AZIONE PATERNITA’ : COME FARSI RICONOSCERE DAL PROPRIO PADRE
- In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo “status”.
- In tema di accertamento giudiziale della paternità, le cd. linee guida di esecuzione delle indagini genetiche, dettate dalle principali associazioni internazionali di studiosi ed operatori della genetica forense, sebbene prive di forza cogente in quanto non tradotte in protocolli imposti da norme di legge o di regolamento, costituiscono regole comportamentali autoimposte e normalmente rispettate, volte ad assicurare, sulla base delle acquisizioni tecnico-scientifiche del tempo, risultati peritali attendibili e verificabili, sicché la loro inosservanza fa legittimamente dubitare della correttezza delle conclusioni esposte dal consulente tecnico di ufficio.
- Nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche – nella specie opposto da tutti gli eredi legittimi del preteso padre – costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda.
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Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa perché esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno questa natura anche se espresse in termini di “leggi”, e tutte le misurazioni, anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati, sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (cosiddetto errore statistico), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (cosiddetto errore sistematico), spettando al giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell’opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini. SEPARARSI BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
In tema di mezzi utilizzabili per provare la paternità naturale, l’art. 269 cod. civ. ammette anche il ricorso ad elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso e sulla base del canone dell'”id quod plerumque accidit”, risultino idonei, per attendibilità e concludenza, a fornire la dimostrazione completa e rigorosa della paternità, sicché risultano utilizzabili, raccordando tra loro le relative circostanze indiziarie, sia l’accertato comportamento del preteso genitore che abbia trattato come figlio la persona a cui favore si chiede la dichiarazione di paternità (cd. “tractatus”), sia la manifestazione esterna di tale rapporto nelle relazioni sociali (cd. “fama”), sia, infine, le risultanze di una consulenza immuno-ematologica eseguita su campioni biologici di stretti parenti (nella specie, madre e fratello) del preteso genitore.
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità, l’ultimo comma dell’art. 269 c.c., introducendo una limitazione di carattere probatorio, per cui la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova sufficiente della paternità naturale, non rende indefettibile la dimostrazione della esistenza di tali rapporti, dovendo la predetta disposizione essere coordinata con quella del secondo comma dello stesso art. 269, per effetto del quale la prova della paternità e della maternità può essere data con qualsiasi mezzo.
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il principio della libertà di prova sancito, in materia, dall’art. 269, comma 2 c.c. non è derogato dal limite imposto al giudice dalla disposizione di cui al successivo quarto comma della stessa norma di legge, e non tollera, pertanto, surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità o la maternità naturale, né, conseguentemente, mediante l’imposizione al giudice di merito di una sorta di «ordine cronologico» nella loro ammissione ed assunzione, a seconda del «tipo» di prova dedotta, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova in materia pari valore per espressa disposizione di legge.
In tema di giudizio per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale e di acquisizione della prova della paternità, la eventuale non risolutività e conclusività delle risultanze degli accertamenti immunoematologici, non è di ostacolo, di per sé, alla utilizzazione e valorizzazione, da parte del giudice, di tutto il residuo complesso degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’effettuata istruttoria.
Nelle controversie concernenti la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, i soggetti attivamente e passivamente legittimati non possono conferire ad altri il potere di stare in giudizio in loro nome e conto, in quanto la rappresentanza negoziale è inammissibile in relazione a diritti indisponibili. Ciò vale tanto per il giudizio di cognizione piena, disciplinato dall’art. 269 c.c., che per quello preliminare, regolato dall’art. 274, il quale, pur essendo processualmente autonomo e pur avendo un diverso petitum immediato, ha, rispetto al primo, identica causa petendi, attinente al rapporto di filiazione che, attraverso la verifica di ammissibilità dell’azione ed il successivo accertamento di merito, si tende ad instaurare, ed è, per ciò solo, non estraneo ai rapporti di stato e partecipe del divieto di rappresentanza volontaria di cui all’art. 77 c.p.c.
LA NORMA ART 269 CC:
La paternità e la maternità [naturale](2) possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso [250, 253].
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo [30 Cost.].
La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità [naturale].
Cass. civ. n. 19599/2016
La regola secondo cui è madre colei che ha partorito, giusta l’art. 269, comma 3, c.c., non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero, validamente formato, dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che l’ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola.

AVVOCATO ESPERTO FAMIGLIA BOLOGNA