SEPARAZIONE CONIUGI BOLOGNA,LA PROBLEMATICA ASSEGNO DI MANTENIMENTO GIURISPRUDENZA CASSAZIONE

La legge italiana stabilisce che in caso di separazione dei coniugi spetta un assegno di mantenimento al coniuge economicamente più debole purché:

  • la separazione non sia addebitabile al coniuge richiedente;

  • il coniuge richiedente non sia titolare di redditi propri che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui ha goduto in costanza di matrimonio;

  • vi sia disparità economica tra i due coniugi, cioè il coniuge richiedente abbia un reddito inferiore a quello del coniuge obbligato.

  • Per quanto riguarda i servizi nel dettaglio, lo studio è in grado di offrire assistenza per:

    cause civili e controversie famigliari;

    cause della Sacra Rota;

    tutela del patrimonio di famiglia e successioni;

    tutela minorile;

    adozioni, anche internazionali;

    cause di separazione e divorzio;

    annullamento di matrimonio;

    deposito e registrazione atti, deposito istanze;

    difesa in corte di Cassazione;

    contenziosi per soci di cooperative.

    La normativa

    Codice civile

    Articolo 151 (Separazione giudiziale)

    La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

    Articolo 143 (Diritti e doveri reciproci dei coniugi)

    Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

    Articolo 146 (Allontanamento dalla residenza familiare)

    Il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’art. 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi.
    La proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.
    Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l’adempimento degli obblighi previsti dagli artt. 143, terzo comma, e 147.

    TENORE DI VITA E SEPARAZIONE

     

    L’art. 156 cod. civ. attribuisce al coniuge al quale non sia addebitatile la separazione il diritto di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento, tutte le volte in cui egli non sia in grado di mantenere, durante la separazione, con le proprie potenzialità economi che, il tenore di vita che aveva in costanza di convivenza matrimoniale, sempre che questo corrispondesse alle potenzialità economiche complessive dei coniugi e vi sia fra loro una differente redditualità che giustifichi l’assegno con funzione riequilibratrice.

    Pertanto il giudice, al fine di stabilire se l’assegno sia dovuto, deve prioritariamente valutare il suddetto tenore di vita, e quindi stabilire se il coniugo richiedente sia in grado di mantenerlo in regime di separazione con i mezzi propri, essendo la mancanza di tali mezzi condizione necessaria per avere diritto all’assegno (Cass. 4 aprile 1998, n. 3490; 14 agosto 1997, n. 7630; 27 giugno 1997, n. 5762; 27 febbraio 1995, n. 2223).

    Il tenore di vita matrimoniale deve, poi, essere accertato in via presuntiva, sulla base dei redditi complessivamente goduti dai coniugi durante la convivenza matrimoniale, con particolare riferimento al momento della sua cessazione, tenendosi conto non solo dei redditi di lavoro di ciascun coniuge, ma anche dei redditi di ogni altro tipo, nonché delle utilità derivanti dai beni immobili di loro proprietà, ancorché improduttivi di reddito.

     

    Se compro una casa prima del matrimonio, questa resta mia anche se scelgo la comunione dei beni?

    ASSOLUTAMENTE SI l’acquisto compiuto prima del matrimonio non fa parte della comunione e resta bene personale del coniuge.

    Quali sono le differenze tra comunione dei beni e separazione dei beni?

    La differenza essenziale sta nel fatto che nella comunione gli acquisti compiuti insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio ricadono comunque in comunione, mentre se si opta per la separazione dei beni ciascun coniuge conserverà  la titolarità  esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.

    Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista Sergio Armaroli vengono trattate tutte le molteplici problematiche che si pongono nei rapporti tra marito e moglie o tra conviventi, come pure tra genitori e figli. lo Studio legale matrimonialista si rivolge a tutte le persone che vogliono affrontare con rapidità le controversie legate alla separazione, al divorzio o allo scioglimento della famiglia di fatto,

     

    Separazione o divorzio sono momenti delicati della storia personale. L’avvocato matrimonialista è sì un consulente legale, ma anche un punto di riferimento in un momento delicato per le scelte personali.

     

    Rivolgersi ad un avvocato divorzista può essere utile anche solo per conoscere i propri diritti all’interno dell’unione matrimoniale o in previsione di una futura separazione o divorzio.

     

    Nello specifico, l’ avvocato divorzista si occupa di cause di separazione, divorzio, stipula di accordi di convivenza e modifiche delle condizioni di separazione.

    Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista Sergio Armaroli  è possibile superare tali controversie in modo chiaro ed efficace e comprendere quale strada percorrere per chi decide di porre fine alla propria unione mediante una separazione consensuale o giudiziale o la negoziazione assistita.

     

    Lo studio Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista Sergio Armaroli offre consulenza ed assistenza giudiziale in tutte le fasi della crisi matrimoniale o della convivenza, mettendo a disposizione la propria esperienza al fine di addivenire, ove possibile, ad un accordo.

    Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista Sergio Armaroli è fornita, anche, nelle separazioni giudiziali, nei procedimenti di divorzio, congiunto e giudiziale, nei procedimento di affidamento di minori ed in quelli inerenti la potestà genitoriale, in materia di unioni civili e convivenze di fatto.

    L’abbandono del tetto coniugale: una “separazione di fatto” – 

    Un caso di separazione non legale e di fatto è quello del coniuge che si reca a vivere stabilmente in altra dimora, in presenza o meno di un partnerdiverso.

    Il reato non sussiste se il coniuge si allontana con preavviso all’altro della propria intenzione di separarsi non necessariamente motivata (anche se non ancora formalizzata da un’istanza al giudice), oppure in presenza di giusta causa.

     

     

    Il diritto di famiglia si occupa dei rapporti giuridici esistenti tra i membri della famiglia, ossia nell’ambito delle relazioni coniugali, della convivenza, della filiazione, dell’adozione, della parentela e dell’affinità.

    – separazione consensuale e giudiziale;

    – accordi di separazione mediante negoziazione assistita (separazione veloce);

    – divorzio, cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio;

    – accordi di divorzio mediante negoziazione assistita (divorzio breve);

    – modifica delle condizioni di separazione e di divorzio;

     

     

    La nostra attività si estende poi alla consulenza e assistenza in materia di filiazione (disconoscimento della paternità, riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio, etc.) e in materia successoria: impugnazioni di testamento, lesioni di legittima, etc., contrasti tra coeredi, e via dicendo.

     

    La competenza e l’esperienza maturata in tanti anni di attività ci permettono di fronteggiare al meglio le necessità del cliente e di affrontare nel modo più appropriato ogni singolo caso.

     

    UNA MANO PER RISOLVERE

    LE CONTROVERSIE LEGALI

    NEI SETTORI

     

    DIRITTO  DI  FAMIGLIA

    RICONOSCIMENTO DI  STATUS

    RAPPORTI DI FAMIGLIA E SUCCESSIONI

    ABUSI  FAMILIARI INTERDIZIONI E  INABILITAZIONI

    DIRITTO CIVILE  E  COMMERCIALE

     

    di tutti gli aspetti legali e processuali della crisi personale dei coniugi di tutte le problematiche patrimoniali della coppia dell’eventuale affidamento dei figli minori (affidamento condiviso o esclusivo, assegno di mantenimento dei figli, la legittimazione dei figli naturali, l’adozione).

     

    Diritto familiare e patrimoniale

     

    Nello specifico l’avvocato matrimonialista di Bari può offrire consulenze sulla tutela della casa coniugale, dei patrimoni immobiliari e delle proprietà societarie e aziendali, dei beni appartenenti alla famiglia d’origine, delle giacenze e degli investimenti immobiliari in Italia e all’estero, sia nella normale fase coniugale (convenzioni matrimoniali, regime patrimoniale della separazione dei beni, fondi patrimoniali) sia anche nella successiva ed eventuale fase di separazione o di divorzio.

     

    SEPARAZIONE E ASSEGNO MANTENIMENTO

     

    Per quanto in questa sede maggiormente rileva, l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi. Sotto tale profilo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, con l’espressione “redditi adeguati” la norma ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi (Cass., 24 aprile 2007, n. 9915); tale dato, non ricorrendo la condizione ostativa dell’addebito della separazione, richiede un’ulteriore verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita. L’esito negativo di detto accertamento impone, poi, di procedere a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonchè di particolari circostanze (cfr. art. 156 c.c. , comma 2), quali, ad esempio, la durata della convivenza.

