospettazione in Cassazione di una mera quaestio facti, seppure rende inammissibile la censura, non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma ne comporta il rigetto.
I giudici d’appello consideravano che, nella specie, le trattative per comporre bonariamente la vertenza non erano da collegare all’ammissione della fondatezza della pretesa risarcitoria, in quanto esse si erano svolte con il liquidatore della società, privo dell’effettivo potere di rappresentare l’assicuratore ed il cui comportamento neppure era risultato idoneo ad ingenerare nei danneggiati il convincimento incolpevole che di tale potere egli fosse munito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NICASTRO Gaetano – Presidente
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere
Dott. PURCARO Italo – Consigliere
Dott. TRIFONE Francesco – rel. Consigliere
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
incidente mortale o grave risarcimento
XXXXXX, in proprio e in qualità di eredi del sig.XXXX, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio dell’avvocato KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO, che li difende unitamente all’avvocato TRIOLO GIUSEPPE, giusta delega in atti;
INCIDENTE CON VITTIME, FERITI GRAVI STRDA AUTOSTRADA
– ricorrenti –
contro
COMPAGNIA REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Dirigente del Servizio Affari Legali, elettivamente domiciliata in ROMA VIA VESPASIANO 17/A, presso lo Studio dell’avvocato INCANNO’ GIUSEPPE, che la difende unitamente all’avvocato PRADE ANTONIO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1009/02 della Corte d’Appello di VENEZIA, sezione quarta civile emessa il 17/4/2002, depositata il 22/07/02;
-
875/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 07/10/05 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;
udito l’Avvocato TEODORO KLITSCHEDELA GRANGE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con citazione innanzi al tribunale di Belluno ritualmente XXXXXXconvenivano in giudizio XXXXXe la società Reale Mutua di Assicurazioni spa per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni, che reclamavano nella misura di lire 302.125.800 in conseguenza della morte del loro congiuntoXXXXXX, che, trasportato a bordo di un autoveicolo (di proprietà del convenuto ed assicurato per i danni derivanti dalla sua circolazione con la predetta società), era deceduto il 5 gennaio 1992 a seguito di sinistro stradale, la cui responsabilità gli attori addebitavano al guidatore XXXXNella contumacia diXXXXXX, la costituita società di assicurazione eccepiva l’avvenuta prescrizione dell’azione, maturata per il compimento del periodo biennale e non interrotta da alcuno degli aventi diritto, irrilevanti essendo a tal fine le semplici trattative intercorse per comporre bonariamente la vertenza.
Il tribunale, con sentenza parziale, dichiarava prescritta l’azione nei confronti della società di assicurazione, ai sensi dell’art. 2947, secondo e terzo comma, cod. civ., e disponeva separatamente per la prosecuzione del giudizio tra le altre parti.
Avverso la sentenza proponevano impugnazione XXXXXe la Corte d’appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 22 luglio 2002, rigettava il gravame.
I giudici d’appello consideravano che, nella specie, le trattative per comporre bonariamente la vertenza non erano da collegare all’ammissione della fondatezza della pretesa risarcitoria, in quanto esse si erano svolte con il liquidatore della società, privo dell’effettivo potere di rappresentare l’assicuratore ed il cui comportamento neppure era risultato idoneo ad ingenerare nei danneggiati il convincimento incolpevole che di tale potere egli fosse munito.
Ritenevano che la condotta del liquidatore non aveva mai assunto la valenza di rinuncia alla prescrizione e che, in particolare, anche l’offerta della somma di lire 110.000.000 doveva essere correttamente valutata nell’ottica di definizione della vertenza.
AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA
Precisavano che la rinuncia alla prescrizione si sarebbe potuta concretare solo dopo che la prescrizione si fosse compiuta e che, al riguardo, la riserva formulata dal liquidatore di rappresentare alla direzione della società le richieste dei congiunti della vittima costituiva elemento di valenza neutra, sia in ragione della sua provenienza, sia in relazione al suo contenuto meramente interlocutorio.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso, in proprio e nella qualità di eredi di XXXXnelle more deceduto, XXXXXXX, i quali hanno affidato l’impugnazione a quattro mezzi di doglianza.
