MALASANITA-AVVOCATO-ESPERTO
malasanita’

La trattazione unitaria dei motivi di appello infatti,

ove connessi uno all’altro, non comporta automaticamente omessa pronuncia in relazione

all’uno o all’altro motivo, che può sussistere solo qualora nella motivazione unitaria un

aspetto particolare e denunciato con un apposito motivo di appello, non sia stato

assolutamente preso in considerazione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

In particolare, i primi tre motivi di appello, tutti relativi alla configurabilità del grave

inadempimento in capo alla struttura ospedaliera rispetto ai suoi obblighi contrattuali, non

ritenuto in prime cure, effettivamente sono collegati e ad essi la corte complessivamente

risponde affermando che non ritiene configurabile alcun venir meno agli obblighi di

sorveglianza ed assistenza da parte del personale dell’ospedale, in relazione alle risultanze

MALASANITA-AVVOCATO-ESPERTO-1
MALASANITA’ AVVOCATO ESPERTO

TROVARSI A UN PRONTO SOCCORSO E NON RICEVERE ASSISTENZA, CHIEDETE I DANNI , I PRONTO SOCCORSO DEVONO ESSERE UN SERVIZIO EFFICENTE

 

RESPONSABILITA’ MEDICA DEL PRONTO SOCCORSO ,MALASANITA’

 

OSPEDALI medici PAZIENTE DANNO
MALASANITA’ BOLOGNA : NATURA GIURIDICA RESPONSABILITA’ MEDICA- DICIAMO NO ALLA MALASANITA’
TROVARSI A UN PRONTO SOCCORSO E NON RICEVERE ASSISTENZA, CHIEDETE I DANNI , I PRONTO SOCCORSO DEVONO ESSERE UN SERVIZIO EFFICENTE

 

RESPONSABILITA’ MEDICA DEL PRONTO SOCCORSO ,MALASANITA’

 

 

 

 

foto bianco e nero 11CORTE DI CASSAZIONE CIVILE – SENTENZA  n.10832/14

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la —- denuncia la violazione di legge per error in

procedendo in relazione all’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su tutta la domanda, e per

la corte territoriale unificato i motivi di appello come se fossero parti di un’unica

doglianza.

Il motivo va rigettato, avendo legittimamente la corte esaminato congiuntamente alcuni

dei motivi di appello, in quanto obiettivamente legati, e avendo preso comunque in

considerazione tutte le doglianze sollevate, rispondendo a ciascuna di esse (a prescindere,

per il momento, dalla valutazione se la risposta data in motivazione ai motivi di appello

possa ritenersi soddisfacente o meno). La trattazione unitaria dei motivi di appello infatti,

ove connessi uno all’altro, non comporta automaticamente omessa pronuncia in relazione

all’uno o all’altro motivo, che può sussistere solo qualora nella motivazione unitaria un

aspetto particolare e denunciato con un apposito motivo di appello, non sia stato

assolutamente preso in considerazione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

In particolare, i primi tre motivi di appello, tutti relativi alla configurabilità del grave

inadempimento in capo alla struttura ospedaliera rispetto ai suoi obblighi contrattuali, non

ritenuto in prime cure, effettivamente sono collegati e ad essi la corte complessivamente

risponde affermando che non ritiene configurabile alcun venir meno agli obblighi di

sorveglianza ed assistenza da parte del personale dell’ospedale, in relazione alle risultanze

del caso concreto; il rigetto del quarto e quinto motivo di appello (sulla mancata

ammissione della consulenza tecnica e sulle spese) è consequenziale al rigetto dell’appello

sull’an della responsabilità.

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA' BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

Con il secondo motivo, la —  lamenta una violazione di legge, ed in particolare dell’art.