    La Corte di appello si è conformata a tale orientamento, in quanto, dopo aver dato atto, in merito al tenore di vita, che l’appellante aveva ammesso, al fine di dimostrare l’inutilità delle richieste istruttore della moglie, di aver consentito alla stessa “un tenore di vita assolutamente al di fuori di ogni norma”, definendo poi il proprio patrimonio “ultracapiente”, è pervenuta alla conclusione che la Ba. non potesse con i propri mezzi conseguire il tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza matrimoniale, escludendo, poi, che tale aspirazione comportasse la realizzazione di una scopo eccessivamente consumistico o comunque destinato alla capitalizzazione o al risparmio.

    Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve constatarsi che non risulta violato il dettato normativo di riferimento nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, dovendosi precisare che, una volta verificata la corretta applicazione di tali principi, la determinazione in concreto dell’assegno di mantenimento costituisce una questione riservata al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, per la quale, per altro, valgano le richiamate limitazioni derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5.

    Tanto premesso, non può omettersi di evidenziare che, in relazione alla censura in esame, lo stesso ricorrente non ha in alcun modo dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.c. , comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione della suddetta norma, avendo al contrario prospettato, in termini non dissimili da quelli già indicati nel corso del giudizio di merito, la eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 156 c.c. Tale disposizione, consentendo al coniuge beneficiario dell’assegno di percepire somme superiori a qualsiasi lavoratore, così eccedendo la possibilità di godere di un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost. ), si porrebbe in maniera irrazionale in contrasto con il principio solidaristico sancito dalla Carta costituzionale, privilegiando uno status sociale e così consentendo al coniuge beneficiario di sottrarsi, per altro percependo, senza espletare alcuna attività, somme eccedenti la possibilità di mantenere un’esistenza libera e dignitosa, al dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite della propria attività lavorativa. Inoltre, ponendosi gli obblighi sanciti da detta norma solo a carico del coniuge onerato, risulterebbe violato il principio di uguaglianza.

     

    Premesso che, come già rilevato, la separazione personale dei coniugi, a differenza dello scioglimento del matrimonio o della cessazione dei suoi effetti civili non elide, anzi presuppone, la permanenza del vincolo coniugale, deve ribadirsi che il dovere di assistenza materiale, nel quale si attualizza l’assegno di mantenimento, conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce una dei cardini fondamentali del matrimonio e non presenta alcun aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi anche temporanea, di separazione.

    ì Altrettanto non può affermarsi in merito alla solidarietà post-coniugale alla base dell’assegno di divorzio: al riguardo, è sufficiente richiamare la recente sentenza di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017, le argomentazioni che la sorreggono (e, in particolare, il n. 2.2., lettera A, pag. 8) ed i principi di diritto con essa enunciatPassando all’esame della questione inerente all’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 c.c. , che violerebbe i parametri costituzionali indicati nel ricorso, in quanto includerebbe fra le conseguenze patrimoniali del vincolo matrimoniale – come sopra evidenziato, persistenti nel regime di separazione personale – delle contribuzioni a carico dell’onerato del tutto avulse dall’attività svolta dall’altro coniuge, deve in primo luogo rilevarsi che la norma, nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, non è intesa a promuovere, come sembra sostenersi nel ricorso, una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si ritiene che, in relazione all’assegno di mantenimento in esame, debba tenersi dell’attitudine del coniuge al lavoro, la quale viene in rilievo ove venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’ attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass., 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass., 25 agosto 2006, n. 18547; Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).

    4.5. Deve poi rilevarsi come l’attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi propri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l’art. 29 Cost. attribuisce alla famiglia nell’ambito dell’ordinamento. Assume particolare rilevanza il principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 4 maggio 1966, n. 46, proprio con riferimento all’obbligo di consentire al coniuge separato di mantenere lo stesso tenore di vita precedentemente goduto, sia pure con la necessità di considerare i mezzi di cui autonomamente disponga; id., 16 dicembre 1968, n. 126; id., 20 marzo 1969, n. 45; id., 27 novembre 1969, n. 147; id., 24 giugno 1970, n. 133, in cui si afferma, in tema di rapporti patrimoniali, che l’uguaglianza dei coniugi garantisce l’unità familiare, mentre “è la disuguaglianza a metterla in pericolo”; id., 14 giugno 1974, n. 187; id., 18 dicembre 1979, n. 153; id., 4 aprile 1990, n. 215; id., 6 giugno 2006, N. 254; id., 23 marzo 2010, n. 138).

    In considerazione di quanto evidenziato, l’eccezione di illegittimità costituzionale in esame, sotto tutti i profili dedotti, appare manifestamente infondata, in quanto la determinazione dell’assegno di mantenimento sulla base del tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze e dei redditi dell’obbligato, costituisce l’espressione di quei valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, si trovano in rapporto di integrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamentali affermati dalla Costituzione (Corte cost., 7 ottobre 2014, n, 242; id., 9 maggio 2013, n. 85). Vale bene richiamare, in proposito, l’affermazione del Giudice delle leggi secondo cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. La censura è infondata, sotto tutti i profili dedotti Deve in primo luogo rilevarsi che la deduzione inerente all’omesso esame della questione inerente al decremento dei redditi dell’onerato non trova riscontro nella motivazione della decisione impugnata.

    La Corte di appello, infatti, dopo aver riportato (pag. 25) il motivo di gravame secondo cui il mutamento in peius della condizione reddituale e patrimoniale dell’appellante, dovuto alla crisi economica mondiale, avrebbe imposto una riduzione del contributo, anche al fine di evitare che egli fosse costretto a dismettere parte del suo patrimonio, ha calcolato in 53 milioni di Euro il reddito medio annuo del B., sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni dal 2006 al 2010, ed ha quindi espresso un giudizio di inattendibilità in merito tanto all’ultimo reddito dichiarato, nell’anno 2012, di Euro 4.515.298,00, quanto in ordine alla dedotta riduzione del valore del gruppo Fininvest.

    La violazione della norma sopra indicata – per non aver la sentenza impugnata tenuto conto del decremento – può ritenersi esclusa sulla base del rilievo di inattendibilità testè indicato, essendo evidente che il giudizio di inattendibilità in merito alla deduzione esimeva la valutazione delle giuridiche conseguenze della circostanza; mette conto di precisare, per altro, che non è sufficiente il verificarsi di una variazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi (sia in corso di causa – Cass., 22 ottobre 2002, n. 14886; Cass., 22 aprile 1999, n. 4011 – sia nei giudizi di revisione dell’assegno), essendo necessario procedere al rigoroso accertamento dell’incidenza della nuova situazione patrimoniale sul diritto al contributo o sulla sua entità (Cass., 20 giugno 2014, n. 14143; Cass., 15 settembre 2008, n. 236943; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 2 maggio 2007, n. 10133; Cass., 28 agosto 1999, n. 9056; Cass., 28 settembre 1998, n. 8654). Sotto tale profilo, come sopra evidenziato, la Corte territoriale ha posto in evidenza il rilevante divario fra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, ponendo in risalto, infine, l’ammissione dello stesso B. di essere “ultracapiente”.

     

     

    , non è necessaria una individuazione precisa degli elementi relativi alla situazione patrimoniale e reddituali dei coniugi, essendo sufficiente una loro ricostruzione attendibile.

     

     

    In proposito la Corte ha in più occasioni affermato che, benchè la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita e anche il diretto godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione del “quantum” dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974).

     

     

    L’infedeltà- così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione-

    L’infedeltà- così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione- viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143, secondo comma, cod. civ.): così da infirmare, alla radice, l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione. È quindi la premessa, secondo l’id quod plerunque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi (art. 151, primo comma, cod. civ.).
    Non per
    questo, tuttavia tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.

    L’evento dissolutivo può rivelarsi già “prima facie“- e cioè, sulla base della stessa prospettazione della parte- non riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla condotta antidoverosa di un coniuge: come ad esempio, nell’ipotesi di un isolato e remoto episodio d’infedeltà (ma anche di mancata assistenza, o allontanamento dalla casa coniugale), da ritenere presuntivamente superato, nel prosieguo, da un periodo di convivenza.
    Va da sé, infatti, che occorre l’elemento della prossimità (“post hoc, ergo propter hoc“): la presunzione opera quando la richiesta di separazione personale segua, senza cesura temporale, all’accertata violazione del dovere coniugale.
    Diversamente, nel caso- infrequente, ma non eccezionale- di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma (come nel regime- secondo la definizione invalsa nell’uso- dei “separati in casa“), si prospetta un fatto secondario, accidentale e atipico, che contrasta l’applicabilità della regola generale di causalità: onde, il relativo onere probatorioincumbit ei qui dicit.
    Spetterà quindi all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale: sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse. In una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto (Cass., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2059).
    Tale riparto dell’onere probatorio oltre a palesarsi rispettoso del canone legale (art. 2697 cod. civ.) è altresì aderente al principio empirico della vicinanza della prova; laddove, riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’altrui infedeltà si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione.