Ha resistito con controricorso la società Reale Mutua di Assicurazioni spa, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
Preliminarmente occorre rilevare che non è fondata l’eccezione della società resistente, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perchè soltanto al giudice del merito “compete la prerogativa, esclusiva ed inderogabile, quanto alla verifica se nel caso concreto si fosse in presenza di atti interattivi della maturata prescrizione”.
Al riguardo osserva questa Corte che la prospettazione in Cassazione di una mera quaestio facti, seppure rende inammissibile la censura, non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma ne comporta il rigetto.
MALASANITA’ AVVOCATO ESPERTO
Con il primo motivo del ricorso -deducendo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per mancata o erronea valutazione di diverse risultanze probatorie in relazione a quanto stabilito dagli art. 2944 e 2937 cod. civ. nonchè la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2727 e 2729 stesso codice in relazione alla sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti in ordine al riconoscimento del diritto da parte di colui che invoca la prescrizione ex art. 2944 e in ordine alla rinuncia alla prescrizione ex art. 2937 cod. civ. – i ricorrenti criticano l’impugnata sentenza perchè il giudice del merito:
non avrebbe preso in considerazione tutte le prove offerte al suo esame;
non avrebbe dato spazio alla rilevanza della prova per presunzioni;
non avrebbe considerato che il liquidatore non poteva non essere consapevole del fatto che vi era una responsabilità dell’assicurato;
non avrebbe valutato che la condotta processuale dell’assicuratore non conteneva, in ordine all’an debeatur, alcuna contestazione;
non aveva ritenuto che dalle modalità del sinistro, risultanti dal fascicolo penale, derivava, chiara ed inconfutabile, la responsabilità del conducente dell’autoveicolo assicurato.
Assumono che per tali ragioni le trattative con il liquidatore della società avevano avuto ad oggetto solo la quantificazione del danno e non anche la questione dell’an debeatur, perchè doveva ritenersi pacifico da parte dell’assicuratore il riconoscimento del diritto dei danneggiati.
Con il secondo motivo del ricorso – deducendo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè la violazione della norma di cui all’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ.- i ricorrenti sostengono che il giudice del merito non avrebbe dato rilievo adeguato alla circostanza che una trattativa protratta per circa due anni non poteva prescindere da un preesistente riconoscimento di responsabilità, cui dava conferma anche la richiesta dei documenti necessari all’istruzione della pratica necessaria al successivo adempimento dell’obbligazione risarcitoria.
I due motivi, che vanno trattati congiuntamente perchè entrambi sono riferiti al preteso vizio di motivazione sul punto relativo al mancato riconoscimento da parte della società di assicurazione del diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni, non possono essere accolti, giacchè essi, in realtà, non prospettano vizi argomentativi della decisione, ma sollecitano in questa sede il riesame del materiale probatorio al fine di farne discendere una conclusione diversa da quella cui è pervenuto il giudice del merito.
L’indagine che si propone non rientra, però, nelle attribuzioni del giudice di legittimità, che non ha il potere di rivedere il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.
