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https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2014/07/22/maltrattamenti-contro-familiari-e-conviventi

VIOLENZA PSICOLOGICA IN FAMIGLIA

ART 572 CP TRIBUNALE BOLOGNA : VIOLENZA PSICOLOGICA IN FAMIGLIA

Se analizziamo la violenza psicologica abbiamo che la stessa è lo strumento attraverso il quale l’uomo ha il suo imperio sulla donnala quale ne diviene a tutti gli effetti succube ed incapace di reagire di fronte a tali aggressioni psicologiche. La mancata denuncia della donna,  vittima dei predetti atteggiamenti prevaricatori del proprio partner, non fa altro che contribuire alla reiterazione degli stessi ed al loro aggravamento. Il reato di maltrattamenti è un reato contro l’assistenza familiare e «il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dell’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica» (Sez. III, 13 dicembre 2011 n. 46196).

«La latitudine applicativa della fattispecie è determinata dall’estensione di rapporti basati sui vincoli familiari, intendendosi per famiglia ogni gruppo di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, si siano instaurati rapporti di assistenza e solidarietà reciproche per un apprezzabile periodo di tempo» (Sez. V, 22.5.2008 n. 20647; Sez. II, 22.10.2009 n. 40727), senza la necessità della convivenza o di una stabile coabitazione (Sez. VI, 1.3.2011 n. 7929 ha configurato i maltrattamenti posti in essere dall’amante e Sez. V, 30.6.2010, dal fidanzato).

«Al di là della lettera della norma incriminatrice (“chiunque”) il reato di maltrattamenti familiari è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di “autorità” o peculiare “affidamento” nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall’art. 572 c.p. (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Specularmente il reato può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate».

Il reato di atti persecutori è un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia “reiterati” (reato abituale) e che non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche. Il rapporto tra tale reato e il reato di maltrattamenti è regolato dalla clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612 bis co. 1 c.p. (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), che rende applicabile – nelle condizioni date prima descritte – il reato di maltrattamenti, più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella sua forma generale di cui all’art. 612 bis co. 1 c.p. Soltanto la forma aggravata del reato prevista dal 2° comma dell’art. 612 bis c.p. recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia (in senso stretto e suo proprio, con esclusione delle altre comunità assimilate ex art. 372 co. 1 c.p.) e che ne costituiscono – se così può dirsi – postume proiezioni temporali, allorché il soggetto attivo (in questa forma aggravata il reato acquista natura di reato proprio) sia il coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa (cioè da una aggregazione in sostanza surrogatoria della famiglia stricto sensu). Sotto questo profilo, ferma l’eventualità ben possibile di un concorso apparente di norme che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori, il reato di cui all’art. 612 bis c.p. diviene idoneo a sanzionare con effetti diacronici comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò che può valere, in particolare (se non unicamente), in caso di divorzio o di “relazione affettiva” definitivamente cessata, giacché anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) questa S.C. ha affermato la ravvisabilità del reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi (cfr.: Cass. Sez. 5, 1.2.1999 n. 3570, Valente, rv. 213515; Cass. Sez. 6, 27.6.2008 n. 26571, rv. 241253)

La violenza psicologica ricorre laddove il maltrattante usa un linguaggio umiliante e denigratorio nei confronti della propria donna e di tale gravità da pregiudicarne, a lungo andare, il benessere psico-fisico.

 MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il delitto previsto dall’art.572 c.p. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la vittima ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza.

Cass. pen. Sez. VI, 08/02/2017, n. 10901

 

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il delitto di maltrattamenti è una fattispecie necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo.

Cass. pen. Sez. VI, 06/04/2016, n. 24375

 

 MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: Elemento oggettivo (materiale) della condotta.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche da atti non costituenti in sè reato,  del resto, anche semanticamente, il termine “maltratta” non evoca in sè la necessità del compimento di singole condotte riconducibili a fattispecie tipiche ulteriori rispetto a quella di cui all’art.572 c.p.  (per questa affermazione cfr. Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv.256962; per interessanti fattispecie applicative, v. Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 2013, T., Rv. 255175, nonchè Sez. 6, n. 8396 del 07/06/1996, Vitiello, Rv. 205563).

Cass. pen. Sez. VI, 10/03/2016, n. 13422.

 

 MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

La condotta di maltrattamenti contro familiari o conviventi può consistere anche nella privazione pressoché totale del sostegno economico ai danni della persona offesa, a maggior ragione se unita ad ulteriori condotte vessatorie di altro genere. Non può invece rientrare nella fattispecie di cui all’art.572 c.p. la costrizione del coniuge al rapporto sessuale: il rapporto di coniugio non comporta alcun diritto a pretenderne la consumazione contro la volontà del consorte, ragion per cui il predetto comportamento integra pienamente il delitto di violenza sessuale ex art.609 bis c.p.

