In caso di incidente stradale mortale con vittima un pedone vicino le strisce cosa accade?
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Gli incidenti stradali oltre a coinvolgere due veicoli possono anche vedere come protagonisti un’automobile e un pedone. Purtroppo, infatti, sempre più spesso vengono riferite notizie di pedoni che hanno subito un danno da un veicolo. In questo caso la vittima può ottenere un risarcimento del danno. Vediamo insieme come fare.
incidente mortale o grave risarcimento
Quale la norma di riferimento in caso di investimento di un pedone?
La norma di riferimento è l’art. 2054 c.c. che attribuisce al conducente dell’autovettura l’obbligo di risarcire il danno se non dimostra di aver fatto tutto il possibile per evitarlo. Si tratta di una presunzione di responsabilità relativa perché ammette la prova contraria sebbene un’impostazione fa rientrare il caso in esame tra quelli di responsabilità oggettiva tenuto conto della difficoltà dell’onere probatorio di cui è gravato il conducente. In solido con il guidatore sono responsabili anche il proprietario del veicolo, l’usufruttuario e l’acquirente con patto di riservato dominio se non dimostrano la loro contraria volontà alla circolazione. Essi sono ritenuti responsabili anche se il danno è causato da vizi di costruzione o difetto di manutenzione del veicolo.
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Cosa fare se il pedone sta attraversando correttamente la strada utilizzando le strisce pedonali come prescritto da legge?
In tal caso, se l’attraversamento avviene in modo prudente e corretto, nessun concorso di colpa è ascrivibile al pedone. In ipotesi di lesioni fisiche è necessario richiedere immediatamente l’intervento dei sanitari oltre quello delle autorità di polizia che devono constatare la corretta dinamica dell’incidente redigendo apposito verbale che verrà prodotto in un eventuale giudizio (esso non è sempre sufficiente in quanto spesso il giudice deve nominare un consulente tecnico per verificare le modalità reali del fatto). Altre attività essenziali sono la verifica della presenza di testimoni che hanno assistito alla causazione del danno e la raccolta dei dati personali con gli estremi della polizza assicurativa del danneggiante.
Il pedone a chi può richiedere il risarcimento dei danni subiti?
Il pedone può indirizzare la richiesta di risarcimento per i danni subiti dall’investimento sia allo stesso conducente sia al proprietario del veicolo qualora non corrispondente alla persona del conducente sia alla compagnia assicurativa. Necessaria è una lettera di diffida e messa in mora a corrispondere quanto dovuto e contenente tutti i dati necessari tra cui nome, cognome, estremi identificativi, modalità di svolgimento del fatto, intervento delle autorità sul luogo del sinistro, eventuali testimoni, referti medici. La richiesta di risarcimento va presentata dal danneggiato o dagli aventi causa. Entro novanta giorni dalla ricezione della stessa la compagnia di assicurazione deve predisporre un’offerta di risarcimento o comunicare i motivi ostativi all’accoglimento della domanda. In caso di soli danni alle cose il termine di novanta giorni è ridotto a sessanta. Se l’assicurazione richiede una visita medica il danneggiato non può esimersi da tale obbligo tenuto anche conto della perdita, in tal caso, della tutela giurisdizionale. Se la documentazione prodotta con la richiesta di risarcimento è incompleta è onere della compagnia richiederne un’integrazione che deve essere ottemperata entro trenta giorni. Formulata l’offerta il danneggiato ha diverse possibilità:
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può accettare l’offerta con pagamento entro il quindicesimo giorno dall’accettazione;
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se il danneggiato non accetta l’offerta l’assicurazione entro quindici giorni corrisponde la somma che è considerata a titolo di acconto sull’importo complessivamente dovuto;
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se entro trenta giorni dall’offerta il danneggiato non si pronuncia entro quindici giorni la compagnia assicurativa paga comunque e quanto versato vale quale anticipo sul dovuto totale.