115 c.p.c., per non avere la corte territoriale posto a fondamento della propria decisione il

compendio probatorio. Infatti, sostiene che la corte d’appello ha ripetuto l’errore di

valutazione già effettuato in primo grado, riproducendo sostanzialmente la motivazione di

primo grado sul punto senza neppure autonomamente rinnovarne il ragionamento alla luce

delle censure dell’appellante, dicendo di essersi fondata sulle risultanze probatorie, ma in

realtà ponendosi in contrasto con quanto da esse emergeva.

La ricorrente richiama alcuni punti del referto di pronto soccorso, da cui risulta che la —

venne accompagnata dalla polizia, alle 2,40 di notte, che venne visitata dal medico di

guardia dopo essere stata già vista da altra struttura, che portava con sé una

documentazione con consulenza psichiatrica che evidenziava un disturbo psicotico e che il

medico di guardia vista la situazione chiamò lo psichiatra per fargli esaminare la paziente:

circostanze tutte che, seppur in presenza di un paziente apparentemente tranquillo

dovevano deporre per la necessità di predisporre una attenta sorveglianza dello stesso.

Inoltre, evidenzia la ricorrente che dal referto medico redatto il giorno del ricovero non

risulta che essa fosse accompagnata da altri, mentre nella aggiunta al referto datata —,

quindi dopo che la —-. si lanciò nel vuoto, è inserita l’affermazione secondo la quale essa

si sarebbe lanciata eludendo la sorveglianza strettissima di quattro familiari, dei quali non

c’è traccia il … . Rileva che la stessa corte d’appello non da rilievo a questa pagina del

referto per valorizzare invece la presenza con la paziente di una zia che invece, a dire della

ricorrente, non sarebbe rilevabile dalle risultanze istruttorie, e in particolare dalla

deposizione dell’unica teste estranea ai fatti, sig. —–. .

Riporta il testo di questa testimonianza dalla quale si può ricostruire agevolmente che:

i genitori della — arrivarono in ospedale dopo di lei, in piena notte (e quindi non la

accompagnarono, ma sopraggiunsero a breve distanza perché il padre si era sentito male

(forse a causa dell’attacco che aveva colpito la figlia poco prima, perché giunto in ospedale

continuava a chiamare la figlia); l’unica dottoressa di guardia, che si occupava anche del

marito della teste e del padre della –. , si allontanò dalla stanza della -. con due o tre

poliziotti che ridevano, entrò nella stanza dove erano il padre della — e il marito della

teste, e poi uscì anche da questa stanza ed andò con un infermiere in una stanzetta dove

c’era un televisore acceso; la madre della …. fu chiamata presso la figlia da una signora,

ignota alla teste ed entrata nella stanza ove prima si trovava la figlia non la trovò e pensò

che fosse scappata, per scoprire solo successivamente che la ragazza invece si era buttata

dalla finestra.

Anche questo motivo di ricorso deve essere rigettato, in quanto la censura che investe la

considerazione del  compendio probatorio al  fine della formazione del  libero

convincimento del giudice può essere fatta valere come vizio di motivazione e non come

violazione di legge: ‘Mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art.

2697 cod. civ., configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della

prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da

quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma,

n. 3, cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli

artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo

art. 360′. (Cass. n. 15107 del 2013).

FOTOFOTO3Il terzo motivo di ricorso è collegato al precedente, perché la ricorrente deduce un vizio di

motivazione nell’esame del compendio probatorio avendo la corte, sulla base della

deposizione della teste —–.sopra richiamata, il cui testo viene ampiamente riprodotto in

ricorso, ritenuto che la —- venne al pronto soccorso accompagnata dai genitori e quanto

meno da un’altra parente, forse una zia, per dedurle che la stessa non fu lasciata sola dai

medici di turno, proprio perché era sotto la sorveglianza dei familiari.