Cass. pen. Sez. III, 19/01/2016, n. 18937

 

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti.

Cass. pen. Sez. VI, 28/06/2017, n. 40959

 

 MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: DICHIARAZIONI DELLA PERSONA OFFESA

Le regole dettate dall’art.192, comma 3, c.p.p., non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Nel reato di maltrattamenti di cui all’art.572 c.p. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari. Nel reato abituale il dolo non richiede infatti – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.

Cass. pen. Sez. VI, 06/10/2017, n. 49997

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Nel reato di maltrattamenti familiari possono essere riconosciute le attenuanti generiche di cui all’art.62 bis c.p. ai genitori che, per la loro inadeguatezza etno-culturale, ritengono consentite punizioni corporali sul figlio minore che nel Paese di origine (Marocco) non costituiscono illecito, allorquando la loro incapacità culturale non gli ha permesso di rendersi conto della patologia diagnosticata al figlio stesso a causa dei loro atti, nonché per la loro incapacità di gestirne i suoi comportamenti oppositivi e provocatori (ricondotti, pur sbagliando, ad aspetti caratteriali) che si proponevano di contenere con metodi non certamente consentiti ed erroneamente ritenuti educativi.

Cass. pen. Sez. VI, 15/02/2017, n. 10906

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: INCONFIGURABILITA’

In un contesto familiare di continua conflittualità, ove alla veemenza verbale ed alla collera del marito la moglie risponde con capacità reattiva e non con un supino atteggiamento, non può configurarsi il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Cass. pen. Sez. VI, 13/11/2015, n. 5258

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: INCONFIGURABILITA’

Le condotte criminose poste in essere nei confronti del familiare convivente integranti percosse ed umiliazioni in danno del medesimo, ma prive del connotato dell’abitualità, in quanto verificatesi nell’ambito di un rapporto conflittuale, e di volta in volta commesse quale (abnorme) reazione occasionata da specifici comportamenti posti in essere dalla vittima, e, dunque, non come espressione della volontà di determinare in questa un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, non risultano sussumibili nel reato di maltrattamenti in famiglia, ma integrano distinti episodi autonomamente rilevanti (nella specie di percosse, di lesioni, ed eventualmente di diffamazione, tuttavia non perseguibili per difetto o rimessione accettata di querela).

Cass. pen. Sez. VI, 19/04/2017, n. 27088

 

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: Rapporti familiari di fatto – Cessazione della convivenza – Configurabilità del reato – Condizioni – Ragioni

In tema di reati contro la famiglia, è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione. Peraltro, il reato persiste anche in caso di separazione legale, tenuto conto del fatto che tale stato, pur dispensando i coniugi dall’obbligo di convivenza e di fedeltà, lascia tuttavia integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione. Pertanto, atteso che la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie incriminatrice di cui all’art.572 c.p., la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, quando l’attività vessatoria si valga proprio o comunque incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente.

Cass. pen. Sez. VI, 13/12/2017, n. 3356

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il delitto di cui all’art.572 c.p. sussiste in caso di reiterate condotte vessatorie poste in essere in costanza di separazione legale o di fatto, in presenza della quale persistono i doveri di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale e di solidarietà sociale sorti dal rapporto coniugale.

Cass. pen. Sez. VI, 01/02/2017, n. 10932

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

In tema di reato di maltrattamento, la cessazione della convivenza da parte di un uomo – non legato con la donna maltrattata da rapporto di coniugio – non consente di qualificare la prosecuzione della condotta persecutoria nell’ambito del reato di cui all’art.572 c.p., dovendosi tale parte della condotta qualificare nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 612 bis, comma 2, c.p..  (Ferma l’eventualità ben possibile di un concorso apparente di norme che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori, il reato di cui all’art. 612 bis c.p. diviene idoneo a sanzionare con effetti diacronici comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò che può valere, in particolare (se non unicamente), in caso di divorzio o di “relazione affettiva” definitivamente cessata, giacchè anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) questa S.C. ha affermato la ravvisabilità del reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi (cfr.: Cass. Sez. 5, 1.2.1999 n. 3570, Valente, rv. 213515; Cass. Sez. 6,27.6.2008 n. 26571, rv. 241253) (conforme Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D’A., Rv. 267942)).

Originally posted 2022-06-05 08:54:44.

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