cropped-AVVOCATO-BOLOGNA-ESPERTO

PISTOIA DANNO MORTE MESOTELLIOMA  AMIANTO LAVORO IN AZIENDA

L’istruttoria ha evidenziato che per le lavorazioni erano utilizzati pannelli di petralit (contenente amianto), e che le modalità di lavorazione e le misure di protezione per i lavoratori adottate dall’impresa convenuta erano assolutamente inadeguate: le lavorazioni avvenivano nell’officina, unico capannone finestrato lungo 50-60 ml., con impianto di aspirazione limitato ad una sola ventola di aspirazione (…) B., udienza del 6.11.2012)- e, inoltre, l’uso di mascherine era configurato come meramente facoltativo e non venivano presi provvedimenti sanzionatoti di alcun genere nei confronti di chi non mettesse le mascherine (così, ancora, A.B., teste qualificato in quanto dipendente all’epoca dei fatti dell’Officine meccaniche Santa Lucia e con incarico di controllare che i lavoratori si avvalessero del materiale a protezione, così come dichiarato nella deposizione).

Appare, a questo punto, necessario verificare se, all’epoca dei fatti, fosse nota la pericolosità dell’amianto e quali cautele fossero conosciute per preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore in luoghi di lavoro in cui l’amianto fosse presente.

Al riguardo assai significativa risulta essere l’analisi svolta dalla Corte di legittimità già nella sentenza sez. L. 9 maggio 1998, n. 4721 ove si legge in motivazione: “non e revocabile in dubbio che … da tempo era nota la pericolosità della lavorazione dell’amianto, e, in ogni caso, da epoca ben anteriore al 1970.

A tal fine basti ricordare come già il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 (cpoca nella quale le nozioni scientifiche, ed anche le esperienze in campo industriale, erano certo assai inferiori a quelle che si avevano nel 1970), che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all’art.29 tabella B n.12, includeva la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l’applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo; norma sostanzialmente identica seguiva nel regolamento per l’esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgt. 6 agosto 1916, n.1136, art.36, tabella B, n.13. Ancora il R.D. 7 agosto 1936, n.1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l’occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l’occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all’osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n.5, la lavorazione dell’amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura,

Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530, tra gli altri agli agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche (ridurle per quanto possibile).

In epoca più recente, oltre alla Ugge delega 12 febbraio 1955 n.52, che, all’art.1,, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 -di seguito esaminato- ed alle visite particolarmente accurate previste dal D.P.R. 20 marzo 1956, n. 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n.1169 che all’art.1 prevede, specificamente, che la presenza dell’amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio.

Si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dall’art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni di cui all’allegato n.8, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi (Cass. 20 agosto 1991 n.8970).”

Tutto ciò, senza considerare che la imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.

Da quanto esposto discende che normativamente, all’epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti, era ben nota la intrinseca pericolosità delle fibre dell’amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele, anche indipendentemente dalla concentrazione di fibre per centimetro cubo”.

È appunto rispetto al rischio intrinseco alla lavorazioni svolte presso le Officine Meccaniche Santa Lucia che si imponeva il concreto accertamento e della adozione di misure idonee a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all’art. 2087 cod.civ., e tra queste, segnatamente quella di cui all’art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 , il quale, stabilisce che “nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti (…) possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro” soggiungendo che “le misure da adottare a tal fine devono tenere conio della natura delle polveri e della loro concentrazione”, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri; l’art.9, che prevede il ricambio d’aria; l’art. 15, che prevede, persino fuori dell’orario di lavoro, si debba ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell’ambiente, e, proprio a tal fine, l’impiego di aspiratori; l’art. 18, che proibisce l’accumulo delle sostanze nocive; l’art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri (ove -nel caso in esame- non vi sono porte di separazione come dichiarato dai testi); l’art. 20, che difende l’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l’uso di aspiratori; l’art.25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di PRATO

Unica CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Alfonsina Manfredini, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6927/2008 promossa da:

M.R.S., L.E. e S.E. con il patrocinio degli avv.ti Giuseppe e Vincenzo Alibrandi del Foro di Pistoia ed elettivamente domiciliati presso e nello studio dell’avv. Luciano Barletta, in Prato, via Pier della Francesca 32

attori

U.T.M. S.P.A in persona del l.r. p.t. sig. A.P., con il patrocinio dell’avv. Laura Formichini del Foro di Livorno ed elettivamente domiciliata presso e nello studio dell’avv. Andrea Lai, in Prato, via Ferrucci 203/c

convenuta

A.E.G. LIMITED in persona del procuratore speciale dott. Marcella Accoto, con il patrocinio dell’avv. Elisabetta Carelli del Foro di Milano e dall’avv. Francesco Tropea del Foro di Prato presso il quale ultimo ha eletto domicilio nella procura apposta in calce all’atto di citazione notificato

terza chiamata

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso davanti al Giudice del Lavoro la vedova e figli (già conviventi) di S.E. (deceduto per mesotelioma pleurico) chiedevano il risarcimento dei danni morali e materiali subiti fondando la loro richiesta sulla ritenuta sussistenza di un nesso causale tra l’ambiente e l’attività lavorativa svolta dal loro congiunto dal 1967 al 1976 presso Officine Meccaniche Santa Lucia (in seguito assorbita dalla società convenuta) e l’insorgenza della patologia, che si sarebbe rivelata fatale.