Se la compagnia di assicurazione non formula l’offerta restando in silenzio, il danneggiato può adire il giudice alla scadenza dei novanta giorni in caso di danno alle persone o dei sessanta se ci sono solo danni alle cose. Prima del procedimento giurisdizionale, però, è necessario il passaggio in sede di negoziazione assistiti così come disposto dalla legge del 2014. La parte invitata a comporre bonariamente la controversia se entro trenta giorni non fornisce alcuna risposta e rimane silente o non accetta il negoziato è possibile ricorrere al giudice.
Quali sono gli obblighi del pedone?
La norma di riferimento è l’art. 190 Codice della Strada. Essa obbliga il pedone a camminare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi adibiti alla circolazione pedonale. Se sono assenti deve essere utilizzato il margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli come anche fuori dei centri abitati. I pedoni devono marciare in unica fila da mezz’ora dopo il tramonto del sole a mezz’ora prima del suo sorgere, se sono in strade esterne ai centri abitati e senza di illuminazione pubblica. Essi, inoltre, devono servirsi delle strisce di attraversamento pedonale, dei sottopassaggi e dei soprapassaggi. È vietato l’attraversamento diagonale o causare intralcio al traffico sostando sulla carreggiata esclusi i casi di necessità. Se sono assenti le strisce pedonali il pedone deve dare precedenza al veicolo.
Cosa accade se il pedone non attraversa sulle strisce pedonali?
La giurisprudenza, costantemente, in ipotesi di investimento del pedone ha sempre attribuito la responsabilità all’automobilista anche se l’attraversamento è avvenuto in modo repentino e imprevedibile. L’idea di fondo è quella di far gravare la responsabilità sul soggetto che potenzialmente può cagionare maggiori danni. Di recente, però, l’impostazione è mutata. La responsabilità dell’automobilista è esclusa se il comportamento del pedone è gravemente negligente e imprudente aggravato anche e ulteriormente dall’attraversamento fuori dalle strisce pedonali. Bisogna, dunque, sempre prestare attenzione e attraversare la strada con corretto utilizzo degli strumenti appositamente predisposti.
Cosa accade se il pedone attraversa in diagonale ad un incrocio?
Anche in tal caso può verificarsi o l’esclusione totale della responsabilità dell’automobilista o quanto meno un concorso colposo del pedone. La norma di riferimento è l’art. 1227 c.c. che stabilisce una riduzione del risarcimento in base alla gravità della colpa della vittima e alle conseguenze che ne sono derivate. Non dovuto anche il risarcimento che il danneggiante avrebbe dovuto pagare per i danni evitabili secondo la diligenza mediamente utilizzata. In giudice deve in concreto vagliare la reale portata del comportamento del pedone e quanto effettivamente ha inciso sul verificarsi del danno.
Conclusioni.
In caso di incidente stradale a danno del pedone scatta l’obbligo risarcitorio. La causazione del danno è interamente ascrivibile al conducente in caso di corretto attraversamento del pedone, nel pieno rispetto dell’art. 190 del Codice della Strada. Diversamente il risarcimento può essere ridotto se vi è concorso colposo della vittima del sinistro o addirittura escluso nelle ipotesi di negligenze più gravi.