    Tanto premesso, la S.C. precisa che, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei medesimi coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, cosicché, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito (Cass. 28 settembre 2001, n. 12130; Cass. 18 settembre 2003, n. 13747);

    – Inoltre, l’abbandono della casa familiare non concreta la violazione di un obbligo matrimoniale quante volte sia stato causato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando risulti intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto, così da non spiegare rilievo causale ai fini della crisi matrimoniale.

     

     

     

     

     

     

    Con il secondo mezzo si deduce l’omesso esame, evidentemente ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, del peggioramento delle condizioni economiche e reddituali del ricorrente; sotto il medesimo profilo si denuncia la violazione dell’art. 156 c.c. , comma 2, , richiamandosi l’orientamento secondo cui nel corso del giudizio di separazione rilevano le evoluzioni della situazione reddituale dei coniugi, onde adeguare la pronuncia, eventualmente stabilendo una misura dell’assegno diversa per determinati periodi, ai presupposti inerenti alla determinazione della misura dell’assegno.

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FOTO MARCELLO MASTROISANNISUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI – 1 CIVILE

Sentenza 17 dicembre 2013 – 3 aprile 2014, n. 7886
(Presidente Macioce – Relatore Bisogni)

Osserva

1. Il Tribunale di Pesaro con sentenza n. 641 del 28 dicembre 2010 – successiva a quella non definitiva del 14 ottobre 2008, dichiarativa della separazione dei coniugi G. e F. – ha respinto le reciproche domande di addebito e posto a carico del G. un assegno mensile di 800 euro, compensando per metà le spese processuali e ponendo la quota residua a carico di G.G.

2. Ha proposto appello il G. affermando che il Tribunale aveva fornito una carente e contraddittoria motivazione, oltre che una errata valutazione delle prove raccolte, sui punti decisivi: a) della responsabilità della F. nella crisi coniugale, determinata dal suo disinteresse per il marito, dal suo continuo allontanamento dalla residenza familiare e dalla sua relazione extra-coniugale, b) della carenza dei presupposti per l’imposizione dell’assegno di mantenimento a carico del G.

3. La Corte di appello di Ancona ha respinto l’impugnazione.

4. Propone ricorso per cassazione G.G. affidandosi a quattro motivi di impugnazione.

5. Con il primo motivo di ricorso il Gai deduce vizi della motivazione consistiti nella superficiale o omessa valutazione del materiale probatorio da cui emergerebbe inequivocamente: a) il disinteresse della F. per il marito manifestatosi pienamente dal momento in cui le sue condizioni di salute si aggravarono, b) l’atteggiamento irridente per le sue difficoltà nell’intrattenere rapporti sessuali, c) l’inizio di una relazione con un altro uomo.

6. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta di non aver potuto rispondere al capitolo 11 dell’interrogatorio formale avente per oggetto la relazione extra-coniugale della F.

7. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza delle condizioni per l’imposizione di un assegno di mantenimento e rileva che più di un terzo della sua pensione è destinata a spese mediche e di assistenza privata, che la F. ha rinunciato a lavorare e non ha mai dimostrato di aver ricercato un lavoro, che la stessa non solo non deve fare fronte a canoni di locazione, in quanto convive con la sorella benestante, ma anzi percepisce un canone di locazione relativo alla villa di cui è comproprietaria ed è in possesso di titoli mobiliari.

8. Con il quarto motivo il ricorrente contesta la decisione di primo grado relativa alle spese processuali in quanto non ha tenuto conto della reciproca soccombenza.

9. Si difende con controricorso D.F.

Ritenuto che

avvocato fallimentarista10. Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.

11. Il primo motivo prospetta la ricostruzione della crisi coniugale secondo il punto di vista del ricorrente senza riportare oggettivamente l’esito della prove raccolte in istruttoria al fine di dimostrare in cosa sarebbe consistito il dedotto vizio motivazionale. Peraltro va anche rilevato che la Corte di appello ha compiuto una scrupolosa analisi del materiale probatorio per illustrare le ragioni che hanno giustificato la sua decisione di rigettare l’appello ritenendo non provata la violazione dei doveri coniugali lamentata dal G.

12. Il secondo motivo è palesemente infondato dato che correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto inammissibile il capitolo della prova per interpello vertente su fatti sfavorevoli alla posizione processuale non dell’interrogando ma della controparte.

13. Quanto al terzo motivo valgono le stesse considerazioni svolte per il primo motivo. Anche su questo punto della decisione la motivazione della Corte di appello appare congrua sia quanto all’analisi del materiale probatorio sia quanto alla illustrazione delle ragioni che hanno portato alla quantificazione dell’assegno nella misura sopra indicata con riferimento alla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del diritto al mantenimento e di liquidazione dell’assegno.

14. Infine il quarto motivo è anch’esso palesemente infondato perché la motivazione del giudice di primo grado è chiarissima nell’affermare che la condanna parziale alle spese emessa in primo grado si giustifica con il totale rigetto delle conclusioni dell’odierno ricorrente mentre la domanda di riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento proposta dalla F. è stata accolta dal Tribunale.

La Corte condivide pienamente tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso del Gai vada respinto con condanna al pagamento delle spese del presente giudizio.

Non sussistono i presupposti,ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo del contributo dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.200 euro di cui 200 per esborsi in favore della controricorrente. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

 

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In una diversa fase , nella quale l’espressione convivenza more uxorio andava

gradualmente sostituendo quella di concubinato, prevaleva una sorta di “agnosticismo”

dell’ordinamento nei confronti del fenomeno, derivante dalla mancata regolamentazione

 normativa di esso, e, con riferimento ai principii costituzionali, dall’art. 29 Cost., che

soltanto “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”,

disposizione ritenuta confermativa del disinteresse dell’ordinamento verso altri tipi di

organizzazione familiare.

In una fase successiva, che si può collocare temporalmente alle soglie e successivamente

alla riforma generale del diritto di famiglia, l’espressione “famiglia di fatto” comincia ad

essere sempre più frequentemente accolta. Essa non indica soltanto il convivere come

coniugi, ma individua una vera e propria “famiglia”, portatrice di valori di stretta

solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di

educazione e istruzione della prole. In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella

stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale

formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, ai sensi dell’art. 2 Cost. La

riforma del diritto di famiglia del 1975, pur non contenendo alcun riferimento esplicito alla

famiglia di fatto, viene ad accelerare tale evoluzione di idee:

nella rinnovata normativa emerge un diverso modello familiare, aperto e comunitario, una

sicura valutazione dell’elemento affettivo, rispetto ai vincoli formali e coercitivi,

l’eliminazione di gran parte delle discriminazioni della filiazione naturale rispetto a quella

legittima. E talora si ritiene attribuita rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, in presenza

di figli, con riferimento all’art. 317 bis c.c., ove si precisa che i genitori naturali, se

conviventi, esercitano congiuntamente la potestà.

 

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La massima

In caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’instaurazione di una famiglia di

fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuato da uno

degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello

di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, in

relazione ad essa, il presupposto per la riconoscibilità, a carico

dell’altro coniuge, di un assegno divorzile, il diritto al quale entra così

in uno stato di quiescenza, potendosene invero riproporre l’attualità

per l’ipotesi di rottura della nuova convivenza tra i familiari di fatto.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 11 agosto 2011, n. 17195

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato, F.F. chiedeva dichiararsi, nei confronti della moglie L.P.,

la cessazione degli effetti civili del matrimonio, con esclusione dell’assegno divorzile.

Costituitosi il contraddittorio, la L. dichiarava di non opporsi al divorzio, e chiedeva

assegno per sè.

Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva, dichiarava la cessazione degli effetti

civili del matrimonio. Con sentenza definitiva del 30 settembre – 6 ottobre 2005, rigettava

la domanda di assegno della L., stante la stabile convivenza more uxorio di questa con

altro uomo.

 Proponeva appello avverso tale sentenza la L., ribadendo la richiesta di assegno per sè.

Costituitosi il contraddittorio, il F. chiedeva rigettarsi l’appello.

La corte d’Appello di Roma, con sentenza 12 giugno – 20 giugno 2007, in parziale riforma

dell’impugnata sentenza, disponeva in favore della L. assegno mensile per l’importo di

Euro 250,00.

Ricorre per cassazione il F., sulla base di tre motivi.

Resiste, con controricorso, la L..

Il ricorrente ha presentato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,

nonchè vizio di motivazione in ordine alla stabile convivenza della L. con altro uomo, ciò

che dovrebbe escludere la corresponsione di assegno divorzile a carico dell’ex coniuge.