La convenuta, costituitasi in giudizio da un lato ha chiesto l’autorizzazione alla chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice e dall’altro ha: -eccepito l’incompetenza del Giudice del Lavoro per la valutazione dei diritti risarcitoti dei congiunti; -contestato la responsabilità ascrittale dai ricorrenti circa l’insorgenza della patologia in S.E. e dedotto l’assenza di qualsivoglia sua colpa, contestando in ogni caso l’ammontare del risarcimento richiesto dai vari congiunti e il titolo del risarcimento.

La terza chiamata si è costituita eccependo in via preliminare la prescrizione del diritto fatto valere dall’assicurata e la nullità della domanda svolta dalla chiamante in causa nei suoi confronti e, nel merito, l’inoperatività della polizza nel caso di specie sia sotto il profilo della responsabilità civile verso di dipendenti (RCOD) che di quella verso terzi (RCT)

Il giudice del Lavoro, stante l’oggetto della domanda e la competenza del giudice ordinario, ha disposto il mutamento del rito e la regolarizzazione ai fini fiscali degli atti.

La causa è stata istruita documentalmente anche a seguito della concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.. Sono stati escussi testi ed è stata licenziata CTU medico legale. All’udienza del 6 giugno 2014 fatte precisare le conclusioni, trascritte in epigrafe, e -concessi i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche- la causa è stata trattenuta in decisione

I)Domande degli attori verso U.T.M. spa

Sono fondate nei termini e limiti di quanto segue.

a)Inammissibilità della domanda di risarcimento jure successionis

Deve preliminarmente rilevarsi che alle domande inizialmente introdotte dai ricorrenti (relative ai danni morali e a quelli materiali conseguenti alla morte del loro Congiunto) è stata aggiunta anche la domanda di risarcimento dei danni jure hereditatis solo in sede di deposito della memoria ex art. 183, comma 6, n.1 c.p.c.: queste domande degli attori devono essere dichiarate inammissibili posto che esse non costituiscono una (consentita) emendatio libelli conseguente alle osservazioni svolte dalla controparte in sede di comparsa di costituzione e risposta, bensì una vero e propria mutatio libelli, trattandosi di domanda fondata su fatti costitutivi (lesione del danno alla salute) diversi da quelli considerati nella domanda proposta jure proprio.

Vanno dichiarate quindi inammissibili le domande proposte dai vari ricorrenti/attori jure successionis.

b)Domande jure proprio

b.1)Riconducibilità della morte di S.E. all’attività svolta da U. (già Officine Meccaniche Santa Lucia)

Gli odierni “attori” (l’azione era stata inizialmente introdotta davanti al Giudice del Lavoro) hanno provato che il loro congiunto aveva lavorato come “operaio aggiustatore montatore” alle dipendenze delle Officine Meccaniche Santa (…) 20.6.1967 all’1/7.1976. La società datrice di lavoro era stata in seguito assorbita dalla odierna convenuta: tutti questi fatti sono pacifici.

I ricorrenti hanno rappresentato che la patologia manifestatasi al loro congiunto nell’aprile 2002 , poi diagnosticata come mesotelioma pleurico e dalla quale era derivata la morte del loro Caro in data 24.1.2006, era riconducibile all’attività svolta presso le Officine Meccaniche Santa Lucia: ivi infatti si svolgevano lavorazioni di materiale di amianto, in forte quantità e senza alcun accorgimento volto ad evitare l’inalazione di fibre di amianto, a cui S.E. era stato lungamente esposto. Hanno quindi chiesto nel ricorso introduttivo il risarcimento del danno morale e dei danni materiali subiti in conseguenza della morte del loro Congiunto, deducendo di essere familiari (moglie e figli) e con lui conviventi fino alla morte: sulla qualità dei ricorrenti/attori e sulla convivenza non vi è contestazione tempestiva (essendo stata fatta solo nella comparsa conclusionale di U. e, quindi, tardivamente) e comunque la situazione familiare risulta certificata fin dall’atto introduttivo con il certificato di famiglia storico prodotto come doc. 3 (così stigmatizzandosi l’operato della difesa U. in sede di conclusionale sul punto).

E’ stato anche prodotto in atti il riconoscimento da parte di INAIL della patologia con accertamento di un grado di invalidità dell’80% (verbale collegiale del 11.8.2005, impugnato davanti all’AG).

La stessa convenuta ha confermato che nella produzione di macchine tessili oggetto dell’attività di impresa erano utilizzati (per la coibentazione delle macchine) pannelli di materiale (petralit) contenente amianto, tagliati a misura con trancile e successivamente montati all’interno delle stesse macchine. Ha però escluso che vi fosse conoscenza della nocività della lavorazione. Ha esposto che negli anni ’70 era stata conclusa una convenzione con l’Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni, sede di Firenze per la valutazione dei rischi a cui erano esposti i lavoratori e per verificare quali avvertenze dovessero essere assunte al fine di evitare ai lavoratori rischi di malattie professionali ed ha prodotto il documento 2 esponendo che era stato rilevato come problema il solo rumore da cui l’indicazione di fare utilizzare ai lavoratori otoprotettori sottoponendo a visita otoiatria ed audiometrica i lavoratori: si stigmatizza sul punto l’operato della difesa della convenuta atteso che nella relazione si legge “come da Vostra richiesta… è stato eseguito un sopralluogo nello stabilimento ‘S.Lucia Off. Mecc.’ di Santa Lucia Uzzanese per determinare i livelli di rumorosità ambientale e la loro potenziale nocività per gli esposti”. Dunque l’attività dell’ENPI era stata volontariamente circoscritta dalla convenuta alla valutazione del rischio da rumore. Invece la stessa convenuta ammette, con tutte le conseguenze del caso, che i lavoratori erano stati successivamente sottoposti anche a schermografie per valutare lo stato di salute dell’apparato respiratorio, che nulla ha a che fare con possibili danni da rumore.

b.2 responsabilità ex art. 2087 c.c. : sussistenza

La convenuta afferma che solo alla fine degli anni 80 era stata accertata la nocività dell’amianto e l’utilizzo di questo materiale era stato sospeso, così come nel 1995 era stato incapsulato il tetto. Ha inoltre prospettato la possibile presenza di concause determinanti la malattia infausta del sig. S.E. e eccepito l’assenza di colpa da parte sua, stanti le conoscenze della comunità scientifica in punto di pericolosità dell’amianto all’epoca in cui il sig. E. lavorava presso le Officine Meccaniche Santa Lucia, chiedendo quindi una valutazione secondo quanto prevedibile al momento.