La motivazione della sentenza di appello non è pienamente convincente sotto il profilo

della consequenzialità logica dei vari passaggi motivazionali in cui si valutano le

risultanze processuali, e tuttavia tale non totale persuasività non consente l’accoglimento

di questo motivo di ricorso. Dalla testimonianza della —- emerge chiaramente che i

genitori della — sono arrivati anch’essi al pronto soccorso ma autonomamente, dopo di lei

e che il padre della — si recò al pronto soccorso in quanto colpito da un malore, che il

padre venne sottoposto a cure mediche e che la madre prestava assistenza al padre, quindi

che i genitori non si erano recati lì per assistere la figlia né l’assistevano perché non erano

in condizioni di farlo (circostanza anch’essa ben nota al medico di guardia); il fatto che la

persona che chiamò la madre della —– dicendo che la figlia la voleva fosse la zia non

MALASANITA' AVVOCATO ESPERTO

MALASANITA’ AVVOCATO ESPERTO

viene riferito dalla teste.

Tuttavia, non si può non considerare come parte delle risultanze istruttorie e quindi

rilevante ai fini della formazione del convincimento del giudice, il fatto che, come il

controricorrente esattamente deduce (riportando alcuni passi dell’atto di citazione) fa la

stessa —- , nell’ormai lontano atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, a

riferire di essersi recata al pronto soccorso accompagnata da alcuni familiari, di essere

stata separata da loro e lasciata sola e che chiamò la zia, dicendole che voleva andarsene

perché non le veniva praticata alcuna cura per calmarla mentre aspettavano lo psichiatra,

né a mezzo di iniezioni né somministrandole compresse. Queste circostanze che fanno

parte dei fatti di causa perché dedotte inizialmente dalla stessa attrice, anche se in seguito

negate nelle successive difese, unite a quelle che emergono dalla dichiarazione della teste

— , danno una maggiore coerenza alla motivazione in ordine alla dinamica dei fatti.

Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione di legge in relazione

all’art. 132, secondo comma n. 4 c.p.c. e all’art. 118 disp.att. c.p.c. in relazione alla

mancata indicazione delle ragioni di diritto a sostegno della decisione, per aver la corte

d’appello esclusivamente richiamato per relationem la sentenza del giudice di primo grado.

Anche questo motivo di ricorso va rigettato.

I limiti di utilizzabilità della motivazione per relationem da parte del giudice di appello

sono stati ridefiniti con precisione da Cass. n. 15483 del 2008: ‘È legittima la motivazione

per relationem della sentenzia pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello,

facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico,

le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti,

FOTO EQUILIBRIOin modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due

sentente risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello

allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera

adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del

giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la

FOTONUOOVANUMERO 100valutazione di infondatezza dei motivi di gravame’; la sentenza citata è richiamata dalla

successiva sentenza di questa Corte n. 10490 del 2010, non massimata, citata dalla

ricorrente, che, lungi dal porsi in contrasto con i principi sopra riportati, li conferma e li

riafferma (richiamando a sua volta Cass. n. 15483 del 2008, oltre a Cass. n. 2196 del

2003), laddove ribadisce che risponde ad orientamento consolidato in giurisprudenza di

legittimità che la motivazione per relationem della sentenza pronunziata in sede di

gravame è legittima purché il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del

primo giudice, esprima sia pur sinteticamente le ragioni della conferma della pronunzia in

relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo

desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto;

sicché deve essere cassata la sentenza d’appello quando la laconicità della motivazione

adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere

che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia

pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di impugnazione.

In definitiva, è ammissibile e non inficia la validità della sentenza di appello il fatto che

questa, condividendo non solo la soluzione ma anche la motivazione adottata dal giudice

di primo grado, per economicità e velocità redazionale richiami in larga parte la

motivazione in quella sede redatta, purché questo tipo di motivazione non sia la spia di

una sottrazione da parte del giudice dell’impugnazione ai compiti che gli sono propri,

ovvero alla necessità di compiere un riesame delle risultanze di causa alla luce della

considerazione critica dei motivi di appello,  per scegliere invece di appiattirsi,

acriticamente e inammissibilmente, nella integrale ricezione delle conclusioni cui è

pervenuto il giudice di primo grado senza sottoporle al proprio vaglio critico alla luce dei

rilievi dell’appellante.