Per una migliore intelligenza della problematica sollevata, va considerato che una

convivenza stabile e duratura, con o senza figli, tra un uomo e una donna, che si

comportano come se fossero marito e moglie, è stata volta a volta definita con espressioni

diverse, quali concubinato, convivenza more uxorio, famiglia di fatto, la prima connotata

negativamente, la seconda di valore neutro e la terza positivamente connotata. Si può

addirittura ipotizzare una sorta di passaggio, almeno in parte anche in successione

temporale, dall’uso di un’espressione all’altra, che si accompagna ad un corrispondente

mutamento nel costume sociale.

La prima fase è anche l’unica che trova (o, meglio, trovava) un preciso riscontro

normativo: il concubinato (una sorta di adulterio continuato) costituiva reato, nonchè

causa di separazione per colpa.

La convivenza tra uomo e donna, come se fossero coniugi, rilevava soltanto come forma di

sanzione – e condizione necessaria era ovviamente che uno dei conviventi fosse sposato –

al fine di maggior difesa della famiglia legittima. La fase del concubinato volgeva al

termine, dopo una nota sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n 167/1969) che

cancellò tale ipotesi di reato.

In una diversa fase , nella quale l’espressione convivenza more uxorio andava

gradualmente sostituendo quella di concubinato, prevaleva una sorta di “agnosticismo”

dell’ordinamento nei confronti del fenomeno, derivante dalla mancata regolamentazione

 normativa di esso, e, con riferimento ai principii costituzionali, dall’art. 29 Cost., che

soltanto “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”,

disposizione ritenuta confermativa del disinteresse dell’ordinamento verso altri tipi di

organizzazione familiare.

In una fase successiva, che si può collocare temporalmente alle soglie e successivamente

alla riforma generale del diritto di famiglia, l’espressione “famiglia di fatto” comincia ad

essere sempre più frequentemente accolta. Essa non indica soltanto il convivere come

coniugi, ma individua una vera e propria “famiglia”, portatrice di valori di stretta

solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di

educazione e istruzione della prole. In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella

stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale

formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, ai sensi dell’art. 2 Cost. La

riforma del diritto di famiglia del 1975, pur non contenendo alcun riferimento esplicito alla

famiglia di fatto, viene ad accelerare tale evoluzione di idee:

nella rinnovata normativa emerge un diverso modello familiare, aperto e comunitario, una

sicura valutazione dell’elemento affettivo, rispetto ai vincoli formali e coercitivi,

l’eliminazione di gran parte delle discriminazioni della filiazione naturale rispetto a quella

legittima. E talora si ritiene attribuita rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, in presenza

di figli, con riferimento all’art. 317 bis c.c., ove si precisa che i genitori naturali, se

conviventi, esercitano congiuntamente la potestà.

Nella specie, la Corte d’Appello accerta l’instaurazione di un rapporto stabile di convivenza

della L. con altro uomo: questi ha dato un apporto notevole al menage familiare,

mettendo a disposizione per la convivenza un’abitazione di (OMISSIS), proprietà di una

s.r.l. di cui egli detiene il 99% delle quote, la coppia ha avuto due figli, in un breve lasso di

tempo (2001 – 2003); durante la convivenza matrimoniale non erano nati figli.

Presume la Corte di merito che gli impegni connessi alla maternità ed alìaccudimento dei

bambini, ancora in tenera età, abbiano impedito “il collocamento nel mondo del lavoro

della L.”;

Ritiene peraltro che, benchè la volontarietà di alcune scelte di vita della L. (l’instaurazione

della convivenza, la nascita dei figli, etc.), non possa farsi ricadere sul coniuge, tuttavia la

sperequazione dei mezzi di questa di fronte alle disponibilità economiche del F. – che già

caratterizzavano il tenore di vita durante la convivenza matrimoniale – giustifichi la

corresponsione di un assegno divorzile a carico dell’ex coniuge. l’argomentazione del

Giudice a quo è palesemente erronea.

 E’ vero che giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le altre, da ultimo, Cass. n

23968/2010) afferma che la mera convivenza del coniuge con altra persona non incide di

per sè direttamente sull’assegno di mantenimento. E tuttavia, ove tale convivenza assuma

i connotati di stabilità e continuità, e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di

vita in comune (analogo a quello che; di regola caratterizza la famiglia fondata sul

matrimonio: come già si diceva, arricchimento e potenziamento reciproco della personalità

dei conviventi, e trasmissione di valori educativi ai figli (non si deve dimenticare che

obblighi e diritti dei genitori nei confronti dei figli sono assolutamente identici, ai sensi

dell’art. 30 Cost. e art. 261 c.c., in ambito matrimoniale e fuori dal matrimonio), la mera

convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto (al riguardo, Cass., n.

4761/1993).

A quel punto il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto

durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner non può che venir meno di fronte:

all’esistenza di una famiglia, ancorchè di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il

tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e,

con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla

conservazione di esso (v. s.u. 2 punto Cass. 2003 n. 11975).

E’ evidente peraltro che non vi è nè identità, nè analogia tra il nuovo matrimonio del

coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all’assegno, e la

fattispecie in esame, che necessita di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale.

Come talora questa Corte ha precisato (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 3503/1998), si

tratta, in sostanza, di quiescenza del diritto all’assegno, che potrebbe riproporsi, in caso di

rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com’è noto effettuabile ad nutum, ed in

assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento, che non prevede

garanzia alcuna per l’ex familiare di fatto (salvo eventuali accordi economici stipulati tra i

conviventi stessi).

Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, assorbente rispetto agli altri, attinenti alla

quantificazione dell’assegno e al regime delle spese processuali cassata la sentenza

impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che

esaminerà il merito della causa, attenendosi ai principii suindicati e pure si pronuncerà

sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri;

 

 

 

cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa

composizione, che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio di

legittimità.

– Assegno di mantenimento – Figlio maggiorenne convivente con il coniuge separato – Spettanza – Fino al conseguimento dello status di autosufficienza economica – Sussiste (Cc, articolo 155)

Il fondamento del diritto del coniuge separato a percepire l’assegno di cui all’articolo 155 del Cc, risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza con il figlio maggiorenne (che lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere di assicurare un’istruzione e una formazione professionale rapportate alle capacità della prole (oltreché alle condizioni economiche e sociali dei genitori), onde consentire alla stessa di acquisire una propria indipendenza economica. Tale dovere cessa all’atto del conseguimento, da parte del figlio, di uno status di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, quale che sia, in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato, restando attribuita al giudice di merito ogni valutazione in ordine all’eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di escludere la cessazione dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore non affidatario.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 21 gennaio 2011 n. 1476 – Pres. Luccioli; Rel. Mercolino; Pm (conf.) Russo

– Assegno di mantenimento – Presupposti – Accertamento del tenore di vita matrimoniale – Contenuto (Cc, articolo 156)

L’articolo 156 del Cc attribuisce al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione il diritto di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento, non già soltanto se egli sia assolutamente indigente, bensì tutte le volte in cui non sia in grado di mantenere, durante la separazione, con le proprie potenzialità economiche, il tenore di vita che aveva in costanza di convivenza matrimoniale, sempre che questo corrispondesse alle potenzialità economiche complessive dei coniugi e vi sia tra loro una differente redditualità che giustifichi l’assegno con funzione riequilibratrice. Pertanto, il giudice, al fine di stabilire se l’assegno sia dovuto, deve prioritariamente valutare il suddetto tenore di vita e, quindi, stabilire se il coniuge richiedente  sia in grado di mantenerlo in regime di separazione con i mezzi propri, essendo la mancanza di tali mezzi condizione necessaria per averne diritto. Il tenore di vita matrimoniale deve essere accertato, in via presuntiva, sulla base dei redditi complessivamente goduti dai coniugi durante la convivenza matrimoniale, con particolare riferimento al momento della sua cessazione, tenendosi conto non solo dei redditi di lavoro di ciascun coniuge, ma anche dei redditi di ogni altro tipo, nonché delle utilità derivanti dai beni immobili di loro proprietà, ancorchè improduttivi di reddito.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 4 febbraio 2009 n. 2707 – Pres. Luccioli; Rel. Salvago; Pm (conf.) Martone

– Assegno di mantenimento – Spettanza – Inattività lavorativa del richiedente – Rilevanza – Limiti (Cc, articoli 147,155 e 156)

In tema di separazione personale dei coniugi, presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento sono la non addebitabilità della separazione e la mancanza di redditi idonei a conservare il precedente tenore di vita, sussistendo disparità economica tra le parti, mentre l’inattività lavorativa del richiedente l’assegno costituisce circostanza estintiva dell’obbligo di corresponsione a carico dell’altro coniuge, solo se conseguente al rifiuto accertato di opportunità di lavoro, non meramente ipotetiche, ma effettive e concrete.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 21 novembre 2008 n. 27775 – Pres. Morelli; Rel. Salmè; Pm (diff.) Schiavon