L’istruttoria ha evidenziato che per le lavorazioni erano utilizzati pannelli di petralit (contenente amianto), e che le modalità di lavorazione e le misure di protezione per i lavoratori adottate dall’impresa convenuta erano assolutamente inadeguate: le lavorazioni avvenivano nell’officina, unico capannone finestrato lungo 50-60 ml., con impianto di aspirazione limitato ad una sola ventola di aspirazione (…) B., udienza del 6.11.2012)- e, inoltre, l’uso di mascherine era configurato come meramente facoltativo e non venivano presi provvedimenti sanzionatoti di alcun genere nei confronti di chi non mettesse le mascherine (così, ancora, A.B., teste qualificato in quanto dipendente all’epoca dei fatti dell’Officine meccaniche Santa Lucia e con incarico di controllare che i lavoratori si avvalessero del materiale a protezione, così come dichiarato nella deposizione).

Appare, a questo punto, necessario verificare se, all’epoca dei fatti, fosse nota la pericolosità dell’amianto e quali cautele fossero conosciute per preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore in luoghi di lavoro in cui l’amianto fosse presente.

Al riguardo assai significativa risulta essere l’analisi svolta dalla Corte di legittimità già nella sentenza sez. L. 9 maggio 1998, n. 4721 ove si legge in motivazione: “non e revocabile in dubbio che … da tempo era nota la pericolosità della lavorazione dell’amianto, e, in ogni caso, da epoca ben anteriore al 1970.

A tal fine basti ricordare come già il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 (cpoca nella quale le nozioni scientifiche, ed anche le esperienze in campo industriale, erano certo assai inferiori a quelle che si avevano nel 1970), che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all’art.29 tabella B n.12, includeva la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l’applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo; norma sostanzialmente identica seguiva nel regolamento per l’esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgt. 6 agosto 1916, n.1136, art.36, tabella B, n.13. Ancora il R.D. 7 agosto 1936, n.1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l’occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l’occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all’osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n.5, la lavorazione dell’amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura,

Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530, tra gli altri agli agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche (ridurle per quanto possibile).

In epoca più recente, oltre alla Ugge delega 12 febbraio 1955 n.52, che, all’art.1,, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 -di seguito esaminato- ed alle visite particolarmente accurate previste dal D.P.R. 20 marzo 1956, n. 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n.1169 che all’art.1 prevede, specificamente, che la presenza dell’amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio.

Si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dall’art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni di cui all’allegato n.8, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi (Cass. 20 agosto 1991 n.8970).”

Tutto ciò, senza considerare che la imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.

Da quanto esposto discende che normativamente, all’epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti, era ben nota la intrinseca pericolosità delle fibre dell’amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele, anche indipendentemente dalla concentrazione di fibre per centimetro cubo”.

È appunto rispetto al rischio intrinseco alla lavorazioni svolte presso le Officine Meccaniche Santa Lucia che si imponeva il concreto accertamento e della adozione di misure idonee a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all’art. 2087 cod.civ., e tra queste, segnatamente quella di cui all’art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 , il quale, stabilisce che “nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti (…) possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro” soggiungendo che “le misure da adottare a tal fine devono tenere conio della natura delle polveri e della loro concentrazione”, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri; l’art.9, che prevede il ricambio d’aria; l’art. 15, che prevede, persino fuori dell’orario di lavoro, si debba ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell’ambiente, e, proprio a tal fine, l’impiego di aspiratori; l’art. 18, che proibisce l’accumulo delle sostanze nocive; l’art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri (ove -nel caso in esame- non vi sono porte di separazione come dichiarato dai testi); l’art. 20, che difende l’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l’uso di aspiratori; l’art.25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.

Non è quindi revocabile in dubbio, stanti i richiami normativi effettuati, che sul piano normativo all’epoca di svolgimento del rapporto di lavoro di cui è causa, era ben nota l’intrinseca pericolosità delle fibre dell’amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele, anche indipendentemente dalla concentrazione di fibre per centimetro cubo. Proprio il rischio intrinseco a tale tipo di lavorazione imponeva il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all’art. 2087 cod.civ., e segnatamente quella di cui all’art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 , il quale, come la stessa impugnata sentenza ricorda, stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro” soggiungendo che “le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione”, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.

Da quanto fin qui espresso consegue che la richiesta formulata da parte di Officine Meccaniche Santa Lucia ad E.N.P.I., proprio alla luce della (necessaria) consapevolezza del rischio connesso alle lavorazioni, avrebbe dovuto essere mirata non solo/non tanto all’inquinamento acustico bensì, anche -e prioritariamente, date le possibili letali conseguenze- alla valutazione di tutti i possibili strumenti idonei a prevenire l’inalazione di polveri di amianto da parte dei lavoratori, con adeguati strumenti di aspirazione, effettiva separazione degli ambienti di lavoro e imposizione ai lavoratori -adeguatamente informati del rischio, dell’obbligo di avvalersi delle mascherine e di ogni altro accorgimento idoneo a proteggerli.

