MORTE INCIDENTE ROVIGO MORTE MOTO
AVVOCATO ESPERTO INCIDENTI MORTALI CONTATTA SUBITO 051 6447838
MOTOCICLISTA DANNO MORTALE CTU MORTE INCIDENTE ROVIGO MORTE MOTO
AFFERMA LA SENTENZA SUL DANNO PATRIMONIALE
La voce di danno patrimoniale relativa al mancato contributo al mantenimento, alla luce della giurisprudenza in materia, nel caso il defunto sia figlio privo di fonti di reddito (o con fonti di reddito modeste e non definitive), può essere liquidato solo se il futuro contributo economico sia valutabile in termini di verosimiglianza e possibilità, secondo un criterio di normalità causale in relazione ai futuri presumibili bisogni (Cass. n. 2869/2003; Cass. n. 491/99, ecc.).
Spetta in particolare ai genitori allegare e provare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che il figlio deceduto avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia (Cass. n. 15641/2002; Cass. n. 15103/2002
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Occorre in primo luogo raccoglier ei verbali dell’incidente e tenere presente che si vi è una persona morta in incidente probabilmente vi sarà un processo penale inizialmente potrebbe esser disposto dal PM o richiesto dalle persone offese ( parenti del morto) un esame autoptico che po’ essere utile per individuare elementi fondamentali ,quali la causa esatta morte, il tipo di lesioni ecc ecc,
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IL FATTO
Il giorno (…) Fe.Re. procedeva a bordo della moto (…) su via (…) in località (…) con direzione Rovigo – Grignano Polesine.
Dall’opposto senso di marcia proveniva Ma.Ta. a bordo della propria autovettura (…), la quale, trovando davanti a sé un furgone fermo sulla strada, che aspettava l’apertura del cancello elettrico per entrare nel civico n. (…) di quella strada, effettuava manovra di sorpasso del furgone e rientrava nella propria corsia di marcia. Il Re. sopraggiungendo sulla propria opposta corsia, si accorgeva della (…) in manovra di sorpasso che gli sbarrava la corsia e frenava bruscamente, perdendo il controllo della moto, che continuava la sua traiettoria e infine cadeva a terra, mentre il conducente stesso cadeva al suolo nell’altra corsia e veniva a impattare con la (…) in frenata, che lo trascinava per breve tratto, per lasciarlo deceduto sulla strada (vedi elaborato ing. Mi., pagg. 16 – 17).
La ctu dinamica che è stata effettuata in corso di causa dall’ing. Mi. ha evidenziato numerose negligenze e violazioni del Codice della Strada da parte della sig.ra Ta.
Il ctu ha accertato la violazione da parte della sig.ra Ta. dell’art. 146 c. 1, 40 c. 8, 148 lett. a) e d), 10 e 142 c. 1 CdS poiché essa ha effettuato il sorpasso (del furgone fermo), nonostante il divieto segnalato dall’esistenza di linea longitudinale continua, e ha comunque effettuato il sorpasso senza rispettare le regole di diligenza imposte dal Codice della strada per tale manovra, e principalmente assicurarsi che la visibilità fosse tale da consentire la manovra senza essere di pericolo o intralcio ed essendo comunque, in quel punto della strada, scarsa la visibilità. Inoltre, in base agli accertamenti cinetici effettuati dal consulente, l’auto condotta dalla sig.ra Ta. viaggiava a una velocità di circa 55 – 60 km/h, e quindi di circa 5 – 10 km/h superiore al limite consentito su quella strada, ove vigeva il limite di velocità dei 50 km/h, così sussistendo anche violazione dell’art. 142 c. 7.
La manovra di sorpasso da parte della sig.ra Ta. è infatti avvenuta in un punto della strada dove vi era una curva e una fitta vegetazione e la linea di mezzeria longitudinale continua, segnalante il divieto di sorpasso.
Il ctu ha accertato che anche il motociclista ha violato l’art. 142 CdS poiché viaggiava ad una velocità di circa 80 Km/h, e quindi superiore di circa 30 Km/h al limite di velocità vigente su quel tratto di strada, e violazione dell’art. 142 c. 1 CdS, perché avrebbe tanto più dovuto tenere un’andatura moderata date le condizioni della strada, che in quel tratto presentava crepe e cattiva manutenzione, come ha accertato il ctu, situazione che era presegnalata da cartello stradale di “strada sdrucciolevole”.