Le lesioni del pedone sono conseguenza di un duplice impatto (veicolo dell’imputato e successivo ed immediato impatto con il veicolo del teste E.); c) della traiettoria balistica del corpo della vittima – l’avere il corpo del povero R. impattato con il veicolo dell’imputato e dell’ E. ha condizionato inevitabilmente la sua traiettoria (vedasi ultimo capoverso pag. 6 sentenza impugnata). Ci si duole che la Corte territoriale, nonostante le censure mosse nei precedenti gradi di giudizio, giunga ad escludere l’esistenza di condotta imprudente ascrivibile ai pedone non già esaminando quest’ultima ma sulla base del positivo accertamento della responsabilità colposa, per violazione delle norme del codice della strada, da parte dell’imputato, sebbene fosse pacifico che gli stessi, in siffatte condizioni di tempo e della strada, non avevano fatto prudente uso delle strisce pedonali. Sul punto il ricorrente rileva che i pedoni hanno posto in essere un comportamento colposo costituente causa esclusiva del loro investimento Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. 3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8), il P.G., l’11/1/2021, che ha chiesto il rigetto del ricorso e il difensore del D. che ha insistito nei proposti motivi e per l’annullamento della sentenza impugnata. Motivi della decisione 1. I proposti motivi sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Ed invero, non colgono nel segno le censure che investono il provvedimento della Corte capitolina, che per il ricorrente avrebbe ritenuto sproporzionata la velocità tenuta dall’imputato rispetto alle condizioni della strada, bagnata e al buio per una interruzione dell’energia elettrica, basandosi esclusivamente sulle osservazioni del consulente della pubblica accusa senza tenere in adeguato conto che l’arresto del veicolo in un brevissimo spazio dal punto d’urto (due metri) e l’assenza di frenata deponevano per una conclusione contraria, che i danni al veicolo non potevano essere significativi in assenza di elementi per accertare lo stato pregresso della carrozzeria del veicolo e che i danni alle persone erano stati provocati non solo dall’urto ma anche dall’impatto con la vettura che proveniva i senso contrario di marcia, e che pertanto l’evento mortale sarebbe stato inevitabile e da ascriversi all’esclusivo comportamento imprudente della vittima. Con motivazione logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità, nella sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado, viene sottolineato, riprendendo le considerazioni del consulente della pubblica accusa, l’assenza di tracce di frenata e di dati certi utili per stabilire il punto d’urto e lo spazio di arresto del veicolo investitore, nonostante già risultasse dai rilievi planimetrici la distanza della posizione finale del veicolo dal verosimile punto di attraversamento dei due pedoni. I giudici ritengono corretto il calcolo effettuato dal tecnico rispetto a quello proposto dalla difesa, di una velocità di 15 km orari sulla base di alcuni decisivi elementi: a. le stesse dichiarazioni dell’imputato che parlava di una andatura di 30 km orari e che aveva inserito la terza marcia; b. l’irrilevanza delle dichiarazioni dei testi, vicini di casa dell’imputato, sulla velocità tenuta da costui al momento di uscire dal parcheggio condominiale, l’erroneità dei dati forniti (tratto di 10-15 m. a fronte di una distanza percorsa dall’imputato di oltre cento metri fino alla collisione), e l’impossibilità, per la distanza e condizioni della strada, di vedere l’incidente; c. la violenza dell’urto rivelata dall’entità delle lesioni della vittima (e della moglie S.M.) tanto da essere sbalzato prima sulla vettura dell’imputato per poi ricadere sulla vettura condotta da E.V.; 4) la consistente entità dei danni riportati dalla vettura dell’imputato. Non paiono idonee a vulnerare il ragionamento dei giudici l’ignoranza sulle condizioni della vettura precedenti al sinistro, trattandosi di obiezione del tutto congetturale e su cui l’imputato era chiamato, una volta dedotta, ad assolvere un contrario onere probatorio, così come ipotetico appare l’assunto della scarsa pregnanza dimostrativa dell’entità delle lesioni riportate dalla vittima su cui avrebbe influito anche l’impatto contro il mezzo proveniente nell’opposto senso di marcia. La circostanza non tiene conto che la traiettoria seguita dalla vittima era conseguenza della violenza dell’urto e appare mera presunzione ritenere che la caduta a terra dell’infortunato dopo il caricamento sul cofano della vettura investitrice avrebbe attutito le conseguenze lesive.