I rischi per la salute dei lavoratori erano, conclusivamente, conoscibili e non furono adottate tutte le cautele idonee a prevenire tali rischi (circostanza in ordine alla quale l’onere della prova grava sul datore di lavoro). In proposito la sentenza 4721/1998 della Suprema Corte di Cassazione sopra richiamata ha lucidamente evidenziato : “L’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall’art. 10 del D. P.R. n.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall’assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell’ambiente di lavoro, viene in rilievo l’art. 2087 cod. civ., che, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore assicurato”

Deve essere quindi riconosciuta la responsabilità ex art. 2087 c.c. della convenuta b.3)riconducibilità della malattia e del decesso del sig. E.S.) all’attività svolta presso le Officine Meccaniche Santa Lucia di Uzzano.

Alcuni dati debbono -ad avviso di questo giudicante- es(…) considerazione, tra cui -certamente in primo luogo- accertamento e valutazione effettuati dal CTU, dott. Andrea Gennai, per il quale l’esposizione ad amianto presso la Officine Meccaniche Santa Lucia – Uzzano- “è da ritenersi responsabile della patologia neoplastica (mesotelioma) che ha condotto a morte il sig. E.” (pag- 10 rel. CTU). D’altra parte è stato accertato giudizialmente che la morte nel 2000 di U.R., citato dal teste B. nella sua deposizione, per mesotelioma pleurico è stata anch’essa conseguente al lavoro espletato presso le Officine meccaniche Santa Lucia (sentenza 21.1.2013 Tribunale di Prato Giudice del Lavoro).

Quanto alla valutazione effettuata dal Consulente dell’Ufficio circa la possibilità di imputare l’insorgenza della malattia in eguale misura all’attività lavorativa svolta da S.E. presso l’odierna convenuta e a quella da lui svolta presso le Ferrovie dello Stato, questo giudice ritiene di dovere dissentire.

Punto di partenza è il fatto che l’esposizione alle fibre di amianto di S.A. vi è certamente stata dal 1967 al 1976 (come confermato dai testi escussi). A detta del CTU l’esposizione ha continuato ad esistere, anche se in maniera non definibile, presso le Ferrovie dello Stato in Firenze.

Tanto premesso ritiene questo giudice di condividere le osservazioni svolte dal CTP L.O.B. nella sua relazione, circa il fatto che la letteratura scientifica è universalmente concorde nel ritenere che l’esposizione relativa alle fibre di amianto anche per brevi periodi sia sufficiente, nei casi predisposti, a determinare malattie tumorali postume, con intervalli di latenza tra esposizione e manifestazione tumorale di circa 35-40 anni. La durata dell’incubazione del mesotelioma è indicata in circa 40 anni anche negli atti della convenuta (es. conclusionale: pag. 13) nelle varie pubblicazioni citate da parte attrice e nella relazione di CTU e CTP e, fatto tutt’altro che irrilevante, nelle pubblicazioni di INAIL relative alle problematiche dei lavoratori esposti ad amianto (es. Seminario Nazionale Assoamianto Ferrara 2008).

Nel caso in esame la latenza di 35 anni e l’età di comparsa della malattia (E. era nato il (…) ed aveva 52 anni quando la malattia si è manifestata) sono certamente compatibili e, anzi, piuttosto tipiche del mesotelioma causalmente correlato con l’amianto, secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica che si è occupata della materia.

Inoltre, gli studi scientifici hanno mostrato che nella patologia tumorale da fibre di amianto non è rilevante una lunga esposizione all’agente patogeno con conseguenti fenomeni di accumulo nell’organismo stesso. Infatti la capacità di permanere nei tessuti senza subire alterazioni dell’ago di amianto, fa sì che esso mantenga la sua efficacia cancerogena in quanto l’organismo non è in grado di elaborare o metabolizzare la sostanza cancerogena e renderla eliminabile. Diversamente in altre patologie tumorali (ad esempio tumore ai polmoni per tabagismo) solo l’accumulo di dosi di sostanze chimiche con potenzialità cancerogena (nicotina) possono determinare manifestazioni tumorali, proprio in virtù della lunga abitudine e del conseguente accumulo della sostanza cancerogena che l’organismo non è stato in grado di eliminare. In queste ultime patologie risulta rilevante la somma di stimoli sfavorevoli all’organismo reiterati nel tempo, in quanto -in parole semplici – la replicazione cellulare, che avviene attraverso dei messaggi chimici, può essere sganciata dai processi normali di replicazione della cellula a causa della presenza di un agente fuorviante la regolamentazione dei normali meccanismi di replicazione cellulare, replicazione che avviene quindi in maniera incontrollata. Nel caso invece dell’ “ago di amianto” (asbesto è parola che viene dal greco, ove significa “perpetuo ed inestinguibile”) è proprio questa sola presenza in grado di determinare il mesotelioma, anche se vi è ancora incertezza nella comunità scientifica se ciò accada in dipendenza della liberazione dell’acido silicico, del quale è dimostrata nella letteratura scientifica un’azione tossico-necrotizzante, oppure dallo stimolo irritativo flogistico causato meccanicamente dalle (…) agente presente nella fibra di amianto ancora non esattamente individuata: quello che è certo è che nessun accumulo è necessario e diventa perciò irrilevante anche la durata dell’esposizione.