– Assegno per i figli maggiorenni – Cessazione – Inizio di attività lavorativa retribuita – Condizioni (Cc, articolo 155)

In regime di separazione o di divorzio fra i genitori, l’obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l’indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggano volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata. Una volta che sia provato l’inizio di un’attività lavorativa retribuita, costituisce valutazione di merito, incensurabile in cassazione se motivata, quella circa l’esiguità, in relazione alle circostanze del caso, del reddito realizzato al fine di escludere o diminuire l’assegno.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 27 giugno 2011 n. 14123 – Pres. Luccioli; Rel. Campanile; Pm (conf.) Zeno; Ric. Rubbiani; Controric. Volpe

– Assegno per il figlio minore – Buone risorse economiche dell’obbligato – Rilevanza (Cc, articolo 155)

Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore del figlio minore, le buone risorse economiche dell’obbligato hanno rilievo non soltanto nel rapporto proporzionale con il contributo dovuto dall’altro genitore, ma anche in funzione diretta di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio, posto che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni di questo e in genere le sue prospettive di vita, non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 21 giugno 2011 n. 13630 – Pres. Luccioli; Rel. Campanile; Pm (conf.) Zeno; Ric. Palumbo; Controric. Marini

– Casa coniugale o familiare – Assegnazione solo in presenza di affidamento di figli minori o maggiorenni non autosufficienti – Sussiste (Cc, articolo 155 e 1102)

In materia di separazione o divorzio l’assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole, rispondendo all’esigenza di garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Resta, quindi, imprescindibile il requisito dell’affidamento dei figli minori (o della convivenza con i figli maggiorenni non autosufficienti); pertanto, se è vero che la concessione del beneficio presenta indubbi riflessi economici, nondimeno l’assegnazione della casa familiare non può essere disposta al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alla cui garanzia è unicamente destinato l’assegno di mantenimento. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, perché i figli si sono già allontanati dal luogo in cui si svolgeva l’esistenza della famiglia, viene meno la ragione dell’applicazione dell’istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell’immobile in questione. Va fatta salva l’ipotesi di accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso; rimanendo regolati, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi dalle norme sulla comunione e in particolare dall’articolo 1102 del Codice civile.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 17 luglio 2009 n. 16802 – Pres. Luccioli; Rel. Bernabai; Pm (conf.) Pratis

– Casa coniugale o familiare – In locazione – Provvedimento del giudice – Effetti sul rapporto contrattuale (Legge 392/1978, articolo 6)

Il provvedimento del giudice della separazione, oltre a determinare una cessazione ex lege del contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario, comporta anche l’estinzione del rapporto in capo al coniuge originario conduttore, rapporto che non è più suscettibile di reviviscenza. Peraltro, nel momento in cui si realizza la successione del coniuge assegnatario al coniuge originario conduttore, si verifica, altresì, in senso del tutto figurativo e virtuale, una sorta di riconsegna dell’immobile al locatore da parte del vecchio conduttore, con contestuale consegna, sempre in senso figurativo, della cosa locata al nuovo conduttore.

Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 30 aprile 2009 n. 10104 – Pres. Di Nanni; Rel. Massera; Pm (conf.) Marinelli

– Condizioni per il diritto al mantenimento – Valutazione da parte del giudice di elementi diversi dal reddito dell’onerato – Sussiste (Cc, articolo 156)

Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri e cioè di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. A tal fine il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente. Ai fini della determinazione del quantum dello stesso, si deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico e, comunque, apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 24 luglio 2007 n. 16334 – Pres. Criscuolo; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Caliendo; Ric. Di Laudo, Controric. Di Carlo

– Mantenimento dei figli – Applicabilità dei principi di cui all’articolo 147 del Cc – Sussiste – Determinazione del concorso negli oneri finanziari – Criteri (Cc, articoli 147 e 148)

In seguito alla separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto a un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia e analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’articolo 147 del Cc che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, culturale, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, all’opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione; mentre il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’articolo 148 del Cc, non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, ciò che implica una valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 19 maggio 2009 n. 11538 – Pres. Vitrone; Rel. Giancola; Pm (conf.) Pratis

– Modifica delle condizioni di separazione – Presupposti – Venir meno di un introito per l’obbligato – Sufficienza – Esclusione (Cc, articolo 156)

L’articolo 156, ultimo comma, del Cc, dispone che per aversi modificazione delle condizioni di separazione occorre la sopravvenienza di giustificati motivi, quali sono i mutamenti delle condizioni economiche delle parti, in guisa tale che sia mutato il complessivo equilibrio fissato in sede di separazione, non bastando a tal fine il venir meno di un determinato introito di cui fruiva l’obbligato, ovvero l’alienazione da parte sua di un bene, dovendo l’obbligato, per poter chiedere e ottenere la modifica dell’assegno stabilito in sede di separazione, dare prova del mutamento, in conseguenza di tali fatti, di detto equilibrio.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 maggio 2008 n. 11487 – Pres. Vitrone; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Velardi

– Morte di uno dei coniugi in pendenza del giudizio di separazione – Effetti – Rilevanza sulle domande accessorie di rivendica – Esclusione (Cc, articoli 581 e 948)

La morte di uno dei coniugi, sopravvenuta in pendenza del giudizio di separazione personale, comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere, anche con riferimento alle istanze accessorie circa la regolamentazione dei rapporti patrimoniali attinenti alla cessazione della convivenza, mentre restano salve le domande autonome che, proposte nello stesso giudizio, riguardano diritti e rapporti patrimoniali indipendenti dalla modificazione soggettiva dello status, già acquisiti al patrimonio dei coniugi e nei quali subentrano gli eredi, con la conseguenza che rispetto a tali domande il processo può proseguire a istanza o nei confronti di costoro.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 20 novembre 2008 n. 27556 – Pres. Luccioli; Rel. Panzani; Pm (conf.) Ciccolo

– Provvedimenti presidenziali in relazione ai figli – Efficaci anche se sopraggiunge in sede ecclesiastica una sentenza di nullità del matrimonio – Sussiste (Cpc, articolo 708)

I provvedimenti relativi ai figli, emessi in sede presidenziale, conservano efficacia fino al provvedimento che li sostituisca, anche quando una sentenza di nullità matrimoniale, pronunciata in sede ecclesiastica, faccia venir meno la materia del contendere sulla domanda principale di separazione.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 maggio 2008 n. 11489 – Pres. Luccioli; Rel. Giusti; Pm (conf.) Schiavon

– Richiesta di addebito – Domanda autonoma – Impugnazione sul capo specifico  – Effetti (Legge 898/1970, articoli 3 e 4)

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell’ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma, presupponendo l’iniziativa di parte, soggiacendo alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, avendo una causa petendi e un petitum distinti da quelli della domanda di separazione. Cosicchè, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell’articolo 329, comma 2, del Cpc, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione e al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l’azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 aprile 2011 n. 8050 – Pres. Carnevale; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Russo

– Assegno di divorzio – Accertamento dei redditi dei coniugi – Valutazione dell’assetto economico stabilito in separazione – Ammissibilità (Legge 898/1970, articolo 5)

Ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio a favore dell’ex coniuge, che è il risultato di un apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione, ove immune da vizi di motivazione, i redditi dei coniugi non devono essere accertati nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle rispettive posizioni patrimoniali complessive, dal rapporto delle quali risulti l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. La congruità dell’assegno deve essere valutata alla luce dell’articolo 5 della legge 898/1970, tuttavia anche l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 aprile 2011 n. 8051 – Pres. Carnevale; Rel. Giancola; Pm (conf.) Russo

– Assegno di divorzio – Accertamento dei redditi dei coniugi – Valutazione dei beni immobili a disposizione – Sussiste (Legge 898/1970, articolo 5)

Sia al fine dell’individuazione del tenore di vita dei coniugi durante la convivenza coniugale, sia al fine dell’individuazione della capacità del coniuge richiedente l’assegno a mantenere con i propri mezzi il suddetto tenore di vita, sia allo scopo di stabilire le capacità economiche del coniuge nei cui confronti l’assegno sia richiesto, si deve tener conto anche dei beni immobili a sua disposizione, sotto il profilo della loro diretta utilizzabilità per la soddisfazione delle proprie esigenze, ovvero della loro redditualità in atto o potenziale, se ovviamente sussistenti, così come si deve tener conto delle spese necessariamente correlate alla loro proprietà.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 aprile 2011 n. 8051 – Pres. Carnevale; Rel. Giancola; Pm (conf.) Russo