LA CONSLENZA TECNICA D’UFFICIO
Il ctu ritiene che la SP 27, ove è avvenuto il sinistro, sia strada a grande traffico, non qualificabile luogo poco frequentato.
IL giudizio finale del ctu, è che vi sia concorso di responsabilità dei due autoveicoli nella causazione del sinistro: da parte della Ta., per non aver atteso i pochi istanti che avrebbero permesso al furgone fermo di sgombrare la carreggiata, intraprendendo una manovra di sorpasso vietata, sia dalla linea longitudinale continua, sia dalla mancanza del rispetto delle condizioni di visibilità che avrebbero dovuto sussistere per il sorpasso, non essendo visibile per una distanza sufficiente la strada, sia a causa dell’andamento curvilineo della carreggiata, sia a causa della vegetazione folta su lato strada; da parte del motociclista a causa della velocità eccessiva .da esso tenuto, superiore di 30 chilometri alla velocità consentita.
Il ctu evidenzia che se il motociclista avesse tenuto una velocità al di sotto dei 60 km/h, egli sarebbe comunque caduto, ma in un punto precedente a quello dove è realmente caduto, così evitando l’arrotamento da parte dell’auto e di conseguenza evitando la morte.
Da ciò deduce la esistenza di concorso causale dei due autisti nell’incidente oggetto di causa. Tale giudizio deve essere condiviso.
D’altra parte anche il ctu di parte attrice, ing. Be., ha esaminato punto per punto la consulenza del ctu, per concludere che: “poiché… la quantità e soprattutto la gravita delle infrazioni commesse dall’automobilista sono decisamente superiori rispetto a quelle imputabili alla condotta di guida del sig. Fe.Re., secondo lo scrivente la responsabilità dell’occorso deve essere attribuita in modo assolutamente preponderante proprio alla sig.ra Ma.Ta.”.
Appare dunque pacifico – anche per il consulente di parte – che vi sia una corresponsabilità dei due conducenti nella causazione del sinistro, con peraltro una preponderante colpa della sig.ra Ta., giudizio che si condivide.
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REPUBBLICA ITALIANA MORTE INCIDENTE ROVIGO MORTE MOTO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROVIGO
Il Giudice monocratico dott.ssa Rossana Oggioni
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento n. 216/2007 RGAC
PROMOSSA DA:
Ma.Se., El.Lu.Gr. e Se.Ez., rappresentati e difesi dall’avv. P.E.Pa. con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ca. in Rovigo via (…);
ricorrenti
Re.Lu.Gi. e Ma.Em.Ma. rappresentati e difesi dall’avv. E.Ca. con domicilio eletto presso lo studio di tale difensore in Rovigo via (…);
ricorrenti
CONTRO
Ma.Ta., rappresentata e difesa dall’avv. L.Lo. del foro di Padova e F.Mo. con domicilio eletto presso tale ultimo difensore in Rovigo via (…);
resistente
As.Ge. S.p.A. quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della strada, rappresentata e difesa dall’avv. N.Ci. del foro di Padova e dall’avv. M.Gi., con domicilio eletto nello studio di tale ultimo difensore in Porto Viro via (…);
resistente
OGGETTO: incidente stradale. Risarcimento danni. Azione di regresso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Occorre innanzitutto verificare le modalità del sinistro.
Il giorno (…) Fe.Re. procedeva a bordo della moto (…) su via (…) in località (…) con direzione Rovigo – Grignano Polesine.
Dall’opposto senso di marcia proveniva Ma.Ta. a bordo della propria autovettura (…), la quale, trovando davanti a sé un furgone fermo sulla strada, che aspettava l’apertura del cancello elettrico per entrare nel civico n. (…) di quella strada, effettuava manovra di sorpasso del furgone e rientrava nella propria corsia di marcia. Il Re. sopraggiungendo sulla propria opposta corsia, si accorgeva della (…) in manovra di sorpasso che gli sbarrava la corsia e frenava bruscamente, perdendo il controllo della moto, che continuava la sua traiettoria e infine cadeva a terra, mentre il conducente stesso cadeva al suolo nell’altra corsia e veniva a impattare con la (…) in frenata, che lo trascinava per breve tratto, per lasciarlo deceduto sulla strada (vedi elaborato ing. Mi., pagg. 16 – 17).