Nella specie, infatti, nell’iter motivazionale del giudice del merito non si rinviene traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio; nè esiste, tra le argomentazioni complessivamente adottate, contrasto tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Tutte le censure, che i ricorrenti hanno riproposto in questo giudizio di Cassazione, sono state oggetto di specifica e dettagliata valutazione da parte del giudice del merito, il quale ha spiegato che:
-
a) gli appunti manoscritti del liquidatore, contenenti l’indicazione dei documenti occorrenti alla ulteriore istruzione della pratica, lasciando impregiudicata la questione relativa alla sussistenza del diritto al risarcimento, sarebbero serviti soltanto per individuare i soggetti a favore dei quali andava quantificato l’entità complessiva dei danni in caso di eventuale successivo riconoscimento del relativo credito;
-
b) l’accesso alle trattative non aveva implicato il riconoscimento, neppure implicito, del diritto al risarcimento, poichè i contatti tra le parti erano stati ben lontani dal dare la certezza di un intervenuto accordo in ordine all’an debeatur;
-
c) il riconoscimento del credito neppure era da collegare ad esplicita ammissione della fondatezza della pretesa, che l’assicuratore avrebbe operato attraverso la condotta del liquidatore, perchè costui non aveva in proposito espresso lo specifico “atto negoziale volitivo” all’uopo occorrente, ma aveva piuttosto manifestato una sua personale valutazione;
-
d) il fatto che il liquidatore avesse fatto cenno alla necessità di ottenere dalla sede centrale l’assenso ad una revisione migliorativa dell’offerta transattiva smentiva l’assunto per il quale lo stesso liquidatore fosse munito di poteri dispositivi negoziali, conferitigli dalla società di assicurazione, in virtù dei quali potesse effettuare il riconoscimento del credito di risarcimento.
Con il terzo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 115, 116 e 244 cod. proc. civ. in relazione alle richiesta prova orale – i ricorrenti prospettano contro l’impugnata sentenza i seguenti rilievi:
1) il giudice del merito avrebbe posto a fondamento della sua decisione non le prove orali realmente acquisite, ma il contenuto dei relativi capitoli, senza tenere conto del fatto che molti dei dettagli e delle osservazioni, di cui alla sentenza, avrebbero potuto trovare risposta in sede di escussione del teste;
2) il giudice del merito non avrebbe dovuto, sul presupposto che il relativo accertamento si sarebbe risolto nel riscontro di una personale valutazione dell’interessato, negare l’ammissione della prova orale in ordine alla circostanza dell’avvenuto riconoscimento, che il liquidatore della società avrebbe offerto del diritto al risarcimento.
Il motivo non può essere accolto in relazione a nessuno dei due rilievi innanzi esposti.
Il giudice del merito ha escluso (in base alla motivazione che, per quel che si è innanzi detto nell’esame dei primi due motivi del ricorso, questa Corte ritenuta corretta) che sussistesse il potere del liquidatore di impegnare la volontà della società con atto negoziale ricognitivo del preteso credito, per cui non mette conto stabilire se lo stesso liquidatore abbia dato atto del buon diritto dei ricorrenti, visto che detto eventuale riconoscimento non avrebbe potuto impegnare la società e si sarebbe risolto in una sua “personale valutazione”.
Di conseguenza, non è censurabile la mancata ammissione della prova orale sul punto, avendo il giudice del merito adeguatamente argomentato sull’irrilevanza del mezzo istruttorio.
Con il quarto mezzo di doglianza – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 1189, 1415 e 1416 cod. civ., in relazione all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, con riferimento all’apparenza del diritto ed all’affidamento del terzo incolpevole nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie.
I ricorrenti criticano l’impugnata sentenza nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto che, quando anche si fosse potuto attribuire al liquidatore il compimento di un atto di riconoscimento del credito, la circostanza non avrebbe potuto avere alcun valore in capo alla compagnia in assenza del conferimento di un qualsiasi potere di rappresentanza.
Assumono che si sarebbe dovuto considerare da parte del giudice del merito che il liquidatore delle compagnie assicurative ha la rappresentanza esterna dell’ente per trattare in ordine al risarcimento del danno e che gli effetti del riconoscimento del diritto, dallo stesso espresso, sono riferibili direttamente alla società.