Corrette e condivisibili appaiono, quindi, le osservazioni del CTP dott. Begliomini. Il CTU dott. Gennai, nel rispondere alle osservazioni dei CTP, non ha controbattuto sul punto della eziopatogenesi del mesotelioma pleurico, limitandosi a affermare l’esposizione ad amianto dei lavoratori che, come il sig. S.E., lavoravano presso le Ferrovie dello Stato, officine di Firenze. Quanto alle osservazioni svolte dal CTP di parte convenuta, esse (ovviamente) accolgono le osservazioni del CTU, salvo addirittura chiedere l’applicazione di un criterio di proporzionalità in relazione agli anni di esposizione, criterio non giustificato su base scientifica dal CTP della parte convenuta, né giustificabile per quanto già sopra espresso sulla eziopatogenesi del mesotelioma pleurico che nulla ha a che vedere con la durata di esposizione.

Circa il nesso di causalità tra comportamento omissivo (quale è quello addebitato alla odierna convenuta -già Officine Meccaniche Santa Lucia) ed evento di danno, regolato dagli artt. 40 e 41 c.p., che stabiliscono un principio valido anche per l’illecito civile, ci si richiama all’interpretazione fornita dalle SSUU penali con la nota sentenza 10 luglio 2002, n. 30328, “nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”. Ciò significa che, a prescindere dal grado di probabilità in base al quale stabilire se la condotta omessa avrebbe evitato il danno, probabilità che la Suprema Corte definisce “logica” (ad esempio, Cass. pen. sez. IV, 7 marzo 2008, n.15282), resta il fatto che, secondo il giudizio c.d. controfattuale, la condotta è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento non si sarebbe verificato (a contrariis, la condotta non è conditio sine qua non dell’evento laddove, eliminata mentalmente, l’evento si sarebbe comunque realizzato).

Sempre la Corte di cassazione evidenzia poi che: ” nell’accertamento della causalità generale, ovvero nella identificazione della legge scientifica di copertura, il giudice deve individuare una spiegazione generale degli eventi basata sul sapere scientifico, sapere che è costituito non solo da leggi universali ma altresì da leggi statistiche, da generalizzazioni empiriche del senso comune, da rilevazioni epidemiologiche”(Cass. pen. 1 febbraio 2008, n. 5117). Non si può quindi non tener conto -nel caso in esame- del fatto che lavoratori addetti -contemporaneamente a S.E.- alle medesime lavorazioni presso le stesse Officine Meccaniche Santa Lucia risultano avere manifestato poco tempo prima dell’E. la stessa malattia ed esserne morti (così R.U.: malattia manifestata nel 1999 e morte sopravvenuta nel 2000, come da sentenza del Tribunale di Prato – Giudice del Lavoro dep.21.1.2013).

Né, infine, può costituire limite al riconoscimento dell’integrale risarcimento in favore della parte attrice la quantificazione in termini del 50% dell’importo richiesto da parte attrice nell’ambito della comparsa conclusionale, palesemente fondata sul presupposto che il giudice, accettando la valutazione del CTU, pervenisse al riconoscimento della paritaria corresponsabilità delle Ferrovie dello Stati nella causazione dell’evento funesto.

Conclusivamente questo giudice, a cui -in definitiva- spetta il gravoso ruolo di peritus peritorum, ritiene che la causa del mesotelioma pleurico da cui fu colpito S.E. debba ricondursi per il 100% all’esposizione all’amianto subita egli mentre lavorava alle dipendenze della dante causa dell’ odierna convenuta, non essendo stati realizzati da parte di quest’ultima tutti gli accorgimenti che avrebbero dovuto essere apprestati e cercati (anche attraverso l’ausilio dell’ENPI) per tutelare la salu(…) lavorazioni. Alla mancata adozione di una condotta esigibile si correla la possibilità per l’azienda di rappresentarsi l’evento: secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, tale possibilità di rappresentazione deve intendersi non come rappresentazione precisa dell’evento effettivamente verificatosi, ma come conoscenza della potenziale, generica idoneità della condotta antidoverosa a cagionare eventi dannosi, anche se di tipo diverso rispetto a quello concretizzatosi (v. ad esempio, Cass. pen. sent. n. 5117/2008).

b.4)Quantificazione del danno

E.S., nato il (…) in M.T. ebbe a subire un primo ricovero per la patologia di cui è causa il 10.4.2002 e morì il 24.1.06: la durata malattia fu dunque di 3 anni, 9 mesi, 12 gg

Questo giudicante , che non potrà effettuare che in via necessariamente equitativa la valutazione del danno subito dalla parte attrice, ritiene che a tali fini debba essere analizzato il decorso del malattia del sig. S.E., divisibile in 4 parti:

1) un primo periodo di riscontro della malattia con i ricoveri presso la Medicina di Pescia e successivamente in chirurgia toracica a Cisanello (biopsia e asportazione della massa tumorale), a cui è seguito il trattamento chemioterapico (luglio-ottobre 2002) ed infine la radioterapia (dicembre 2002 – gennaio 2003). In questo primo periodo si evidenziano i ricoveri, le sofferenze patite dal Congiunto per gli interventi chirurgici, la convalescenza, gli effetti debilitanti della chemioterapia e l’assidua frequenza ai cicli di chemioterapia (circa 270 giorni);

2) un secondo periodo di parziale remissione della malattia tumorale (dal febbraio 03 al febbraio 04 per circa 12 mesi);

3) un terzo periodo di ripresa della malattia tumorale, caratterizzato da controlli clinici e radiografici ripetuti nonché da un nuovo ciclo di chemioterapia ( marzo – luglio 2004 , 120 giorni circa) e ciclo di terapia radiante fra agosto e settembre 2004 ( circa 210 gg)