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Sentenza 24 febbraio 2021, n. 7094 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Maria Francesco – Presidente – Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere – Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere – Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere – Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: D.S., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/09/2019 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA; lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23) del PM in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delia Cardia, che ha chiesto il rigetto del ricorso e quelle del difensore del ricorrente avv. Tony Ceccarelli, che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata. Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 16/9/2019 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza con cui il 28/2/2017 il Tribunale di Frosinone, in composizione monocratica ed in esito a giudizio con rito ordinario, aveva dichiarato D.S. responsabile “del reato di cui all’art. 589 c.p. perchè, alla guida dell’autovettura Volkswagen Golf tg. (OMISSIS), nel percorrere Via (OMISSIS), con direzione verso Via (OMISSIS), all’altezza del civico 81, per colpa, negligenza e imperizia, consistita nella violazione dell’art. 141 C.d.S., commi 1, 2 e 3 ed in particolare nel procedere ad una velocità non adeguata alle caratteristiche del tratto di strada percorso (attraversamento di zona abitata) ed alle condizioni ambientali esistenti e, comunque, nel non porre in essere misura alcuna idonea ad evitare l’evento, investiva R.L., intento ad attraversare la strada da destra verso sinistra rispetto alla direttrice di marcia del veicolo, omettendo di usare le strisce pedonali, cagionandogli lesioni personali da cui derivava il decesso del medesimo”. Fatti commessi in (OMISSIS). Il giudice di primo grado, concesse all’imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il primo giudice ha fondato la condanna sulle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, ed in particolare sulle dichiarazioni dei testi, del consulente tecnico del P M. (geom. P.A. D.G.F.) e della difesa, sull’esame dell’imputato, sulle acquisizioni documentali (fascicolo dei rilievi tecnici svolti da personale della Sezione di Polizia Stradale di Frosinone e relazione del Ct del P.M.). Proponeva appello D.S. che, con un unico articolato motivo deduceva che il sinistro mortale in cui perse la vita R.L. si sarebbe. verificato esclusivamente, per fatto illecito della vittima, configurandosi una causa eccezionale, atipica e non prevedibile, da sola sufficiente a provocare l’evento. L’appellante procedeva ad esaminare singolarmente le emergenze dell’istruttoria orale. Sulla testimonianza del Ct del PM, geom. D.G.F. rilevava come lo stesso avrebbe censurato la condotta del pedone che avrebbe, attraversato la sede, stradale senza usufruire delle strisce pedonali, poste a distanza di circa mt.27 dal luogo dell’impatto, iniziando la fase di attraversamento, nonostante l’incipiente arrivo dell’autovettura condotta dall’imputato, facilmente visibile per la presenza dei proiettori. Inoltre, il Ct dei PM stimava in 50 km/h la velocità del D., coincidente con il limite consentito nel tratto di strada percorso, osservando che il sinistro sarebbe stato evitabile alla velocità di 40 km/h. Tali dati tuttavia sarebbero approssimativi ed imprecisi in considerazione di alcuni elementi fondamentali evidenziati dall’Agente della Polizia di Stato Servino Paolo che ha, svolto i rilievi nell’immediatezza del fatto. La corte d’appello, come detto, ha confermato la pronuncia di primo grado. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il D., deducendo quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale – manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione, nonchè travisamento della prova laddove, nonostante più volte segnalato dalla difesa sia nel corso della discussione di primo grado che nei motivi di appello, la Corte territoriale non avrebbe proceduto ad una valutazione unitaria delle prove agli atti, valorizzando esclusivamente la consulenza resa su disposizioni del Pubblico Ministero titolare delle indagini, nonostante le numerose incongruenze, evidenziate nei motivi di appello in punto di ricostruzione della dinamica del sinistro e, soprattutto, di esclusione della responsabilità dell’imputato. In proposito, il ricorrente rileva che se è vero che l’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), prevede tra i requisiti della sentenza quello di una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, è pur vero che il disposto dello stesso articolo pone a carico del giudice di merito l’obbligo di indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie specificatamente riportate nell’atto di appello, con particolare riferimento a quelle dirette ad escludere gli esiti della CT in relazione agli addebiti contestati in forza del codice della strada. Per il ricorrente la censura mossa non appare superabile con le poche righe contenute nella sentenza della Corte territoriale, mediante le quali la valenza degli elementi a sostegno della difesa dell’imputato viene annullata. Il ricorrente