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA' BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

La sentenza in esame si sottrae a queste censure, in quanto non si limita al richiamo alla

motivazione di prime cure, ma contiene alcuni passaggi in cui la corte ribadisce e spiega il

proprio convincimento alla luce delle risultanze istruttorie, quindi non incorre nei limiti di

ammissibilità della motivazione per relationem, perché il percorso motivazionale della

corte d’appello non si appiattisce su quello di primo grado, ma è autonomo e da conto

della necessità di rispondere ai motivi di appello.

Con il quinto motivo di ricorso la —- denuncia la violazione di legge in relazione all’art.

112 c.p.c. per aver omesso ogni pronuncia sul secondo e terzo motivo di appello, con i

quali ella aveva censurato la sentenza di primo grado per aver errato nell’escludere il grave

inadempimento da parte dell’azienda ospedaliera convenuta, rispetto alle prestazioni che si

era assunta l’obbligo di erogare con l’accettazione della paziente, e per aver errato nella

valutazione giuridica della responsabilità della struttura ospedaliera.

La ricorrente osserva che pur avendo la corte territoriale correttamente inquadrato la

fattispecie,  anche ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, all’interno della

responsabilità contrattuale, ne fa poi erroneamente discendere che l’attrice avrebbe dovuto

dimostrare di essere stata incapace nel momento in cui veniva ricoverata, come se le

obbligazioni di sicurezza e di protezione fossero dipendenti dallo stato di incapacità anche

naturale del paziente.

Nello stesso motivo di ricorso la ricorrente si duole che la corte d’appello non si sia

proprio pronunciata sul suo terzo motivo di appello ed in particolare nel considerare la

responsabilità della struttura ospedaliera, che è garante della sicurezza dei ricoverati, e che

ha l’obbligo di attivarsi per impedire che i pazienti ricoverati pongano in essere condotte

lesive della loro incolumità.

Anche questo motivo non può essere accolto, in quanto non è configurabile sul punto una

omessa pronuncia (come già si è detto nel motivare il rigetto del primo motivo di ricorso);

la ricorrente avrebbe dovuto piuttosto più appropriatamente denunciare la violazione di

legge in relazione agli articoli sull’inadempimento contrattuale, non all’art. 112 c.p.c..

Con il sesto motivo la — si duole della omessa o insufficiente motivazione sul secondo e

terzo motivo di appello, tornando a sindacare, sotto il profilo del vizio di motivazione, i

punti della sentenza di appello in cui la corte avrebbe errato nell’escludere il grave

inadempimento da parte dell’azienda ospedaliera convenuta, rispetto alle prestazioni che si

era assunta l’obbligo di erogare con l’accettazione della paziente, e errato nella valutazione

giuridica della responsabilità della struttura ospedaliera.

In particolare, la ricorrente si duole della omessa (o insufficiente) motivazione in ordine al

grave inadempimento dell’Azienda Ospedaliera Cervello nell’obbligo di tutela e vigilanza

sull’odierna ricorrente non avendo il medico di guardia e quindi l’azienda, adottato tutte

quelle normali misure di sorveglianza in attesa che intervenisse una più approfondita visita

psichiatrica.

Il motivo va accolto.

Va premesso che, come ribadito anche di recente a questa Corte a sezioni unite, la

motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del

giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione

di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia

evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento

logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non

già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte

ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati,

risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle

valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova

pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione

(Cass. S.U. n. 24148 del 2013).

Mantenendo il controllo sulla motivazione nei limiti ben delineati sopra richiamati, la

logica complessiva di essa non regge al controllo, in quanto in essa non si spiega in modo

logico perché i principi vigenti in tema di responsabilità contrattuale della struttura

ospedaliera per i danni autoprocuratisi dal paziente all’interno della struttura, applicati agli

elementi di fatto riportati dalla sentenza di primo grado e riprodotti in quella d’appello,

dovrebbero portare ad una recisa esclusione di alcuna responsabilità in capo alla struttura

ospedaliera.