4) Un ultimo periodo in cui, sostanzialmente, vi è una parziale e fugace remissione del quadro clinico, ma nel contempo un’inarrestabile evoluzione della malattia tumorale fino alla morte occorsa in data 24.1.06. Di fatto dopo 4-5 mesi dal termine dei predetti cicli di chemioterapia e radioterapia, il 7.2.05 fu accertata la progressione della malattia, tant’è che alla TAC del 22.6.05 ed RMN del 22.9.05 fu rilevato un deciso peggioramento sia del tumore primitivo che delle varie localizzazioni a distanza. Vista la gravità del complesso metastatico alle vertebre il 23.9.05 fu deciso di riprendere un ciclo di chemioterapia, sospeso poi nell’ottobre 2005 per comparsa di insufficienza cardiorespiratoria. Appare infine che il quadro clinico è andato così peggiorando in maniera progressiva fino all’exitus avvenuta in ospedale il 24.1.06 ove il sig E. è stato condotto in “condizioni generali scadenti”(poco meno di un anno e mezzo).

Tanto ai fini della parametrazione del danno non patrimoniale risarcibile agli attori (nel ricorso introduttivo indicato come danno morale ed inquadrabile come danno “da lesione del legame parentale”), unitamente agli altri parametri comunemente utilizzati nel caso di specie come l’età della persona, la qualità del vincolo (parentale o di coniugio), l’intensità del vincolo stesso (grado di parentela), la convivenza o meno, la presenza di altri familiari conviventi.

La qualità di coniuge e figli e la convivenza con il sig. E.S. al momento del Suo decesso sono provati sia per la sig.ra M.R.S. che per i figli L. e S.. La liquidazione del danno non patrimoniale per la morte del congiunto viene qui equitativamente effettuata avendo riguardo ai valori minimi e massimi appositamente indicati in calce alle Tabelle del Tribunale di Milano, (quest’ultime utilizzate in conformità con i condivisibili insegnamenti della Corte di legittimità).

All’esito della valutazione di tutti i parametri fin qui indicati (…) ad una valutazione comunque necessariamente equitativa, appare congrua la valutazione effettuata in sede di precisazione delle conclusioni dagli attori nell’importo di Euro 200.000,00 circa, non ostando la quantificazione operata dalla parte interessata in sede di conclusionale l’evidente presupposto logico del riconoscimento da parte di questo giudice di una corresponsabilità delle Ferrovie dello Stato.

B.5)Danno biologico.

la domanda di danno non patrimoniale collegabile ad un accertato danno biologico è accoglibile nei soli limiti e termini di quanto segue.

Preliminarmente si ritiene che costituisca una mera emendatio libelli la qualificazione in termini di danno non patrimoniale effettuata dagli attori in sede di I memoria ex art. 183 comma 6, cpc del danno morale già richiesto nel ricorso, verosimilmente effettuata per la sopravvenienza delle note sentenze delle SSUU della Cassazione del novembre nel 2008 in cui si era cercato di ricondurre a due tipologie (danno patrimoniale e danno non patrimoniale) le innumerevoli possibili voci di danno individuate dalla dottrina.

Ciò posto solo nel caso della sig.ra S. il CTU ha accertato, grazie all’ausilio dello psichiatra dott. Di Primio, l’esistenza di un disturbo del’adattamento cronico, con umore depresso causalmente ricollegabile alla morte del coniuge. Il danno è stato stimato in termini di danno biologico nella misura del 10%, con riconoscimento anche di una inabilità temporanea 75% per giorni 90, al 50% per altri 90 gg e al 25% per ulteriori 90 gg.

Ne deriva che il danno non patrimoniale in esame da risarcire a M.R.S. può essere liquidato nel seguente modo tenuto conto dell’età della stessa alla data della morte del sig. E., e del valore del punto base del danno non patrimoniale secondo le tabelle Milano 2014 (Euro2.760,28):

Inabilità temporanea parziale al 75% Euro 6.480,00

Inabilità temporanea parziale al 50% Euro 4.320,00

Inabilità temporanea parziale al 25% Euro 2.160,00

Totale temporanea Euro 12.960,00

e, inoltre,

Invalidità permanente 10% Euro20.150,00

e cosi per un totale complessivo, liquidato all’attualità, di Euro 33.110,00.

Nessun danno biologico può invece essere riconosciuto per mancanza di prova in relazione agli altri attori, la cui domanda deve essere rigettata.

B.6 Danni materiali richiesti nel ricorso introduttivo da parte ricorrente

Si rileva che in sede di comparsa conclusionale il difensore nulla ha esposto in materia, così dovendosi intendere implicitamente rinunciata la domanda relativa alla differenza tra le retribuzioni percepite dall’E., peraltro non provata.

  1. C) Domanda di manleva della convenuta verso la terza chiamata.

La domanda è infondata e deve essere rigettata.

Deve preliminarmente rigettarsi la richiesta istruttoria, ribadita da parte convenuta in sede di precisazione delle conclusioni, volta ad ottenere l’ammissione della prova per testi in relazione ai capitoli 9, 10, 11 della II memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. atteso che si tratta di circostanze suscettibili di prova documentale e, inoltre, il capitolo di prova n. 9) appare privo di riferimenti temporali e richiede valutazioni (“immediatamente”) che non sono possibili, anche -nel caso in esame- per assenza di qualsiasi parametro di confronto (immediatamente, secondo l’origine etimologica, implica la presenza di un momento di riferimento in relazione ai quale non vi è soluzione di co(…) appunto- “non mediatamente”, ossia senza che si frapponga tempo in mezzo). Inoltre, per quanto di seguito indicato, le circostanze risultano anche irrilevanti in relazione al merito della domanda di manleva.