La ctu dinamica che è stata effettuata in corso di causa dall’ing. Mi. ha evidenziato numerose negligenze e violazioni del Codice della Strada da parte della sig.ra Ta.
Il ctu ha accertato la violazione da parte della sig.ra Ta. dell’art. 146 c. 1, 40 c. 8, 148 lett. a) e d), 10 e 142 c. 1 CdS poiché essa ha effettuato il sorpasso (del furgone fermo), nonostante il divieto segnalato dall’esistenza di linea longitudinale continua, e ha comunque effettuato il sorpasso senza rispettare le regole di diligenza imposte dal Codice della strada per tale manovra, e principalmente assicurarsi che la visibilità fosse tale da consentire la manovra senza essere di pericolo o intralcio ed essendo comunque, in quel punto della strada, scarsa la visibilità. Inoltre, in base agli accertamenti cinetici effettuati dal consulente, l’auto condotta dalla sig.ra Ta. viaggiava a una velocità di circa 55 – 60 km/h, e quindi di circa 5 – 10 km/h superiore al limite consentito su quella strada, ove vigeva il limite di velocità dei 50 km/h, così sussistendo anche violazione dell’art. 142 c. 7.
La manovra di sorpasso da parte della sig.ra Ta. è infatti avvenuta in un punto della strada dove vi era una curva e una fitta vegetazione e la linea di mezzeria longitudinale continua, segnalante il divieto di sorpasso.
Il ctu ha accertato che anche il motociclista ha violato l’art. 142 CdS poiché viaggiava ad una velocità di circa 80 Km/h, e quindi superiore di circa 30 Km/h al limite di velocità vigente su quel tratto di strada, e violazione dell’art. 142 c. 1 CdS, perché avrebbe tanto più dovuto tenere un’andatura moderata date le condizioni della strada, che in quel tratto presentava crepe e cattiva manutenzione, come ha accertato il ctu, situazione che era presegnalata da cartello stradale di “strada sdrucciolevole”.
Il ctu non ravvisa invece alcuna violazione, da parte del motociclista, della previsione dell’art. 143 c. 1 CdS, prescrivente di occupare il margine destro della propria carreggiata, poiché la deviazione del motociclista verso il centro strada deve considerarsi conseguenza dello stato della pavimentazione stradale.
Il ctu ravvisa inoltre la violazione dell’art. 122 c. 5 CdS, norma che prevede che chi si esercita alla guida (situazione ravvisabile in capo a Fe.Re., in possesso di autorizzazione per l’esercizio alla guida, al momento del sinistro), su veicoli che non permettono la presenza di altra persona con funzione di istruttore, deve farlo in luoghi “poco frequentati”.
Il ctu ritiene che la SP 27, ove è avvenuto il sinistro, sia strada a grande traffico, non qualificabile luogo poco frequentato.
IL giudizio finale del ctu, è che vi sia concorso di responsabilità dei due autoveicoli nella causazione del sinistro: da parte della Ta., per non aver atteso i pochi istanti che avrebbero permesso al furgone fermo di sgombrare la carreggiata, intraprendendo una manovra di sorpasso vietata, sia dalla linea longitudinale continua, sia dalla mancanza del rispetto delle condizioni di visibilità che avrebbero dovuto sussistere per il sorpasso, non essendo visibile per una distanza sufficiente la strada, sia a causa dell’andamento curvilineo della carreggiata, sia a causa della vegetazione folta su lato strada; da parte del motociclista a causa della velocità eccessiva .da esso tenuto, superiore di 30 chilometri alla velocità consentita.
Il ctu evidenzia che se il motociclista avesse tenuto una velocità al di sotto dei 60 km/h, egli sarebbe comunque caduto, ma in un punto precedente a quello dove è realmente caduto, così evitando l’arrotamento da parte dell’auto e di conseguenza evitando la morte.
Da ciò deduce la esistenza di concorso causale dei due autisti nell’incidente oggetto di causa. Tale giudizio deve essere condiviso.