appunta la propria attenzione sulle pag. 4 e 6 della sentenza impugnata, ove segnala illogicità della motivazione in punto di velocità dell’autovettura La motivazione offerta dalla Corte territoriale a sostegno della velocità di marcia del veicolo, come individuata dal CT e ritenuta dal giudice di merito, contrasterebbe ad avviso del ricorrente con quanto sostenuto dallo stesso giudice del gravame nell’impugnata sentenza al quarto capoverso di pag. 5 (“tale velocità, pur contenuta nel limite stabilito nel centro urbano, era assolutamente incompatibile con le circostanze di tempo, orario serale con black out in corso, e con le condizioni della strada, asfalto bagnato per il violento temporale in atto, e quindi integrante violazione delle norme del codice della strada….”). Tale affermazione del giudice del gravame sarebbe del tutto illogica dal momento che la marcia dell’autovettura del prevenuto si arrestava dopo solo due metri dal punto di impatto – circostanza riportata espressamente in sentenza e non tenuta in considerazione dallo stesso giudicante – e senza alcuna azione di frenata e ciò anche in presenza di manto stradale viscido per il violento temporale: elementi, questi, che possono solo ribadire che la velocità di marcia del veicolo era al minimo consentibile. L’illogicità della motivazione espressa a sostegno della velocità di marcia si desumerebbe anche da quanto riportato dalla stessa Corte capitolina a pag. 4, ultimo capoverso, nonchè a pag. 5 primo capoverso della sentenza (laddove si afferma che “… va rammentato che il Ct del P.M ha premesso che sul posto non sono state rinvenute tracce di frenata e non è stato possibile stabilire con precisione il punto di collisione e lo spazio di arresto dell’autovettura (pag. 34 relazione peritale). Il Ct ha quindi stabilito la velocità del mezzo condotto dal D. al momento dell’investimento in circa 50 km/h tenendo conto: a) dei danni al veicolo – Non può escludersi che il mezzo avesse già dei danni preesistenti; b) delle lesioni patite dal pedone – Le lesioni del pedone sono conseguenza di un duplice impatto (veicolo dell’imputato e successivo ed immediato impatto con il veicolo del teste E.); c) della traiettoria balistica del corpo della vittima – l’avere il corpo del povero R. impattato con il veicolo dell’imputato e dell’ E. ha condizionato inevitabilmente la sua traiettoria (vedasi ultimo capoverso pag. 6 sentenza impugnata). Ci si duole che la Corte territoriale, nonostante le censure mosse nei precedenti gradi di giudizio, giunga ad escludere l’esistenza di condotta imprudente ascrivibile ai pedone non già esaminando quest’ultima ma sulla base del positivo accertamento della responsabilità colposa, per violazione delle norme del codice della strada, da parte dell’imputato, sebbene fosse pacifico che gli stessi, in siffatte condizioni di tempo e della strada, non avevano fatto prudente uso delle strisce pedonali. Sul punto il ricorrente rileva che i pedoni hanno posto in essere un comportamento colposo costituente causa esclusiva del loro investimento Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. 3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8), il P.G., l’11/1/2021, che ha chiesto il rigetto del ricorso e il difensore del D. che ha insistito nei proposti motivi e per l’annullamento della sentenza impugnata. Motivi della decisione 1. I proposti motivi sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Ed invero, non colgono nel segno le censure che investono il provvedimento della Corte capitolina, che per il ricorrente avrebbe ritenuto sproporzionata la velocità tenuta dall’imputato rispetto alle condizioni della strada, bagnata e al buio per una interruzione dell’energia elettrica, basandosi esclusivamente sulle osservazioni del consulente della pubblica accusa senza tenere in adeguato conto che l’arresto del veicolo in un brevissimo spazio dal punto d’urto (due metri) e l’assenza di frenata deponevano per una conclusione contraria, che i danni al veicolo non potevano essere significativi in assenza di elementi per accertare lo stato pregresso della carrozzeria del veicolo e che i danni alle persone erano stati provocati non solo dall’urto ma anche dall’impatto con la vettura che proveniva i senso contrario di marcia, e che pertanto l’evento mortale sarebbe stato inevitabile e da ascriversi all’esclusivo comportamento imprudente della vittima. Con motivazione logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità, nella sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado, viene sottolineato, riprendendo le considerazioni del consulente della pubblica accusa, l’assenza di tracce di frenata e di dati certi utili per stabilire il punto d’urto e lo spazio di arresto del veicolo investitore, nonostante già risultasse dai rilievi planimetrici la distanza della posizione finale del veicolo dal verosimile punto di attraversamento dei due pedoni. I giudici ritengono corretto