Deve quindi ribadirsi la valutazione di inammissibilità/irrilevanza effettuata dal precedente G.I.

Ciò posto, è fatto pacifico la stipula in data 31.12.2001 da parte di U.T.M. srl e di ACE Insurance srl di una polizza assicurativa (n. 010620866C) per la responsabilità civile verso i prestatori di lavoro e verso Terzi.

C.1) Eccezione di prescrizione

L’eccezione di prescrizione è infondata

La terza chiamata ha eccepito preliminarmente la prescrizione del diritto di essere manlevata da parte di U.T.M. spa (già Officine Meccaniche Santa Lucia) esponendo che l’atto introduttivo del presente giudizio (ricorso davanti al giudice del Lavoro) era notificato alla convenuta l’8.3.2007 e la notificazione dell’atto di chiamata in causa si era perfezionata solo il 9.7.2009: nessuna richiesta era intervenuta medio tempore all’assicurazione e dunque la prescrizione (un anno ex art. 2952 c.c. nel testo vigente fino all’ottobre 2008) dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione si era compiuta.

Dalla documentazione prodotta risulta che la convenuta ha reso nota comunicazione a mezzo raccomandata a mano trasmessa tramite il broker AssiteX alla terza chiamata in data 30.5.2005 copia della richiesta di risarcimento danni inviatale da E.S. in pari data (doc. 6 allegato alla memoria ex art 183, comma 6, n.2, c.p.c.): il documento indicato come raccomandata a mano risulta sottoscritto “p.ritiro” il 30.6.2005. Ulteriore comunicazione risulta essere stata poi inviata da U.T.M. spa in data 8.3.2007 relativa all’atto introduttivo notificato dagli eredi del sig. E. (doc. 7): anche in questo caso si tratta di raccomandata a mano sottoscritta “per ricevuta ASSITEX” in data “8/3/07”. Dell’effettivo invio di tali comunicazioni alla terza chiamata ne dà certezza la stessa ACE EUROPE, Ufficio Sinistri che scrive ad ASSITEX “per riscontrare la pregiata vostra del giorno 8.3.2007” (nella lettera anticipata via fax del 24.4-2007 ad ASSITEX) indicando nell’ oggetto: “vs riferimento: E. S. – assicurato U.T.M. SPA – Data di evento 4 APRILE 2002”). Nel testo della comunicazione (doc. 8 convenuta) viene fatto anche richiamo “al contenuto della nostra precedente missiva del 25.11.2005”. Il documento non è stato disconosciuto dalla terza chiamata, né è stato contestato l’invio della richiesta del sig. E. da parte di U..

La terza chiamata ha opposto che dall’8.3.2007 alla notificazione dell’atto di citazione per chiamata in causa del terzo (9.7.2009) era abbondantemente decorso il termine di prescrizione ex art. 2952 cc, mentre la convenuta ha dedotto che vi era stata sospensione del corso della prescrizione ex art 2952 , comma 4, c.c

Ebbene, costituisce consolidato insegnamento della corte di legittimità dal quale questo giudice non intende discostarsi che “in tema di assicurazione, alla norma generale dettata, in tema di prescrizione, dall’articolo 2935 c.c. (secondo la quale la prescrizione stessa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo’ essere fatto valere), viene apportata deroga dalla norma di cui all’articolo 2952, quarto comma, c.c., la quale, regolando in ogni suo aspetto il rapporto tra assicurato e assicuratore, detta, altresì’, la disciplina speciale della sospensione del termine di prescrizione sino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del terzo danneggiato; tale sospensione si verifica non già con la denuncia del sinistro, bensì con la comunicazione, efficace anche se proveniente dallo stesso danneggiato o da un terzo, all’assicuratore, della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato” (Cass. Cass., sez. III, 26-02-2014, n. 4548 che espressamente richiama: Cass. 22 agosto 2007, n. 17834; Cass. 2 agosto 2001, n. 10598Cass. 10 agosto 2000, n. 10595Cass. 17 maggio 1997, n. 4426) con la precisazione che, ove la determinazione quantitativa del credito avvenga giudizialmente, tale sospensione si protra (…) passata in giudicato (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1872Cass. 23 novembre 2000, n. 15149).

L’eccezione di prescrizione formulata dalla Compagnia assicuratrice, conclusivamente, va rigettata.

C.2) Eccezione di nullità della domanda proposta da U. nei confronti della terza chiamata

Posto che anche tale eccezione risulta infondata stante la compiuta difesa svolta dalla terza chiamata, il principio della c.d. ragione più liquida che la giurisprudenza anche delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha riconosciuto doversi applicare per economia processuale a tutela dei principi costituzionalmente garantiti (artt. 24 e 111 Cost) , impone di valutare prioritariamente le

C.3) eccezioni di inoperatività della polizza

a)relativa alla RCOD.

Nel caso in esame non vi è richiesta di risarcimento danni jure hereditatis, stante l’accoglimento della rilevata eccezione di tardività della domanda che parte attrice ha proposto solo nella I memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.

Questo esclude che sia operativa nel caso in esame la copertura RCOD.

In ogni caso la stessa non sarebbe operativa sia per la previsione contrattuale che deve trattarsi di malattia determinatasi in conseguenza di fatto colposo commesso da U. “durante il tempo dell’assicurazione” -laddove l’inizio della vigenza del contratto di assicurazione è pacificamente riconosciuta nel 31.1.2001- e, inoltre, perché il rapporto di lavoro di S.E. con le Officine Meccaniche Santa Lucia (ora U.) si era concluso nel 1976, mentre nelle condizioni particolari aggiuntive, l’art. 6 “Estensione Malattie Professionali” precisa che ” l’estensione non ha effetto per le malattie che si manifestino dopo 12 mesi dalla ..cessazione del rapporto di lavoro”.

b)relativa alla RCT

la polizza sottoscritta tra U.M. SpA ed ACE richiede che il danno involontariamente causato a terzi “per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose” si sia determinato “in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione all’attività svolta”.