D’altra parte anche il ctu di parte attrice, ing. Be., ha esaminato punto per punto la consulenza del ctu, per concludere che: “poiché… la quantità e soprattutto la gravita delle infrazioni commesse dall’automobilista sono decisamente superiori rispetto a quelle imputabili alla condotta di guida del sig. Fe.Re., secondo lo scrivente la responsabilità dell’occorso deve essere attribuita in modo assolutamente preponderante proprio alla sig.ra Ma.Ta.”.
Appare dunque pacifico – anche per il consulente di parte – che vi sia una corresponsabilità dei due conducenti nella causazione del sinistro, con peraltro una preponderante colpa della sig.ra Ta., giudizio che si condivide.
Quest’ultima infatti ha commesso le violazioni di norme del Codice della Strada sopra descritte, innescando la dinamica del sinistro, intraprendendo una manovra assolutamente vietata e rischiosa, senza neppure fermarsi prima di intraprendere la manovra di sorpasso, che ha logicamente e direttamente causato la improvvisa frenata del motociclista, la sua caduta e il suo conseguente arrotamento.
Deve addebitarsi inoltre alla sig.ra Ta. anche la violazione dell’art. 193 c. 1 e 2 CdS per aver circolato senza copertura assicurativa; la polizza di essa risultava infatti scaduta pochi giorni prima del sinistro.
Tale contravvenzione è stata alla Ta. contestata in sede di accertamenti immediati da parte degli agenti intervenuti, con relativa sanzione, e pur rappresentando una violazione di natura amministrativa, denota un comportamento negligente da parte della automobilista.
A carico del motociclista nessun addebito può essere posto per la circostanza che si trovava spostato verso il centro strada, essendo tale condotta di guida determinata dallo stato dissestato della strada, con ciò condividendo e facendo proprio il giudizio espresso dal ctu.
Non si ritiene neppure addebitabile al motociclista la violazione della normativa che prevede, per chi si esercita alla guida su motocicli, la frequentazione di luoghi poco frequentati: invero l’incidente è avvenuto di sabato alle ore 13,35 circa, il 28 giugno, e quindi in periodo estivo, in un giorno e ad un’ora e in piccola località di provincia in cui il traffico è sicuramente ridotto, così dovendo dissentire dal diverso giudizio espresso sul punto dal ctu, condividendo invece l’opinione del consulente di parte ing. Be.
L’addebito che deve senz’altro essere fatto al Re. è invece l’eccessiva velocità alla quale procedeva, superiore di ben 30 km/h circa al limite di velocità. In proposito le osservazioni del ctp ing. Be., il quale ipotizza invece un’andatura del Re. di circa 65 km/h piuttosto che di 80 km/h, non è comunque idonea ad eliminare l’evidente e certo nesso causale costituita da una velocità superiore a quella consentita, velocità che è stata sicuramente concausa degli esiti mortali del sinistro.
Come segnala il ctu, infatti, una velocità contenuta entro il limite di 60 km/h sarebbe stata sufficiente ad evitare l’impatto mortale; se ne deduce che non lo sarebbe stata la velocità di 65 km/h ipotizzata dal ctp ing. Be. (pag. 21 del suo elaborato), con identiche conseguenze.
Inoltre l’automobilista doveva tenere in maggior conto la segnaletica stradale che indicava la presenza di strada sdrucciolevole, con conseguente riduzione della velocità anche per tale motivo.
La correponsabilità deve suddividersi infine secondo le seguenti proporzioni: 3/4 a carico dell’automobilista e 1/4 a carico del motociclista.
Ciò premesso occorre accertare la misura del danno risarcibile.
Gli attori chiedono il risarcimento del danno biologico; del danno morale – esistenziale derivante dall’evento morte (danno non patrimoniale); del danno patrimoniale per il mancato futuro contributo al mantenimento della famiglia; del danno patrimoniale per le spese effettuate per il funerale e connesse.
Riguardo al danno morale e esistenziale preteso dai ricorrenti, occorre osservare che tale tipo di danno è stato recentemente oggetto di sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 26975 del 11711/2008), che ha ridefinito le suddette voci di danno.
In particolare si deve ritenere definitivamente cessata la disputa relativa alla sussistenza di un autonomo danno esistenziale rispetto ad altre voci di danno: il danno esistenziale è stato infatti ritenuto dalla sentenza citata una effettiva duplicazione del danno biologico e/o morale – categoria di danno finora utilizzate – e come tale è stato ritenuto insussistente e mai risarcibile in sé.
