RESPONSABILITA’ CIVILE ART 2054 CC

-SCONTRO TRA VEICOLI-DANNO ALLA SALUTE-

DANNO PATRIMONIALE DA INCAPACITA’ LAVORATIVA -PROVAA110RESPONSABILITA’ CIVILE ART 2054 CC-SCONTRO TRA VEICOLI-DANNO ALLA SALUTE-DANNO PATRIMONIALE DA INCAPACITA’ LAVORATIVA -PROVA

Il danno sub (a) costituisce un danno non patrimoniale, del quale tenere conto nella liquidazione del danno biologico attraverso una adeguata personalizzazione del risarcimento.

I danni sub (b) e (c) costituiscono un danno al patrimonio;

Il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno può essere accordato pertanto non già a chi si limiti a dimostrare di avere subito lesioni personali, ma soltanto a chi deduca e dimostri che, a causa di quelle:

(a) ha perso in tutto od in parte il proprio reddito;

(b) pur avendo conservato il proprio reddito in atto, in futuro tale reddito si contrarrà, ovvero crescerà meno di quanto non sarebbe avvenuto in assenza del danno.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rilevato in facto che il danneggiato non aveva “fornito alcuna prova di contrazione de proprio reddito” (così la sentenza impugnata, pag. 4), sicchè correttamente ha escluso l’esistenza del danno patrimoniale da incapacità di guadagno.

Nè, ovviamente, quest’ultimo poteva essere ritenuto sussistente sol perchè il consulente tecnico medico legale nominato dal giudice aveva preteso di quantificare nella misura del 6% la c.d. “incapacità lavorativa specifica”: a prescindere infatti da qualsiasi considerazione circa la possibilità di misura in punti percentuali, nell’ambito della responsabilità civile, la perdita della capacità di lavoro e di guadagno, resta il fatto che il danno di cui si discorre non è un danno in re ipsa, e che la suddetta quantificazione del c.t.u. non legittimava per ciò solo il giudice di merito ad accordare, il risarcimento, in mancanza della prova d’una effettiva o presumibile contrazione del reddito.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 29 luglio 2014, n. 17220

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16849/2008 proposto da:

M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 26, presso lo studio dell’avvocato BRIGIDA FERDINANDO MARIO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA SAI SPA (già SAI COMP ASSIC SPA) (OMISSIS), in persona del suo procuratore speciale Dott. C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

T.G.;

– intimata –

aincidente moto1aincidente 10avverso la sentenza n. 1968/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/05/2007 R.G.N. 7784/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso e rigetto del secondo.

Svolgimento del processo

1. Nel 1999 il sig. M.D. convenne dinanzi al Tribunale di Roma T.G. e la SAI s.p.a. (che successivamente muterà ragione sociale in “Fondiaria-SAI s.p.a.”, e come tale sarà d’ora innanzi indicata), esponendo che:

– il (OMISSIS), si era verificato un sinistro stradale che aveva coinvolto il motoveicolo Yamaha TT600, targato (OMISSIS), condotto da esso attore, e l’autoveicolo Fiat 126 targ. (OMISSIS), condotto da D.C.S., di proprietà di T. G. ed assicurato per la r.c.a. dalla SAI s.p.a.;

– la responsabilità dell’accaduto doveva ascriversi al conducente dell’autoveicolo, il quale si era immesso nel flusso della circolazione provenendo da un’area privata, senza concedere la prescritta precedenza ai veicoli in transito.

Concluse pertanto chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno.

2. Ambedue i convenuti contestarono nel quantum le pretese attoree.

Il Tribunale di Roma con sentenza 13.6.2002 n. 24035 accolse la domanda.

L’attore impugnò tuttavia la decisione, lamentando una sottostima del danno.

La Corte d’appello di Roma con sentenza 2.5.2007 n. 1968 accolse parzialmente il gravame: in particolare liquidando una più cospicua somma a titolo di danno morale, e rideterminando il danno da mora.

3. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione dal sig. M. D., in base a due motivi.

Resiste con controricorso la sola Fondiaria – SAI s.p.a.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso il sig. M.D. sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Lamenta, in particolare, il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, “pur in presenza di accertata incapacità lavorativa specifica del 6%”, così determinata dal c.t.u.

In tal modo, la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato.

Una lesione della salute può riverberare tre tipi di conseguenze sul lavoro svolto dalla vittima:

(a) maggiore stancabilità o minore efficienza nello svolgimento dell’attività lavorativa (c.d. danno alla cenestesi lavorativa);

(b) perdita del lavoro, e di conseguenza del reddito;

(c) conservazione del lavoro, ma con riduzione del reddito, tanto in atto quanto in potenza.

Il danno sub (a) costituisce un danno non patrimoniale, del quale tenere conto nella liquidazione del danno biologico attraverso una adeguata personalizzazione del risarcimento.

I danni sub (b) e (c) costituiscono un danno al patrimonio;

Il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno può essere accordato pertanto non già a chi si limiti a dimostrare di avere subito lesioni personali, ma soltanto a chi deduca e dimostri che, a causa di quelle:

(a) ha perso in tutto od in parte il proprio reddito;

(b) pur avendo conservato il proprio reddito in atto, in futuro tale reddito si contrarrà, ovvero crescerà meno di quanto non sarebbe avvenuto in assenza del danno.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rilevato in facto che il danneggiato non aveva “fornito alcuna prova di contrazione de proprio reddito” (così la sentenza impugnata, pag. 4), sicchè correttamente ha escluso l’esistenza del danno patrimoniale da incapacità di guadagno.

Nè, ovviamente, quest’ultimo poteva essere ritenuto sussistente sol perchè il consulente tecnico medico legale nominato dal giudice aveva preteso di quantificare nella misura del 6% la c.d. “incapacità lavorativa specifica”: a prescindere infatti da qualsiasi considerazione circa la possibilità di misura in punti percentuali, nell’ambito della responsabilità civile, la perdita della capacità di lavoro e di guadagno, resta il fatto che il danno di cui si discorre non è un danno in re ipsa, e che la suddetta quantificazione del c.t.u. non legittimava per ciò solo il giudice di merito ad accordare, il risarcimento, in mancanza della prova d’una effettiva o presumibile contrazione del reddito.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso il sig. M.D. sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Allega, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare alla vittima il risarcimento del danno estetico, ritenuto risarcibile solo quando comporti una riduzione del reddito.

2.2. Il motivo è palesemente infondato, e comunque frutto di una distorta lettura della sentenza d’appello.

Il c.d. danno estetico non è che una forma di invalidità permanente (e quindi un danno biologico), che nel caso di specie fu già considerato dal c.t.u. al momento della determinazione del grado di invalidità permanente. In tal senso va intesa l’affermazione della corte d’appello secondo cui l’invalidità permanente nel caso di specie andava determinata nella misura del 20% tenendo conto anche del danno estetico, il quale perciò non poteva essere “ulteriormente risarcito”, salvo il caso di allegata e dimostrata incidenza dell’inestetismo sulla capacità di guadagno.

La motivazione non poteva essere più chiara nello spiegare come le conseguenze di tipo estetico, essendo state prese in considerazione dal c.t.u. nella determinazione del grado di invalidità permanente, erano state correttamente liquidate a titolo di danno biologico, e non potevano dunque essere liquidate una seconda volta.

3. Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 383 c.p.c., comma 1:

-) rigetta il ricorso;

-) condanna M.D. alla rifusione in favore di Fondiaria SAI s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidapo nella somma di Euro 5.200,00, di cui 200,00 per spese vive, oltre IVA ed accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2014

Originally posted 2015-06-26 12:16:53.

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