Ritiene questo giudice che gli odierni attori relativamente a questa tipologia di copertura assicurativa siano da qualificare “terzi”, stante la domanda azionata di risarcimento dei danni da loro subiti jure proprio: ciò detto, nel caso in esame la polizza non risulta comunque operativa.

Una corretta interpretazione della clausola contrattuale contenuta nella Sezione I delle condizioni Generali di Assicurazioni e intitolata: “Oggetto dell’assicurazione A) Assicurazione della responsabilità civile verso terzi” impone infatti di ritenere che i “danni involontariamente causati a terzi” conseguenti ad un “fatto accidentale verificatosi in relazione all’attività svolta” debbano essere avvenuti durante il tempo di vigenza dell’assicurazione e si configurino come conseguenti a fatto lesivo della persona del terzo (o di un suo bene) correlati ad presenza fisica (della persona danneggiata o di un suo bene) nei locali/spazi esterni ove viene esercitata l’attività, o per ragioni connesse ad beni/strutture dell’assicurata, o per l’agire di dipendente dell’assicurata -di cui quest’ultima debba rispondere- e, infine, sempre che il fatto accidentale (deve infatti escludersi palesemente l’eventualità che l’assicurazione e prima ancora U. possano rispondere per un fatto illecito compiuto dolosamente da un dipendente U.) si verifichi in relazione all’attività esercitata.

Quanto alla necessità riscontrata da questo giudice che il fatto si determini durante il tempo di vigenza della polizza si rileva che, diversamente opinando, la polizza assicurativa sarebbe andata a coprire un possibile indeterminato numero di situazioni, verificatesi in periodo antecedente alla stipula del contratto assicurativo tra odierne (…) con un’anomala estensione della responsabilità dell’assicurazione che, ad avviso di questo giudicante, avrebbe potuto sussistere solo in presenza di specifica pattuizione sottoscritta dall’odierna terza chiamata.

Conclusivamente la domanda di manleva svolta dalla chiamante in causa nei confronti della terza chiamata deve essere rigettata in quanto infondata.

Spese di lite

Seguono la soccombenza come per legge e pertanto, nei rapporti tra parte attrice e convenuta e stante l’inammissibilità della domanda di risarcimento jure beredtatis e l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno biologico solo per uno degli attori, deve disporsi la condanna della convenuta alla refusione in favore della parte attrice della metà delle spese di lite, compensando la residua metà. Le spese, nella quota riconosciuta, vengono liquidate in dispositivo sulla base del decisum, vista la nota spese ritenuta congrua in relazione ai criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, salvo un lieve incremento per la fase istruttoria e trattazione e ridotto lievemente, invece, l’importo indicato nella nota spese per la fase decisionale. Il tutto oltre accessori di legge e rimborso forfetario spese generali nei limiti del 12.50%, come da conclusioni precisate, disponendosi -infine- la condanna al pagamento in favore degli avvocati che si sono dichiarati antistatari.

Le spese seguono la soccombenza anche nei rapporti tra chiamante e terza chiamata e la refusione delle spese di lite grava dunque sulla convenuta condannata a rifondere alla terza chiamata le spese che vengono liquidate in dispositivo, in assenza di nota spese depositata, tenuto conto dell’attività svolta e dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, vanno poste definitivamente a carico della convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1 – dichiara inammissibili le domande di risarcimento danni proposte dagli attori jure successionis

2 – riconosciutane la responsabilità ex art. 2087 c.c., condanna la convenuta a corrispondere in favore degli attori M.R.S., L.E. e S.E., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale jure proprio per perdita del proprio congiunto, l’importo Euro 200.000,00 calcolato all’attualità per ciascuno dei congiunti, oltre interessi sulla somma devalutata alla data del fatto e via via rivalutata anno per anno ed oltre interessi legali sulla somma così complessivamente dovuta dalla data della presente sentenza fino al saldo effettivo;

3 – condanna la convenuta U.T.M. spa al pagamento in favore di M.R.S. a titolo di risarcimento del danno biologico/non patrimoniale subito, l’importo Euro 33.110,00, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del 24.1.2006 e via via rivalutata di anno in anno ed interessi legali sulla somma così complessivamente dovuta, dalla presente sentenza al saldo effettivo;

4 – rigetta la domanda di risarcimento del danno biologico proposta da L.E. e da S.E.;

5 – condanna la parte convenuta alle refusione della metà delle spese di lite sostenute dalla parte attrice che liquida in Euro 466,10 per esborsi, Euro 9.750,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario 12,50%, ed accessori di legge, disponendo che il pagamento sia effettuato in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari, e compensando le spese per la residua parte;

6 – Rigetta la domanda di manleva svolta dalla convenuta nei (…)

7 – Condanna la convenuta alla refusione delle spese di lite della terza chiamata, spese che si liquidano in Euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre a 15% di rimborso forfetario ed oltre IVA e CAP, come per legge;

8 – Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU.

Conclusione

Così deciso in Prato, il 27 gennaio 2015.

Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2015.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Originally posted 2021-08-15 18:55:18.

Tags:

Comments are closed

CERCA NELLE PAGINE DEL SITO
Shares
Studio Legale Bologna - AVVOCATO SERGIO ARMAROLI 051 6447838