Riguardo al danno morale, la citata sentenza ha ritenuto che tale voce di danno possa essere considerata non in quanto tale, ma vada inquadrata in un conteso personalizzato, e possa essere una delle componenti di sofferenza soggettiva che il giudice può liquidare come danno non patrimoniale.
Fatta tale premessa, è evidente che nel caso di specie, il danno morale – esistenziale, che meglio si può ora definire danno non patrimoniale, sussista in capo ai congiunti, essendo pacifica la sofferenza incommensurabile che la perdita di un figlio (e nipote) determina.
Per la quantificazione di tale danno, occorre fare riferimento al rapporto affettivo con la persona rimasta uccisa, rapporto leso dall’evento morte: i criteri di valutazione di tale danno sono essenzialmente equitativi e si calibrano sulla vicinanza del legame parentale esistente, sull’età delle persone coinvolte, sulle abitudini di vita, sull’aspettativa di vita dei beneficiari del risarcimento, sull’aspetto relazionale esistente tra vittima e congiunti (Cass. n. 14845/2007; Cass. n. 15760/2006).
Nel caso in oggetto la somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale ai genitori, considerando che è pacifica la convivenza di essi con il figlio deceduto, considerando l’età di questo, all’epoca di 23 anni, e l’età dei genitori, considerando lo stretto legame esistente tra figli e genitori, basandosi sui valori indicati nella Tabella del Triveneto all’epoca del pagamento ai genitori di Euro 200.000 effettuato dalla compagnia assicurativa (giugno 2006), deve ritenersi equa nella misura di Euro 80.000 per ciascun genitore. Per i nonni si reputa equo un danno non patrimoniale di Euro 10.000 per ciascun nonno, considerando il rapporto affettivo e di frequentazione che esisteva tra la vittima e i nonni, dimostrato dalle testimonianze assunte, in base alle quali la frequentazione sia dei nonni materni che della nonna paterna era costante da parte della vittima.
Per quanto riguarda il danno biologico, esso non è generalmente dovuto ai congiunti di persona rimasta uccisa in incidente stradale. Infatti si riconosce, nell’ampio dibattito relativo alla attribuzione iure proprio o iure hereditatis del risarcimento del danno a favore dei congiunti dell’ucciso, un autonomo diritto iure hereditatis al risarcimento del danno biologico patito dal defunto, nello spazio di tempo tra il fatto dannoso e la morte, semprechè tale lasso di tempo sia apprezzabile (Cass. n. 517/2006; Cass. n. 1877/2006; Cass. 3728/2002; Cass. 2775/2003).
Nel caso in oggetto la morte è stata istantanea, e pertanto nessun danno biologico iure hereditatis è nato a vantaggio dei congiunti.
Un danno biologico proprio dei congiunti può realizzarsi solo qualora sia accertata una vera e propria malattia conseguente al lutto, che deve peraltro essere accertata mediante ctu (Cass. n. 3549/2004), in difetto del quale accertamento deve essere negato il risarcimento a tale titolo ai congiunti (Cass. n. 24745/2007; Cass. n. 2082/2002; Cass. 881/2002; Cass. n. 1442/2002).
Nel caso in oggetto è stata effettuata apposita ctu medica, che ha accertato la sussistenza di grave depressione in capo ai genitori della vittima.
La lettura dell’elaborato peritale, effettuato dal dott. De., porta alla comprensione della grave depressione che ha colpito i genitori della vittima, in forma maggiormente grave per la madre che per il padre.
Le conclusioni del medico incaricato portano al riconoscimento di un danno permanente con riduzione della capacità lavorativa per Ma.Se. del 25% e del 12 – 13% per Lu.Re.
Tale effettiva depressione e compromissione delle normali attività di vita è comprovata dalla circostanza che Ma.Se., dipendente del Ministero della Giustizia con la qualifica di Operatore Giudiziario B1, ha ridotto nell’immediatezza dell’evento il proprio orario di lavoro da tempo pieno a part – time (doc. 19) e dal fatto che i coniugi hanno iniziato, a seguito dell’evento, procedura di separazione.