Nel caso di specie si trattava infatti di responsabilità della struttura sanitaria di Pronto

Soccorso per i danni autoarrecatisi da paziente con problemi psichici preso in carico dalla

struttura.

I giudici di merito, premessa la situazione in fatto come sopra riportata, hanno ritenuto

sufficiente, per escludere la necessità che la paziente fosse sottoposta alla costante

vigilanza del personale sanitario e quindi che la struttura sanitaria potesse essere ritenuta

responsabile per i danni autoinfertisi dalla paziente in un momento in cui non era presente

nella stanza ove si trovava la paziente nessun dipendente dell’ospedale, le due circostanze

che essa non fosse in stato di agitazione (né i sanitari fossero stati avvisati, al momento del

ricovero in pronto soccorso, di pregressi propositi di suicidio o di gesti autolesionistici), e

che la stessa fosse sotto la sorveglianza di una parente.

In definitiva, la corte territoriale ha ritenuto che nessuna culpa in vigilando fosse

addebitabile alla struttura sanitaria per non aver adeguatamente vigilato sulla sua paziente.

Il percorso motivazionale non appare però logico né coerente, tenuto conto dei principi in

tema di responsabilità delle strutture sanitarie nei confronti di pazienti ed in particolare di

quei pazienti che le si rivolgano perché in alterate condizioni psichiche, della particolare

struttura sanitaria alla quale la ricorrente si era rivolta, e delle peculiari risultanze

istruttorie.

A proposito della responsabilità per omessa vigilanza di una struttura sanitaria nei

confronti di persona ospite di un reparto psichiatrico non interdetta né sottoposta ad

intervento sanitario obbligatorio, questa Corte ha in più di una occasione ricondotto il

rapporto nell’ambito contrattuale, ed in particolare di quel contratto atipico di assistenza

sanitaria che si sostanzia di una serie complessa di prestazioni che la struttura eroga in

favore del paziente, sia di natura medica che latu sensu di ospitalità alberghiera, che

obbligazioni di assistenza e protezione, obbligazioni tutte destinate a personalizzarsi in

relazione alla patologia del soggetto.

Così ricostruito il rapporto, ne discende che ai fini della ripartizione dell’onere probatorio,

il paziente debba abitualmente provare solo l’avvenuto inserimento nella struttura e che il

danno si sia verificato durante il tempo in cui egli si trovi inserito nella struttura

(sottoposto alle cure o alla vigilanza del personale della struttura), mentre spetta alla

controparte dimostrare di avere adempiuto la propria prestazione con la diligenza idonea

ad impedire il fatto (v Cass. civ. 3 marzo 2010, n. 5067); in relazione in particolare ai

pazienti con problemi psichiatrici, la Corte ha più volte affermato che la configurabilità di

un dovere di sorveglianza a carico del personale sanitario addetto al reparto e della

conseguente responsabilità risarcitoria per i danni provocati dal ricoverato presupponga

(soltanto) la prova della incapacità di intendere e di volere del soggetto ( in questo senso

Cass. n. 2483 del 1997, Cass. n. 12965 del 2005, Cass. n. 22818 del 2010).

Nel caso di specie, e tenuto conto di questi principi, non pare che la corte abbia

adeguatamente considerato nella motivazione se tra gli obblighi del Pronto Soccorso nei

confronti della paziente potesse esservi anche un dovere di protezione della stessa e se

potessero costituire circostanze idonee a comprovare l’incapacità naturale della — al

momento del ricovero, e quindi a fondare una responsabilità della struttura per omessa

sorveglianza, a seguito delle lesioni che la stessa paziente si procurò, alcune delle

circostanze accertate in fatto, ovvero che la —- si presentò al pronto soccorso nel cuore

della notte, accompagnata dalla polizia, con una cartella clinica attestante precedenti

ricoveri per disturbi della personalità, e che in più era già stata visitata dal medico di

guardia, il quale aveva richiesto la visita dello psichiatra, implicitamente riconoscendo che

fosse opportuno approfondire immediatamente la situazione della paziente.