– Assegno di divorzio – Revisione – Presupposti (Legge 898/1970, articolo 9)

Ai fini della revisione dell’assegno di divorzio è necessaria la duplice condizione della sussistenza di una modificazione delle condizioni economiche degli ex coniugi e dell’idoneità di tale modificazione a immutare il pregresso assetto realizzato dal precedente provvedimento sull’assegno. Tale procedimento non consente alcuna rivalutazione degli elementi che sono stati tenuti presenti all’atto della determinazione originaria dell’assegno, che si assume non più adeguato, essendo rivolto non a rideterminarne la misura attraverso un rinnovato accertamento del diritto del coniuge beneficiario alla luce di tutti i temperamenti, che debbono essere tenuti presenti ai fini del calcolo concreto dell’importo dell’assegno da porsi a carico dell’altro coniuge, ma unicamente a valutare se siano sopraggiunte circostanze di tale portata da rendere giustificato l’adeguamento dell’assegno, in aumento o in diminuzione, ovvero la sua radicale abolizione, o per converso la sua attribuzione.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 10 gennaio 2011 n. 366 – Pres. Luccioli; Rel. Salvago; Pm (conf.) Pratis

– Assegno di divorzio – Uso di una casa di abitazione – Rilevanza ai fini della consistenza patrimoniale dei coniugi – Sussiste (Legge 898/1970, articolo 5)

Ai fini della determinazione dell’assegno divorzile occorre tener conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascun coniuge e nel concetto di reddito debbono essere ricompresi non solo i redditi in denaro, ma anche le utilità suscettibili di valutazione economica, per cui anche l’uso di una casa di abitazione costituisce utilità valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere di quell’immobile a titolo di locazione. Sicchè tale principio deve trovare applicazione sia nell’ipotesi che l’immobile, di proprietà o comunque nella disponibilità del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno, venga assegnato al coniuge affidatario dei figli minori, sia nell’ipotesi in cui il godimento dell’immobile venga riconosciuto al coniuge titolare di un diritto reale od obbligatorio: posto che in entrambi i casi l’utilizzazione della casa costituisce una utilità valutabile sul piano economico, che si aggiunge al reddito goduto, alterando l’equilibrio delle posizioni patrimoniali dei coniugi quali risultavano in base alla considerazione esclusiva dei redditi di ciascuno di essi.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 28 dicembre 2010 n. 26197 – Pres. Luccioli; Rel. Salvago; Pm (diff.) Pratis

– Assegno di divorzio – Accertamento – Tenore di vita goduto in costanza di matrimonio – Determinazione (Legge 898/1970, articolo 5)

In tema di scioglimento del matrimonio, nella disciplina dettata dall’articolo 5 della legge 898/1970, come modificato dalla legge 74/1987, che subordina l’attribuzione di un assegno di divorzio alla mancanza di “mezzi adeguati”, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale. A tal fine il tenore di vita può desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare dei loro redditi e disponibilità patrimoniali. Il giudice può desumere il tenore di vita dalla documentazione relativa ai redditi dei coniugi al momento della pronuncia di divorzio, costituendo essi, insieme alle disponibilità patrimoniali dei coniugi, valido parametro per la determinazione di detto tenore di vita e della possibilità di mantenerlo. L’assegno va poi quantificato nella misura necessaria, in relazione alla situazione economica di ciascuna parte, a rendere tendenzialmente possibile il mantenimento di detto tenore.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 4 novembre 2010 n. 22501 – Pres. Luccioli; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Zeno

–  Assegno di divorzio – Modifica – Impugnabilità del decreto della Corte d’appello emesso in sede di reclamo – Ricorso ex articolo 111 della Costituzione – Ammissibilità – Limiti (Legge 898/1970, articolo 9)

Il decreto della Corte d’appello, emesso in sede di reclamo, contro il decreto del tribunale che modifica le statuizioni di ordine patrimoniale contenute nella sentenza di divorzio, ha valore decisorio ed è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 della Costituzione; tale ricorso è però limitato, nella disciplina previgente al Dlgs 40/2006, alla denuncia di eventuali violazioni di legge, cui è riconducibile anche l’inosservanza dell’obbligo di motivazione, la quale si configura solo allorchè quest’ultima sia materialmente omessa, ovvero si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi del provvedimento impugnato o fra loro logicamente  inconciliabili od obiettivamente incomprensibili, restando esclusa la legittimità di una verifica della sufficienza della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 28 maggio 2009 n. 12500 – Pres. Luccioli; Rel. Giancola; Pm (conf.) Sorrentino

– Assegno di divorzio – Decorrenza – Dalla data della domanda di divorzio – Ammissibilità (Legge 898/1970, articoli 4, 5 e 9; Cc, articolo 2729)

L’assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passato in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio ha introdotto un temperamento l’articolo 4, comma 10, della legge 898/1970, così come sostituito dall’articolo 8 della legge 74/1987, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, e anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio, ma in siffatta ipotesi, il giudice è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 27 maggio 2009 n. 12419 – Pres. Vitrone; Rel. Giancola; Pm (diff.) Pratis

– Assegno di divorzio – Spettanza – Nascita di un figlio da parte dell’ex coniuge beneficiario – Presunzione di convivenza more uxorio con altro soggetto – Esclusione (Cc, articolo 156)

L’eventuale nascita di un figlio non costituisce elemento di prova di per sé sufficiente e idoneo a dimostrare l’esistenza di una situazione di convivenza more uxorio tra i genitori, avente nel tempo caratteri di stabilità e continuità tali da far presumere che il beneficiario dell’assegno tragga da tale convivenza vantaggi economici che giustifichino la revisione dell’assegno medesimo. Inoltre la convivenza more uxorio con altra persona può influire sulla misura dell’assegno di divorzio solo qualora si dia la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che essa, pur non assistita da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto consolidata e protraentesi nel tempo, influisca in melius sulle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di apprezzabili risparmi di spese derivatigli dalla convivenza stessa.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 4 febbraio 2009 n. 2709 – Pres. Luccioli; Rel. Schirò; Pm (conf.) Martone

– Assegno di divorzio – Decorrenza – Dalla data della domanda – Presupposti (Legge 898/1970, articolo 4)

Il giudice di merito, anche in assenza di specifica domanda di parte, ricorrendone le condizioni, può far decorrere l’assegno divorzile dalla data della domanda, anziché da quella del passaggio in giudicato della sentenza, sia nell’ipotesi in cui pronunci divorzio con sentenza non definitiva, sia in quella in cui contestualmente pronunci la cessazione degli effetti civili del matrimonio e condanni un coniuge a corrispondere all’altro l’assegno divorzile. Il principio enunciato dall’articolo 4 della legge 898/1970, nel testo emendato per opera dell’articolo 8 della legge 74/1987, ha infatti portata generale e non costituisce deroga al principio secondo il quale l’assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della relativa statuizione, bensì rappresenta un temperamento a tale principio, con il conferire al giudice il potere discrezionale, in relazione alle circostanze del caso concreto, di disporre la decorrenza di esso dalla data della domanda, senza che a tal fine la pronuncia di sentenza non definitiva costituisca un necessario requisito per l’esercizio di detto potere.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 8 gennaio 2009 n. 133 – Pres. Luccioli; Rel. Bernabai; Pm (conf.) Ciccolo

– Assegno di divorzio – Rilevanza degli accordi assunti in sede di separazione tra le parti – Esclusione – Mancata liquidazione in sede di separazione dell’assegno di mantenimento – Effetti – Non rilevanza (Legge 898/1970, articolo 5; Cc, articolo 2697)

La determinazione dell’assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti o in forza di decisione giudiziale, nel regime di separazione dei coniugi, in quanto diverse sono le rispettive discipline sostanziali così come diversi sono la natura, la struttura e la finalità dei relativi trattamenti. L’assegno di divorzio, quale effetto diretto della pronuncia di divorzio, deve essere, infatti, determinato sulla base di criteri propri e autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato. Con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può costituire soltanto un indice di riferimento nella regolazione del regime patrimoniale del divorzio, nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili per la valutazione delle condizioni dei coniugi e dell’entità dei loro redditi, mentre la mancata richiesta o la mancata liquidazione, in sede di separazione, dell’assegno di mantenimento, non costituisce circostanza decisiva o preclusiva della liquidazione dell’assegno di divorzio, ove il richiedente dimostri l’insufficienza delle proprie disponibilità a conservare il tenore di vita di cui aveva diritto di godere durante il matrimonio.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 28 giugno 2007 n. 14921 – Pres. Luccioli; Rel. Felicetti; Pm (diff.) Caliendo

– Assegno di mantenimento – Spettanza fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio – Domanda di adeguamento – Ammissibilità (Legge 898/1970, articoli 4, 5 e 9)