IL valore che si può attribuire alla invalidità permanente come sopra quantificata, è quello richiesto da parte attrice, arrotondato in Euro 25.000 per Lu.Re. (calcolando 13 punti percentuali per Euro 1.977,79 pari al valore a punto di Euro 2.361,94 – 0,837 che è il coefficiente di riduzione per età di soggetto di anni 49) e di Euro 58.000 per Ma.Se. (25 punti di percentuale per Euro 2.331,13 pari al valore a punto di Euro 2.734,95 – 0,852 che è il coefficiente di riduzione per età di un soggetto di anni 45).
Gli attori chiedono poi il risarcimento del danno patrimoniale consistente nella somma spesa dai congiunti per il funerale, l’acquisto di una lapide e di una cappella gentilizia, nonché le spese per la riparazione della moto e per il vestiario che indossava la vittima e andato distrutto a causa dell’incidente.
Le spese che si reputa di riconoscere come conseguenza diretta e immediata del sinistro sono quelle relative al funerale per Euro 2.904,86 (doc. 22); per la concessione di un loculo cimiteriale per Euro 2.036,89 (doc. 23); per iscrizione e posa della lapide per Euro 2.100 (doc. 24); per la riparazione del motociclo, quantificata dal ctu in Euro 867,59; per i capi di vestiario e il casco che indossava la vittima, quantificati nel complesso in poco più di Euro 1.000, così da raggiungere la somma finale per tutte le voci indicate di Euro 9.000, di cui spettano rispettivamente Euro 4.500 per ciascun genitore.
La somma di Euro 30.890, relativa all’acquisto di una cappella gentilizia, dove trasferire la salma della vittima, non appare spesa necessaria né collegata direttamente all’evento; nulla dovrà pertanto essere risarcito per tale spesa.
Gli attori chiedono infine il danno rappresentato dal venir meno di future entrate e contributi economici da parte del parente deceduto a favore dei congiunti e costituito dal minor reddito percepito dalla madre, a causa della riduzione del suo orario di lavoro part – time, a causa dell’evento.
Riguardo a quest’ultima perdita patrimoniale, si osserva che tale perdita non appare conseguenza immediata e diretta del sinistro: non è dato sapere se in mancanza della vicenda oggetto di causa, la sig.ra Se. si sarebbe ugualmente determinata ad una riduzione dell’orario di lavoro, non potendosi ricollegare direttamente tale scelta lavorativa con gli eventi, anche in considerazione del fatto che è già stata valutata la perdita di capacità lavorativa della madre, laddove è stato quantificato nel 25% il suo grado di invalidità permanente. Non è neppure possibile ipotizzare che l’orario di lavoro rimarrà sempre part – time, potendo essere richiesta e ottenuta in futuro la reintegrazione per l’intero orario lavorativo.
La voce di danno patrimoniale relativa al mancato contributo al mantenimento, alla luce della giurisprudenza in materia, nel caso il defunto sia figlio privo di fonti di reddito (o con fonti di reddito modeste e non definitive), può essere liquidato solo se il futuro contributo economico sia valutabile in termini di verosimiglianza e possibilità, secondo un criterio di normalità causale in relazione ai futuri presumibili bisogni (Cass. n. 2869/2003; Cass. n. 491/99, ecc.).
Spetta in particolare ai genitori allegare e provare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che il figlio deceduto avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia (Cass. n. 15641/2002; Cass. n. 15103/2002).
Nel caso in oggetto la vittima frequentava la facoltà di giurisprudenza e lavorava presso uno studio legale, e riceveva uno stipendio come arbitro regionale di pallavolo, come risulta dai cud 2002 e 2003 prodotti.
Non appare possibile ipotizzare per il futuro un suo costante ed effettivo contributo ai bisogni della famiglia, apparendo logico e normale, nel contesto della famiglia Re., nella quale entrambi i genitori svolgevano regolare attività lavorativa, e pur ipotizzando la permanenza in famiglia della vittima anche per qualche anno successivo all’inizio di una propria definitiva attività lavorativa, che il figlio avrebbe mantenuto il proprio stipendio per i propri immediati bisogni o lo avrebbe messo da parte per il proprio futuro e infine si sarebbe distaccato dal nucleo famigliare d’origine per crearne uno proprio, al quale avrebbe dedicato le proprie entrate.