Sono tutte circostanze che avrebbero dovuto essere prese in considerazione dalla corte, per

considerare se esse spiegassero una rilevanza a fronte di una apparente tranquillità della

paziente, e se, ove prese in considerazione, avrebbero potuto condurre a ritenere che già vi

fosse la prova di trovarsi di fronte ad un soggetto in condizioni menomate di incapacità di

intendere e di volere, da custodire con attenzione perché non arrecasse danni a sé e agli

altri pazienti ricoverati nel breve tempo tra l’accettazione in pronto soccorso e la visita

specialistica a seguito della quale il medico specialista avrebbe fatto una diagnosi e

prescritto una terapia.

In definitiva un soggetto già sofferente di problemi psichici che si rivolge al pronto

soccorso di notte, per di più accompagnato dalla polizia è già un soggetto in evidente

situazione di fragilità psichica, a fronte della quale l’apparente tranquillità (contrastante

evidentemente con un comportamento recentissimo di segno contrario, in quanto

altrimenti non si spiega la presenza della polizia) potrebbe spiegare un moderato rilievo e

per contro la situazione potrebbe necessitare da parte del pronto soccorso una cura della

paziente che si traduce in una pur discreta sorveglianza, nel momento in cui, con

l’accettazione, prende in carico il paziente.

Non è irrilevante che nel caso di specie, la struttura ospedaliera presso la quale si è

verificato l’episodio foriero di danni per la —- non fosse un normale reparto ospedaliere

presso il quale la stessa si trovava già ricoverata e sottoposta alle cure del caso, ma fosse

invece il Pronto Soccorso dell’ospedale ( ove il sinistro si è verificato appena mezzora

dopo che la —- era stata ivi accompagnata).

Nel considerare gli obblighi gravanti sul medico e sulla struttura sanitaria, occorre

considerare, e non risulta che in questo caso ciò sia stato preso minimamente in

considerazione, il tipo di struttura alla quale ci si rivolge e la patologia prospettata dal

paziente.

Nel caso che la struttura sanitaria alla quale ci si rivolge sia un Pronto Soccorso, non si

può prescindere dal considerare il tipo di urgenza rappresentata dal paziente che si rivolge

alla struttura, la quale verrà poi qualificata nella sua gravità dai medici del pronto

soccorso, ma in relazione alla cui tipologia si ha ragione di pretendere dalla struttura

ospedaliera che vengano realizzate delle tipologie di intervento differenziate, ed anche che

vengano adottate misure differenziate a tutela della salute e sicurezza dei pazienti nella

fase di primo intervento.

Non solo il profilo terapeutico è differente a seconda della patologia lamentata dal singolo

paziente che si presenta al pronto soccorso, ma necessariamente differenziato deve essere

anche l’atteggiamento di protezione che la struttura deve svolgere fin dal primo intervento

in sede di pronto soccorso, nel senso che a fronte di determinati tipi di patologie lamentate

dai pazienti ben più che di altre – possono assumere un ruolo rilevante tra le prestazioni a

carico della struttura specie in sede di primo intervento, gli obblighi per solito accessori di

sicurezza e protezione dei pazienti.