il calcolo effettuato dal tecnico rispetto a quello proposto dalla difesa, di una velocità di 15 km orari sulla base di alcuni decisivi elementi: a. le stesse dichiarazioni dell’imputato che parlava di una andatura di 30 km orari e che aveva inserito la terza marcia; b. l’irrilevanza delle dichiarazioni dei testi, vicini di casa dell’imputato, sulla velocità tenuta da costui al momento di uscire dal parcheggio condominiale, l’erroneità dei dati forniti (tratto di 10-15 m. a fronte di una distanza percorsa dall’imputato di oltre cento metri fino alla collisione), e l’impossibilità, per la distanza e condizioni della strada, di vedere l’incidente; c. la violenza dell’urto rivelata dall’entità delle lesioni della vittima (e della moglie S.M.) tanto da essere sbalzato prima sulla vettura dell’imputato per poi ricadere sulla vettura condotta da E.V.; 4) la consistente entità dei danni riportati dalla vettura dell’imputato. Non paiono idonee a vulnerare il ragionamento dei giudici l’ignoranza sulle condizioni della vettura precedenti al sinistro, trattandosi di obiezione del tutto congetturale e su cui l’imputato era chiamato, una volta dedotta, ad assolvere un contrario onere probatorio, così come ipotetico appare l’assunto della scarsa pregnanza dimostrativa dell’entità delle lesioni riportate dalla vittima su cui avrebbe influito anche l’impatto contro il mezzo proveniente nell’opposto senso di marcia. La circostanza non tiene conto che la traiettoria seguita dalla vittima era conseguenza della violenza dell’urto e appare mera presunzione ritenere che la caduta a terra dell’infortunato dopo il caricamento sul cofano della vettura investitrice avrebbe attutito le conseguenze lesive. Ciò che, viceversa, viene valorizzato dai giudici di merito è la circostanza che proprio la teste E., alla guida della predetta autovettura, oltre a riferire sulla diversa velocità tenuta rispetto a quella dell’imputato (pag. 3 della sentenza impugnata), ha affermato di avere visto, perchè illuminati dai fari delle vetture, i due pedoni che attraversavano. La circostanza, afferma la Corte territoriale con logica consequenzialità, appare decisiva, perchè, anche ammessa una velocità minore di quella ritenuta dal consulente, ma in ogni caso certamente superiore a quella indicata dal difensore per le ragioni illustrate nel corpo della motivazione, rivela che l’ostacolo era percepibile ed evitabile con l’attenzione che le condizioni della strada richiedevano, nella specie, evidentemente mancato. La ricostruzione dell’addebito di colpa, quantunque concorrente con quello della vittima- e del collegamento causale con l’evento appare, dunque, lineare e coerente con le risultanze processuali e non appare intaccata dalle censure difensive. 3. Va evidenziato che all’imputato, del resto, non è stato contestato il superamento dei limiti di velocità imposti dal codice della strada ma la prescrizione dell’art. 141 C.d.S.. Le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilità avrebbero dovuto, in altri termini, orientarne la condotta di guida alla massima attenzione e prudenza a fronte di un evento, quale l’attraversamento di un pedone, non certo imprevedibile, fino a procedere in modo da poter fermarsi e evitare conseguenze pericolose quale quella verificata. Per i giudici di merito, in altri termini, la velocità, pur contenuta nel limite stabilito nel centro urbano, era assolutamente incompatibile con le circostanze di tempo (orario serale con black out in corso) e con le condizioni della strada (asfalto bagnato per il violento temporale) e quindi tale da integrare la violazione dell’art. 141 C.d.S. E comunque- si osserva nel provvedimento impugnato – come correttamente osservato dal primo giudice, ove la velocità del D. fosse stata inferiore rispetto a quella accertata dal ct del PM (ma certamente non quella prospettata dall’atto di appello assolutamente inconciliabile con i danni all’autovettura e con le lesioni patite dalle vittime) e quindi tale da scorgere i pedoni in tempo per frenare ed evitare l’investimento, dovrebbe addebitarsi all’imputato di non aver posto comunque in essere alcuna misura idonea ad evitare l’evento (v imputazione), configurandosi a suo carico un rimproverò di colpa per non aver guidato con la massima attenzione correlata alle avverse condizioni di tempo e luogo. La sentenza impugnata si colloca, pertanto, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia. Va richiamata, in particolare, Sez. 4 n. 38548 del 3/5/2017, Gravino, non mass. in cui, in un caso analogo a quello che ci occupa – che vedeva il conducente di un’autovettura imputato, per colpa specifica consistita nella violazione delle norme di circolazione stradale con riferimento alla velocità non adeguata per il tratto di strada, omettendo di effettuare un tentativo di frenata ovvero una manovra di emergenza alternativa (sterzata del veicolo), per essere andato a collidere violentemente con un