Si può pertanto ipotizzare che il contributo ai bisogni della famiglia si sarebbe limitato a sporadici aiuti, soprattutto nella vecchiaia dei genitori, in caso di necessità economiche dovute a malattia, necessità di assistenza, e simili.
Appare pertanto che a tale titolo spetti un risarcimento ai genitori conviventi del tutto limitato: tenuto conto della età di essi, dell’aspettativa di vita, delle entrate di cui comunque essi godono (pur tenuto conto della riduzione di stipendio della madre, a causa della riduzione del suo orario di lavoro), della probabile cessazione della convivenza con il figlio, non appena questi si fosse reso economicamente indipendente, deve considerarsi equa la corresponsione della somma di Euro 5.000 per ciascun genitore.
La somma dovuta ai congiunti deve pertanto essere quantificata come segue.
A Ma.Se. spetta la somma di Euro 80.000 per danno non patrimoniale + Euro 58.000 per danno biologico proprio + Euro 4.500 per danno patrimoniale costituito dalle spese effettuate + Euro 5.000 per danno patrimoniale da future aspettative, per un totale di Euro 147.500.
Ai nonni materni Se.Ez. e Gr.El.Lu. spetta il solo danno non patrimoniale (morale – esistenziale) per Euro 10.000 ciascuno, così che la somma complessiva spettante ai ricorrenti del nucleo familiare materno è pari a Euro 167.500.
Tale somma deve essere calcolata per i 3/4 a carico delle parti convenute, essendo tale percentuale quella ritenuta di responsabilità nella causazione del sinistro della sig.ra Ta., così determinando la somma dovuta in Euro 125.625.
Poiché la compagnia assicurativa ha già corrisposto a Ma.Se. in data 15/6/2006 la somma di Euro 120.000 (doc. 10), la somma dovuta a Ma.Se., Se.Ez. e Gr.El.Lu., la cui posizione è unificata dalla difesa comune, di cui oggi si dispone la condanna è pari a Euro 5.625.
A Lu.Re. spetta la somma di Euro 80.000 per danno non patrimoniale + Euro 25.000 per danno biologico proprio + Euro 4.500 per danno patrimoniale costituito da spese effettuate + Euro 5.000 per danno patrimoniale da future aspettative, per un totale di Euro 114.500.
Alla nonna paterna Ma.Ma.Em. spetta il solo danno non patrimoniale (morale – esistenziale) per Euro 10.000, così che la somma complessiva spettante ai ricorrenti del nucleo famigliare paterno è pari a Euro 124.500.
Tale somma deve essere calcolata per i 3/4 a carico delle parti convenute, essendo tale percentuale quella ritenuta di responsabilità nella causazione del sinistro della sig.ra Ta., così determinando la somma dovuta in Euro 93.375.
Poiché la compagnia assicurativa ha già corrisposto al padre la somma di Euro 80.000, la somma dovuta a Lu.Re. e Ma.Ma.Em., la cui posizione è unificata dalla difesa comune, di cui oggi si dispone la condanna, è pari a Euro 13.375.
Le somma dovute andranno rivalutate di anno in anno e maggiorate degli interessi legali dal 15/6/2006 (data in cui è stato effettuato il pagamento da parte dell’assicurazione, già rivalutato) al saldo.
Deve essere infine essere esaminata la domanda riconvenzionale della As.Ge. nei confronti di Ta.Ma.
Le As. S.p.A. hanno proposto nei confronti di Ma.Ta. domanda di regresso per riottenere le somme già corrisposte ai congiunti, pari a complessivi Euro 200.000 e domanda di manleva per le ulteriori somme che As. S.p.A. dovesse essere condannata a rifondere ai congiunti ricorrenti.
La difesa di Ma.Ta. ha eccepito che la domanda debba essere ritenuta inammissibile, sia perché la domanda di regresso non sarebbe introducibile nell’ambito del rito del lavoro, applicabile al ricorso per risarcimento da incidente stradale a norma della legge n. 102/2006, vigente all’epoca della introduzione della domanda, sia perché la domanda è stata proposta ex art. 29 legge n. 990/68, norma abrogata dalla successiva legge.