Sostengono che il liquidatore, comunque, nel caso di specie, si sarebbe presentato nella veste di rappresentante della società, facendo credere ad essi ricorrenti di avere tutti i relativi poteri di rappresentanza della compagnia di assicurazione, sicchè, in conformità al principio dell’apparenza del diritto e della tutela dell’affidamento del terzo, il giudice del merito, (considerato, altresì, che l’ammissione dell’esistenza del diritto non costituisce atto eccedente l’ordinaria amministrazione, che non possa essere delegato ad un settore dell’organizzazione societaria preposto alla cura del relativo affare) avrebbe dovuto ritenere realizzata la fattispecie interruttiva di cui all’art. 2944 cod. civ. nei confronti della società di assicuratrice.
Aggiungono che, dopo il mortale incidente, la società di assicurazione aveva preso contatti con essi ricorrenti, per il tramite del perito Corrado Coletta, per valutare la situazione economica di Abramo Walter Lena e dei suoi familiari, sicchè costoro non avevano tenuto un comportamento non diligente, dato che ad essi appariva indubbio il potere del liquidatore di rappresentare la società.
Il motivo non può essere accolto per nessuno dei tre profili in cui esso si articola.
In ordine al primo di essi, l’affermazione per la quale delle compagnie di assicurazione il liquidatore avrebbe istituzionalmente la rappresentanza per trattare in ordine al risarcimento dei danni, è priva di qualsiasi giustificazione: il liquidatore dei sinistri non è un organo della società, cui la legge attribuisce detto potere nè risulta che, nella specie, lo stesso sia stato autorizzato a rappresentare la società in base a mandato a lui conferito.
Quanto agli altri due profili, devesi osservare che l’apparenza di un diritto si ha sia allorchè una situazione giuridica, in realtà inesistente, appare esistente ad un soggetto, il quale la invoca, non in conseguenza di un suo comportamento colposo (cd. apparenza pura);
sia allorchè sussiste l’ulteriore elemento costituito dal comportamento colposo del soggetto, nei cui confronti è invocata l’apparenza che ne determina l’insorgere (cd. apparenza colposa).
Nell’una e nell’altra delle due situazioni è tutelata la posizione del soggetto al quale la situazione giuridica appare, senza sua colpa, esistente, essendosi data la prevalenza, nel conflitto dei contrapposti interessi, all’affidamento che il soggetto stesso ripone su ciò che gli appare, con la conseguenza che la situazione giuridica apparente (ma in realtà inesistente) è considerata vera e reale nei suoi confronti in tutte le implicazioni e conseguenze che essa può avere.
Anche la rappresentanza apparente integra una ipotesi di cosiddetta apparenza di diritto (colposa), ma, perchè tale effetto si verifichi, occorre che si ravvisino non solo l’apparente esistenza, in un soggetto, del potere di rappresentare altro soggetto e l’assenza di colpa del terzo al quale il potere di rappresentanza appare, ma anche un comportamento colposo del soggetto apparentemente rappresentato, che determini l’insorgere dell’apparenza.
Orbene, nella concreta fattispecie il giudice del merito, secondo una ratio decidendi logica e congrua (peraltro neppure oggetto di specifica impugnazione da parte dei ricorrenti), ha dato atto che il liquidatore avrebbe dovuto richiedere alla sede centrale della società l’assenso per un’eventuale revisione migliorativa dell’offerta transattiva.
La circostanza, nella valutazione che ne ha dato il giudice del merito, è stata considerata significativa del fatto che i ricorrenti avevano contezza di non trattare con un soggetto munito di poteri dispositivi, ma con un semplice intermediario.
Il che, in aderenza alla regola per la quale la rappresentanza apparente non si ravvisa quando nel terzo non si è ingenerato il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente sia stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sulla esistenza di detto potere, non espone a censura la conclusione, cui è pervenuta l’impugnata sentenza, di irrilevanza di un eventuale atto di riconoscimento del credito da parte del liquidatore al fine di interrompere la prescrizione con effetti estensibili alla società.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Sussistono giusti motivi (art. 92 cod. proc. civ.) per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2005
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