velocipede e averne cagionato la morte del conducente – questa Corte di legittimità ha precisato che non vale ad escludere la condotta colposa il rispetto del limite massimo di velocità. In quel giudizio si era accertato che l’autovettura viaggiava ad una velocità prossima (ma comunque inferiore) al limite consentito sul tratto di strada rettilineo ed in perfette condizioni, ma privo di illuminazione pubblica, ma aveva investito da tergo il conducente del velocipede che viaggiava nella stessa direzione di marcia a bordo della propria bicicletta, priva dei dispositivi di segnalazione visiva e dei catadiottri previsti dall’art. 68 C.d.S. e che, nonostante fosse buio, non indossava il giubbotto o le bretelle retroriflettenti previste dall’art. 182 C.d.S. Ebbene, condivisibilmente, la Corte ebbe ad affermare che, pur essendo in quel caso certi i concorrenti profili di colpa della vittima (descritte caratteristiche della bicicletta e mancanza di indumenti catarifrangenti), l’evento fatale doveva ascriversi anche alla condotta negligente e imprudente dell’imputato, che violava generali regole di diligenza e specifiche regole di condotta stabilite dal codice della strada; in particolare, l’art. 141 C.d.S. imponeva al conducente del veicolo di regolare la velocità alle caratteristiche, e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, in modo che fosse evitato ogni pericolo perla sicurezza delle persone, assicurato il controllo del proprio veicolo e il compimento di tutte le manovre necessarie, specie l’arresto tempestivo entro i limiti del campo visivo e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, la stessa disposizione imponeva poi di regolare la velocità del veicolo specie nelle ore notturne. L’imputato, con la propria condotta di guida aveva violato queste regole, mantenendo una velocità tale – anche se inferiore al limite imposto che non gli aveva consentito di avvistare per tempo il ciclista e scongiurare l’evento mortale. 4. Stante l’evidenziato positivo accertamento di responsabilità colposa per violazione delle norme in materia di circolazione stradale in capo al D., con motivazione logica e corretta in punto di diritto- e che perciò si sottrae ai denunciati vizi di legittimità- la Corte distrettuale ha ritenuto che la condotta imprudente dei pedoni, che attraversavano la sede stradale senza utilizzare le strisce pedonali e nelle indicate condizioni metereologiche, non può essere considerata causa unica dell’evento. E, quanto alla determinazione della pena, che la valutazione della condotta di guida del D. giustificasse ampiamente il giudizio di comparazione delle circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza, osservandosi peraltro che la pena finale appare ampiamente congrua in relazione alle concrete modalità dell’azione, come sopra ricostruite. La sentenza impugnata appare, pertanto. collocarsi correttamente nell’alveo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al cosiddetto principio di affidamento -complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative- evocato in ricorso a favore dell’imputato assumendosi la non prevedibilità del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente. Ebbene, va ricordato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purchè questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis le recenti Sez. 4 n. 51747 del 27/11/2019, Ripepi e 10062 del 14/2/2019, Nostrani, non massimate e le conformi Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997 (alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata ritenuta la responsabilità per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilità, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale) e Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981). Nell’affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia (Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010), questa Corte di legittimità aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell’autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all’automezzo ed era stato investito dall’imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman). Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha condivisibilmente statuito, fin da tempo risalente, che il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi; e ciò allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili” (così questa Sez. 4 sent. 8859/1988), in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell’attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale. Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di reati colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (così questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui “il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile”). 5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021. Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 202
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