Riguardo alla prima eccezione si deve ribadire quanto già osservato con ordinanza in corso di causa, e cioè che, se il rito previsto per la domanda di risarcimento dei danni per morte o lesioni deve essere proposta con rito del lavoro, come prevedeva la previgente legge n. 102/2006, conseguentemente le domande connesse che vengano proposte in via riconvenzionale, devono essere proposte con il medesimo rito.
Riguardo alla pretesa inammissibilità della domanda per aver essa fatto riferimento all’art. 29 legge n. 990/69, norma abrogata dalla successiva normativa del D.Lgs. n. 209 del 7/9/2005, c.d. Codice della Assicurazioni Private, si osserva che l’incidente è avvenuto in data 28/6/2003, epoca in cui vigeva la vecchia normativa, quindi correttamente citata. Inoltre si osserva che la nuova normativa non ha modificato minimamente la previgente: infatti l’art. 292 del decreto legislativo citato, prevede che l’impresa che ha risarcito il danno da incidente stradale, ha azione di regresso nei confronti dei responsabili del sinistro per il recupero dell’indennizzo pagato nonché degli interessi e spese. La domanda deve pertanto reputarsi ammissibile e fondata, avendo diritto la Compagnia alla restituzione delle somme pagate come indennizzo e spese. Nessuna distinzione può farsi tra le somme già pagate e quelle la cui condanna è stabilita dalla presente sentenza, poiché il diritto di regresso comprende tutta la somma corrisposta, senza distinzione.
La domanda di regresso deve dunque essere accolta.
Per quanto riguarda le spese legali, la domanda è stata accolta entro limiti molto ridotti rispetto alle pretese avanzate, e inoltre entrambe le parti hanno chiesto l’accertamento della integrale responsabilità della controparte, nella causazione del sinistro. Deve pertanto ritenersi che vi sia parziale soccombenza, con conseguente compensazione delle spese legali nel rapporto tra ricorrenti e resistenti.
Anche le spese delle due ctu, in considerazione della sostanziale parziale soccombenza, devono ricadere per metà su ciascuna delle parti ricorrente e resistente.
Per quanto riguarda i rapporti tra Ta.Ma. e la compagnia As. S.p.A. vi è soccombenza della prima rispetto alla seconda, con conseguente condanna di Ma.Ta. al pagamento delle spese legali per la metà, concernenti la domanda riconvenzionale.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza rigettata;
1) Dichiara che l’incidente oggetto di causa è avvenuto per concorso di colpa di Fe.Re. (nella misura di 1/4) e Ma.Ta. (nella misura di 3/4);
2) Accertato che il danno patrimoniale e non patrimoniale dovuto complessivamente a Ma.Se., Ez.Se. e Gr.El.Lu. (già calcolato nella misura di 3/4) è pari a Euro 125.625, condanna Ta.Ma. e Ge. S.p.A. quale ente designato dal Fondo per le vittime della strada, in persona del legale rappresentante pt, in solido tra loro, a pagare ai predetti ricorrenti, sottratta la somma già corrisposta in data 15/6/2006 di Euro 120.000, la somma di Euro 5.625, rivalutata di anno in anno e maggiorata degli interessi legali dal 15/6/2006 al saldo;
3) Accertato che il danno patrimoniale e non patrimoniale dovuto complessivamente a Lu.Re. e Ma.Ma. (già calcolato nella misura di 3/4) è pari a Euro 93.375, condanna Ta.Ma. e Ge. S.p.A. quale ente designato dal Fondo per le vittime della strada, in persona del legale rappresentante pt, in solido tra loro, a pagare ai predetti ricorrenti, sottratta la somma già corrisposta in data 15/6/2006 di Euro 80.000, la somma di Euro 13.375, rivalutata di anno in anno e maggiorata degli interessi legali dal 15/6/2006 al saldo;
4) Compensa le spese di lite tra tutte le parti.
5) Pone le spese di ctu dinamica e medica a carico delle parti, ciascuna per 1/3, come già stabilito in corso di causa;
6) Condanna Ma.Ta. ai sensi dell’art. 292 D.Lgs. n. 209/2005 alla restituzione alla As. S.p.A. quale ente designato dal Fondo Vittime della strada, della somma che tale compagnia ha corrisposto e deve corrispondere ai danneggiati per il sinistro per cui è causa.
Così deciso in Rovigo, il 27 gennaio 2010.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2010.
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