In particolare, se viene ricoverato in pronto soccorso una paziente con problemi psichici

reduce da una crisi (non altrimenti si spiega un ricovero nel cuore della notte della — , già

esaminata in un altro ospedale e reindirizzata presso quel pronto soccorso,  e

accompagnato da agenti di polizia, evidentemente chiamati dai familiari che non erano in

grado di ‘contenerla’ o richiamati autonomamente dalle grida), e quindi un soggetto in

condizioni di fragilità psichica, che si rivolge al pronto soccorso per un disagio psichico in

fase acuta, primo obbligo del pronto soccorso che con l’accettazione prende in carico la

paziente, dopo averla visitata e aver disposto la visita psichiatrica, come nel caso di specie

è stato fatto, è assicurare che la situazione di attesa di questa paziente (la cui situazione di

apparente tranquillità può essere illusoria o simulata, considerate tutte le altre circostanze

di fatto e comunque non concludente nel senso di una effettiva tranquillità d’animo) sia

svolta in condizioni di sicurezza, per evitarle di nuocere a sé o ad altri pazienti ricoverati.

Nel caso di specie non è stata oggetto del giudizio, e non è qui in contestazione, la

sussistenza di una possibilità concreta o meno del pronto soccorso sulla base del personale

disponibile,  di espletare o meno un controllo effettivo su questa paziente fino

all’intervento dello psichiatra, e quindi che un eventuale omesso controllo derivasse da

cause non imputabili alla struttura.

Quello che non è logico, sulla base della stessa ricostruzione in fatto fornita dai giudici di

merito, è che si sia ritenuto di escludere ogni inadempimento in capo alla struttura

sanitaria delle sue responsabilità, sulla duplice considerazione che la paziente apparisse

tranquilla (sulla cui inconferenza si è già detto) e che la stessa si trovasse in una stanza ove

era presenta anche una sua familiare, e che si stato ritenuto privo di rilievo ogni altro

profilo.

Ugualmente infatti non appaiono coerenti con i principi sopra enunciati in tema di

responsabilità della struttura sanitaria in generale, e del pronto soccorso in particolare a

fronte di un paziente che presenti una vulnerabilità psichica, e privano la motivazione di

intima coerenza, le affermazioni della corte secondo le quali l’ospedale non era

responsabile dai danni autoprocurati dalla paziente non avendola lasciata sola in quanto la

stessa era in compagnia di una zia.

Deve ritenersi comunque (al di là dei contrasti sulla effettiva presenza di questa zia, che in

questa sede non possono essere presi in considerazione, non spettando a questa corte una

diversa valutazione in fatto della vicenda) che non sia idonea di per sé ad escludere

l’inadempimento della struttura sanitaria di pronto soccorso nel vigilare sulla sicurezza di

paziente psichiatrica in menomate condizioni di intendere e volere la circostanza che

questa sia lasciata sola in una stanza d’ospedale, affidata esclusivamente alla vigilanza di

una parente.

Nel rivolgersi all’ospedale ed in particolare al pronto soccorso, i parenti del soggetto

hanno infatti manifestato di non essere in grado di provvedere autonomamente alle

esigenze di cura e anche di vigilanza sul paziente psichiatrico, e per questo motivo si sono

rivolti alla struttura d’urgenza senza attendere neppure di rivolgersi, il mattino successivo,

al medico curante. La struttura, nell’accogliere la paziente con l’accettazione, ne prende in

carico le difficoltà per affrontarle professionalmente. Una volta ricoverata presso il pronto

soccorso la paziente in condizioni di disagio psichico — non va dimenticato che la

paziente era già stata visitata, e che quindi per essa c’era stata già una pre-valutazione da

parte del medico di guardia di sussistenza delle ragioni per un approfondimento

psichiatrico — la struttura aveva il compito di porre in essere con propri mezzi le cautele

necessarie per vegliare sulla sua sicurezza in attesa che essa fosse sottoposta alla terapia

adeguata, o anche che fosse dimessa, qualora non fosse riconosciuta necessaria alcuna

terapia. Premesso che costituisce valutazione in fatto, che verrà nuovamente demandata

alla corte d’appello, verificare se si ritenesse sussistente, nel caso concreto, l’obbligo in

capo alla struttura sanitaria di vigilare sulla sicurezza del paziente, va detto che esso non

può ritenersi logica una motivazione che ritenga tale obbligo adeguatamente soddisfatto

per il fatto che venga in concreto svolto… dagli stessi parenti della paziente che a quella

struttura si erano rivolti ritenendola bisognosa di cure immediate.