Proprio perché l’assegno di mantenimento in favore di uno dei coniugi in regime di separazione è dovuto fino al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia il divorzio, deve sempre ritenersi ammissibile la domanda di adeguamento dell’assegno di separazione nel corso del giudizio di divorzio, anche se il coniuge che richiede tale adeguamento non si opponga alla pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e richieda, contestualmente, la corresponsione dell’assegno di divorzio ai sensi dell’articolo 5 della legge 898/1970 e sempre che non si richieda, per lo stesso periodo, la concessione di entrambi gli assegni.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 22 luglio 2011 n. 16127 – Pres. Luccioli; Rel. Didone; Pm (conf.) Lettieri

– Assegno di mantenimento – Richiesta di sua modifica – Introduzione della domanda di divorzio – Cessazione della controversia sulle richieste di modifica – Esclusione (Legge 898/1970, articolo 4; Cc, articoli 155 e 156)

Solo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio fa venir meno il vincolo matrimoniale e lo stato di separati, che costituisce il presupposto dell’obbligo di mantenimento della moglie, il quale contestualmente cessa ed è eventualmente sostituito da quello di corrispondere l’assegno divorzile, permanendo ovviamente gli obblighi genitoriali, come stabiliti o concordati nella separazione o come regolamentati diversamente in sede di divorzio. Pertanto, la sentenza di divorzio non necessariamente comporta la cessazione della materia del contendere nella controversia sulle richieste di modifiche delle condizioni accessorie alla separazione, qualora permanga un interesse delle parti alla definizione di tale ultimo giudizio.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 10 dicembre 2008 n. 28990 – Pres. Carnevale; Rel. Forte; Pm (conf.) Pratis

 Domanda di assegno divorzile – Autonomo svolgimento – Effetti – Morte del coniuge – Diritto dell’altro all’accertamento della misura dell’assegno – Sussiste (Legge 898/1970, articoli 5 e 9)

La domanda di assegno, rappresentando solo un eventuale corollario di quella di divorzio, ove sia introdotta nello stesso processo, pur dipendendo dalla medesima in quanto ne presuppone l’accoglimento, può avere un suo autonomo svolgimento contenzioso e può formare oggetto esclusivo della materia del contendere quando non si discuta più del divorzio, ma solo dell’an o del quantum della relativa obbligazione. Ne consegue che la morte del coniuge, che sopravvenga quando già si era verificata la dissoluzione del vincolo, per essersi formato il giudicato sul relativo capo, non elide il diritto del coniuge all’accertamento determinativo della misura dell’assegno, di cui si stia ancora discutendo in causa, per il periodo dal passaggio in giudicato del capo della sentenza sul divorzio alla data della morte del coniuge obbligato e, pertanto, non determina la cessazione della materia del contendere.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 11 aprile 2011 n. 8228 – Pres. Carnevale; Rel. Fioretti; Pm (conf.) Russo

– Procedimento – Costituzione in giudizio del convenuto fuori del termine fissato nell’ordinanza presidenziale – Effetti (Cpc, articoli 163-bis, 166, 167 e 180)

Non incorre in decadenza il convenuto che, nel giudizio di divorzio, si costituisce entro un termine inferiore a quello di 20 giorni precedenti l’udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore se l’intervallo temporale tra la data di deposito dell’ordinanza presidenziale di fissazione di questa udienza e la data dell’udienza stessa sia inferiore al suddetto termine dilatorio. In quanto unica parte pregiudicata da quella violazione, il solo convenuto è legittimato a dolersene ovvero a rinunciare al termine se ritiene di essere comunque in grado di spiegare adeguatamente le proprie ragioni di difesa.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 17 febbraio 2011 n. 3905 – Pres. Luccioli; Rel. Cultrera; Pm (conf.) Patrone

– Procedimento – Contestazione del reddito documentato dalla controparte – Obbligo automatico per il giudice di disporre indagini tributarie – Esclusione (Legge 898/1970, articolo 8; Cpc, articolo 187)

In tema di divorzio, l’articolo 8, comma 9, della legge 898/1970 non impone al giudice in via diretta e automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso giudice la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall’articolo 187 del Cpc, che affida al giudice la facoltà di ammettere mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d’ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 20 giugno 2008 n. 16972 – Pres. Adamo; Rel. Giusti; Pm (conf.) Ciccolo

– Quota della pensione di reversibilità – Accertamento del diritto – Presupposti – Assegno di divorzio – Equipollenza ai provvedimenti temporanei in funzione anticipatoria – Esclusione (Legge 898/1970, articoli 5 e 9; legge 263/2005, articolo 5)

Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o a una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, di cui all’articolo 9 della legge 898/1970, presuppone che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell’articolo 5 della legge predetta. Non è quindi sufficiente che l’ex coniuge versi nelle condizioni per ottenere l’assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un qualsivoglia assegno di mantenimento, ma occorre che l’assegno sia stato attribuito con provvedimenti giurisdizionali che abbiano attitudine ad attribuire un “assegno di divorzio”, qualificabile come tale per gli effetti che ne conseguono in relazione all’articolo 9, commi 2 e 3, della legge 898/1970. Nel novero dei provvedimenti giurisdizionali che hanno attitudine ad attribuire un assegno di divorzio non rientrano i provvedimenti temporanei e urgenti previsti dall’articolo 4, n. 8, della legge sul divorzio, diretti ad apprestare un regolamento essenziale e immediato al coniuge nella prospettiva del divorzio, con funzione anticipatoria rispetto alle statuizioni della sentenza di divorzio, la quale soltanto, ai sensi dell’articolo 4, comma 10, della legge sul divorzio, in tale giudizio ha efficacia costitutiva rispetto all’assegno che uno degli ex coniugi debba all’altro per le esigenze proprie di quest’ultimo.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 9 giugno 2010 n. 13899 – Pres. Luccioli; Rel. Giancola; Pm (diff.) Abbritti

– Adozione – Di minori – Consenso ex articolo 46 legge 184/1983 del genitore mai convivente con il minore – Necessità – Articolo 4 legge 54/2006 – Principio della bigenitorialità – Rilevanza sul contenuto precettivo dell’articolo 317-bis Cod. civ. – Configurabilità (Legge 184/1983, articoli 44 e 46)

In tema di adozione in casi particolari, ha efficacia preclusiva, ai sensi dell’articolo 46 della legge 4 maggio 1983 n. 184, il dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente all’adozione del figlio minore a norma dell’articolo 44, comma 1, lettera b), della legge richiamata, dovendo egli ritenersi comunque “esercente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore; invero, la legge 8 febbraio 2006 n. 54 sull’esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’articolo 317-bis del Codice civile. Il principio della bigenitorialità, infatti, ha informato di sé il contenuto precettivo della norma citata, eliminando ogni difformità di disciplina tra figli legittimi e naturali, cosicchè la cessazione della convivenza tra genitori naturali non conduce più alla cessazione dell’esercizio della potestà.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 10 maggio 2011 n. 10265 – Pres. Luccioli; Re. Campanile; Pm (conf.) Zeno

– Affidamento congiunto dei figli – Ammissibilità – Effetti – Mantenimento – Obbligo di corresponsione di un assegno da parte di uno dei genitori – Persistenza – Contribuzione paritaria dei genitori al mantenimento – Conseguenza automatica dell’affidamento congiunto – Configurabilità – Esclusione (Legge 898/1970, articolo 6; legge 74/1987, articolo 11; Cc, articolo 155)

L’affidamento congiunto dei figli a entrambi i genitori – previsto dall’articolo 6 della legge sul divorzio (1° dicembre 1970 n. 898), come sostituito dall’articolo 11 della legge 6 marzo 1987 n. 74, analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi – è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venire meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza “automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze (nell’enunciare il principio in massima, la Suprema corte ha rilevato come esso trovi conferma nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006 n. 54, in tema di affidamento condiviso, peraltro successiva alla sentenza impugnata).