La presenza di parenti al capezzale di una paziente non può ritenersi in ogni caso

sostitutiva – neppure sotto il profilo della sorveglianza della paziente, che richiede pur

sempre professionalità nel cogliere i segni di allarme e competenza nelle modalità di

intervento – delle prestazioni professionali che si ha diritto di pretendere da una struttura

sanitaria.

La disamina di tali profili — specificità degli obblighi di sorveglianza verso il paziente in

condizioni di disagio psichico che si rivolga al pronto soccorso, modalità di assolvimento

degli obblighi di sorveglianza da parte della struttura sanitaria – peraltro indubbiamente

dedotti in sede di gravame della ricorrente, appare necessaria e non adeguatamente

affrontata in motivazione dalla sentenza impugnata che merita pertanto di essere cassata,

con rinvio ad altro giudice di merito, che si designa nella Corte di Appello di Palermo in

diversa composizione che dovrà procedere al riesame del caso.

Il settimo motivo di ricorso, con il quale la — lamenta la violazione di legge in relazione

all’art. 115 c.p.c. ed all’art. 61 c.p.c. con riferimento all’art. 2697 c.c., per non aver accolto

il quarto motivo di appello con cui si censurava la decisione del primo giudice di non

ammettere l’attività istruttoria e in particolare la consulenza medica d’ufficio sulla persona

della danneggiata Così come formulato il motivo è da rigettare in quanto in materia di

procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce salvo che in casi del

tutto particolari un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice,

di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi

probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche

conoscenze; come tale la nomina del consulente rientra nel potere discrezionale del

giudice e la mancata nomina in sé non è neppure censurabile in cassazione sotto il profilo

della violazione di legge, ma se del caso della mancanza di una idonea motivazione. La

questione è comunque assorbita perché spetterà al giudice del rinvio, qualora ritenesse di

riconsiderare la responsabilità della struttura sanitaria, valutare nuovamente se procedere e

a quali attività istruttorie procedere per accertare i danni riportati dalla —-.

L’ottavo motivo denuncia la violazione di legge per violazione dell’art. 91 c.p.c. per non

aver disposto un diverso più favorevole regime delle spese processuali.

Il motivo, anch’esso assorbito, sarebbe comunque infondato, perché, pur avendo la corte

d’appello rigettato la domanda della —- , essa ha ritenuto di discostarsi dal principio della

soccombenza, che avrebbe comportato la condanna della soccombente —- al pagamento

delle spese del giudizio di secondo grado, per praticarle la regolamentazione delle spese

legali a lei più favorevole in una situazione di soccombenza, ovvero l’integrale

compensazione di entrambi i gradi di giudizio che l’avevano vista soccombente, tenendo

conto delle ragioni della vicenda e delle gravi conseguenze che sul piano fisico ne sono

derivate alla —- . In realtà, attraverso la formulazione di quest’ultimo motivo di ricorso,

ancora una volta la ricorrente contesta – ma in questo caso facendo ricorso ad argoménti

inesatti – la correttezza della decisione che l’ha vista soccombente.

La UGF come motivo di ricorso incidentale lamenta che la corte abbia ritenuto di

compensare i due gradi di giudizio tra le parti anziché porne le spese a carico della —- che

aveva proposto un’azione pretestuosa e chiaramente infondata. L’accoglimento con rinvio

del ricorso principale esime dall’esaminare nel merito il motivo di ricorso incidentale.

Il ricorso va accolto quanto al sesto motivo e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla

Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del

presente procedimento di cassazione.

P.Q.M.

123 foto dottre nero grandeLa Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri, rigetta il ricorso incidentale e

rinvia anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione alla Corte d’Appello di

Palermo che deciderà in diversa composizione.

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