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 18 agosto 2006 n. 18187 – Pres. Luccioli; Rel. Spagna Musso; Pm (parz. Diff.) Golia 

– Diritto di affidamento e diritto di visita – Tutela differenziata – Diritto di visita del genitore non affidatario – Violazione – Trasferimento della residenza del minore – Illiceità – Esclusione – Ritorno immediato del minore nello Stato di sua residenza abituale – Obbligatorietà – Esclusione – Garanzia dell’esercizio del diritto di visita – Modalità e limiti – Nuova disciplina codicistica ex articolo 155-quater Cod. civ., introdotto dall’art. 1, comma 2, della legge n. 54 del 2006 (Cc, articolo 155-quater; legge 54/2006, articolo 1)

La convenzione de L’Aja 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 64/1994, distingue nettamente il diritto di affidamento dal diritto di visita e prevede per le due situazioni una tutela differenziata, sancendo l’immediato ritorno del minore nello Stato di residenza abituale esclusivamente per l’ipotesi di illecito trasferimento o trattenimento, che ricorre solo in caso di violazione del diritto di affidamento o custodia, mentre, allorchè il genitore affidatario scelga una diversa residenza, la caratterizzazione del trasferimento come lecito impedisce all’altro genitore di chiedere il ritorno immediato del minore, potendo, invece, costui solo sollecitare l’Autorità centrale, ai sensi dell’articolo 21 della Convenzione, a compiere tutti i passi necessari per rimuovere, per quanto possibile, ogni ostacolo all’esercizio del suo diritto, ovvero rivolgersi al giudice della separazione, o del divorzio, per ottenere una rivalutazione delle condizioni dell’affidamento alla stregua della nuova circostanza del trasferimento della residenza del minore. La relativa procedura tra l’altro, ha trovato di recente formalizzazione anche nel Codice civile, attraverso l’introduzione, per opera dell’articolo 1, comma 2, della legge 8 febbraio 2006 n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), dell’articolo 155-quater che, al comma 2, dispone che “nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici”.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 5 maggio 2006 n. 10374 – Pres. Luccioli; Rel. San Giorgio; Pm (conf.) Maccarone

– Casa coniugale – Assegnazione – Trascrizione del provvedimento – Rilevanza per i terzi del contenuto della nota di trascrizione – Sussiste (Cpc, articolo 708; Legge 898/1970, articolo 6)

Per stabilire se e in quali limiti un determinato atto o una domanda giudiziale trascritta sia opponibile ai terzi, si deve avere riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, in quanto le indicazioni riportate nella nota stessa consentono di individuare senza possibilità di equivoci e incertezze gli elementi essenziali del negozio e i beni ai quali esso si riferisce, o il soggetto contro il quale la domanda sia rivolta, senza potersi attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota stessa. È, pertanto, del tutto irrilevante, ai fini dell’opponibilità all’acquirente dell’immobile del provvedimento presidenziale di assegnazione della casa coniugale, la circostanza che il titolo di acquisto dell’acquirente contenesse l’indicazione specifica dell’esistenza del diritto di assegnazione della moglie e della sua fonte.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 18 settembre 2009  n. 20144 – Pres. Luccioli; Rel. Schirò; Pm (conf.) Ceniccola 

– Casa coniugale o familiare – Assegnazione solo in presenza di affidamento di figli minori o maggiorenni non autosufficienti – Sussiste (Cc, articoli 155 e 1102)

In materia di separazione o divorzio l’assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole, rispondendo all’esigenza di garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Resta, quindi, imprescindibile il requisito dell’affidamento dei figli minori (o della convivenza con i figli maggiorenni non autosufficienti); pertanto, se è vero che la concessione del beneficio presenta indubbi riflessi economici, nondimeno l’assegnazione della casa familiare non può essere disposta al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alla cui garanzia è unicamente destinato l’assegno di mantenimento. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, perché i figli si sono già allontanati dal luogo in cui si svolgeva l’esistenza della famiglia, viene meno la ragione dell’applicazione dell’istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell’immobile in questione. Va fatta salva l’ipotesi di accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso; rimanendo regolati, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi dalle norme sulla comunione e in particolare dall’articolo 1102 del Codice civile.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 17 luglio 2009 n. 16802 – Pres. Luccioli; Rel. Bernabai; Pm (conf.) Pratis

– Convivenza more uxorio – Valutazione ai fini dell’assegno di divorzio – Limiti (Legge 898/1970, articolo 5; Cc, articolo 2697)

La convivenza more uxorio, pur con carattere di stabilità, non dà luogo a un obbligo di mantenimento reciproco fra i conviventi e può anche essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, cosicchè l’incidenza economica di detta convivenza deve essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano. I relativi, eventuali benefici economici, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell’assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell’avente diritto, è destinata ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l’articolo 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l’articolo 9 della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell’assegno, finchè questi non contragga un nuovo matrimonio.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 28 giugno 2007 n. 14921 – Pres. Luccioli; Rel. Felicetti; Pm (diff.) Caliendo

– Determinazione assegno divorzile – Reddito del coniuge onerato – Calcolo anche dell’assegno per oneri di rappresentanza – Esclusione (Legge 898/1970, articolo 5; Dpr 18/1967, articolo 171)

Nella determinazione dell’assegno di mantenimento posto a carico del coniuge obbligato in sede di separazione personale tra coniugi (e del pari nella determinazione dell’ammontare di quello divorzile) non deve tenersi conto anche dell’assegno per oneri di rappresentanza introdotto, in tema di trattamento economico per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in servizio all’estero, dall’articolo 171–bis del Dpr 18/1967, giacchè si tratta di emolumento diverso dall’indennità di servizio estero, non costituente reddito e finalizzato a sollevare il diplomatico, nei limiti in cui risultino effettivamente sostenuti, dagli oneri di rappresentanza derivanti dalla carica altrimenti a suo carico, il cui computo ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in questione risulta inconciliabile con l’obbligo di suo riversamento all’Erario per la parte non consumata.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 15 settembre 2008 n. 23689 – Pre. Luccioli; Rel. Fittipaldi; Pm (diff.) Martone

– Divorzio – Obblighi verso la prole – Affidamento dei figli – Affidamento condiviso – Derogabilità – Condizioni – Omessa corresponsione dell’assegno di mantenimento ed esercizio discontinuo del diritto di visita – Rilevanza – Fondamento (Cc, articoli 155 e 155-bis; legge 898/1970, articolo 6; legge 74/1987, articolo 11; legge 54/2006, articolo 4)

La regola dell’affidamento condiviso dei figli a entrambi i genitori, prevista dall’articolo 155 del Codice civile con riferimento alla separazione personale dei coniugi, applicabile anche nei casi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, in virtù del richiamo operato dall’articolo 4, comma 2, della legge 8 febbraio 2006 n. 54, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, come nel caso in cui il genitore non affidatario si sia reso totalmente inadempiente all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori e abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 17 dicembre 2009 n. 26587 – Pres. Proto; Rel. Schirò; Pm (conf.) Pratis

– Filiazione naturale – Affido congiunto – Determinazione dei tempi e modi della presenza presso ciascun genitore – Determinazione affidata al giudice (Cc, articolo 155)

Disponendo l’articolo 155 del Codice civile che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, la sua attuazione è rimessa al giudice, il quale per realizzare la finalità suddetta “adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”, determinando esclusivamente in relazione a tale interesse “i tempi e le modalità” della sua presenza presso ciascun genitore, prendendo atto solo se non contrari all’interesse del figlio degli stessi accordi fra i genitori.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 26 settembre 2011 n. 19594 – Pres. Luccioli; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Fucci

– Filiazione naturale – In genere – Affidamento condiviso – Deroghe – Motivazione – Necessità – Requisiti – Oggettiva distanza tra i luoghi di residenza dei genitori – Rilevanza – Esclusione (Cc, articoli 155 e 317; legge 54/2006, articolo 4)

In tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sull’idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dall’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore.

Corte di cassazione, sezione VI civile, ordinanza 2 dicembre 2010 n. 24526 – Pres. Vittoria; Rel. Schirò; Pm (conf.) Pratis

– Filiazione – In genere – Assegno di mantenimento – Affidamento condiviso – Collocamento dei minori presso un genitore – Corresponsione dell’assegno a carico del genitore non collocatario – Effetti (Cc, articolo 155; legge 54/2006, articolo 4)

In tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la regola dell’affidamento condiviso a entrambi i genitori, ai sensi dell’articolo 155 del Codice civile, applicabile anche a essi in forza del rinvio operato dall’articolo 4 della legge 54/2006, non implica deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso articolo 155 del Cc la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore.

Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 4 novembre 2010 n. 22502 – Pres. Luccioli; Rel. Felicetti; Pm (conf.) Zen

– Filiazione naturale – In genere – Mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio – Obbligo a carico di ciascun genitore – Affidamento condiviso – Collocamento prevalente presso uno dei genitori – Assegno a carico dell’altro genitore – Configurabilità (Cc, articoli 155 e 261)

In tema di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni degli stessi in misura proporzionale al proprio reddito e il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, il quale, in caso di affidamento condiviso con collocamento prevalente presso uno dei genitori, può essere posto a carico del genitore non collocatario, atteso il disposto dell’articolo 155 del Codice civile, nella parte in cui prevede che la determinazione dell’assegno avvenga anche considerando i temi di permanenza del figlio presso ciascun genitore.

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Originally posted 2015-06-22 16:29:18.

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